«Puo darsi», convenne Walt. «Un altro problema e che il personale della polizia locale non ha ricevuto un grande addestramento teorico in questi ultimi anni.»

Angela descrisse il palanchino che era stato trovato accanto al cadavere. Usando un righello per determinare le dimensioni della frattura mortale e poi esaminando la ferita stessa, arrivarono alla conclusione che poteva essere stata quella l’arma del delitto.

Poi la loro attenzione si rivolse alle mani.

«Sono stato molto contento nel vedere che le hanno chiuse nei sacchetti», disse Walt. «Sono anni che cerco di convincere i miei colleghi a usare i sacchetti, in questo genere di casi.»

Angela fu compiaciuta nel vedere che la sua idea si era rivelata buona.

Walt comincio un esame accurato della pelle sotto le unghie. «C’e del materiale estraneo», le annuncio e indietreggio affinche lei potesse vedere.

«Ha idea di che cosa possa essere?» chiese Angela.

«Per saperlo dovremo aspettare gli esiti degli esami al microscopio», rispose Walt, mentre ne prelevava alcuni campioni e li depositava nei recipienti appositi. Su ognuno scrisse da quale dito proveniva.

L’autopsia si svolse rapidamente; era come se Angela e Walt fossero una squadra affiatata da tempo. C’erano molti aspetti che interessavano un patologo come Angela, e Walt godeva del suo ruolo di maestro. Hodges aveva una forte arteriosclerosi, un piccolo cancro a un polmone e un’avanzata cirrosi epatica.

«Penso che gli piacesse il bourbon», commento Walt.

Finito il lavoro, Angela lo ringrazio per l’ospitalita e gli chiese di tenerla informata sul caso. Lui la incoraggio a chiamarlo tutte le volte che voleva.

Mentre ritornava verso l’ospedale, Angela si senti di buon umore, come mai le era successo negli ultimi giorni. L’autopsia si era rivelata molto interessante ed era contenta che Wadley l’avesse lasciata andare.

Nel parcheggio non riusci a trovare un posto nella zona riservata, vicino all’ingresso posteriore, e fu costretta a lasciare l’auto piu lontano, nel parcheggio superiore. Senza ombrello, s’inzuppo per bene prima di arrivare al coperto.

Angela ando direttamente nella sua stanza e non fece in tempo ad appendere il cappotto che la porta comunicante con quella del suo capo si spalanco violentemente, facendola sobbalzare. Sulla soglia apparve Wadley, la mascella serrata, gli occhi come due fessure, i capelli scomposti, sembrava furibondo. Angela fece istintivamente un passo indietro e guardo verso la porta che dava all’esterno, in cerca di una via di fuga.

Wadley le si avvicino in un lampo e la spinse contro la scrivania.

«Vorrei una spiegazione», ringhio. «Perche e andata da Cantor a raccontare quella storia insensata, quelle accuse ridicole, infondate? Molestie sessuali! Mio Dio, e assurdo!»

Wadley smise di parlare e la fisso, furioso. Lei si tiro piu indietro che pote, non sapendo come rispondere. Non voleva provocarlo, temeva che potesse colpirla.

«Perche non mi ha detto niente?» urlo Wadley, poi si accorse che la porta che dava sulla stanza delle segretarie era socchiusa e che dalle loro scrivanie non giungeva alcun rumore. La raggiunse con pochi passi e la chiuse con forza.

«Dopo tutto il tempo e le energie che ho dedicato a lei, questa e la ricompensa che ottengo», urlo. «Non penso occorra ricordarle che e ancora in prova. Fara meglio a rigare dritto, o si ritrovera a cercare lavoro senza le mie referenze.»

Angela annui, non sapendo che cos’altro fare.

«Be’, non ha niente da dire?» Il viso di Wadley era a pochi centimetri dal suo. «Ha intenzione di starsene li a muovere la testa?»

«Mi spiace che siamo arrivati a questo punto», mormoro lei.

«Ah, e cosi? Ha offuscato la mia reputazione con accuse infondate e questo e tutto cio che sa dire? Questa e calunnia e le diro una cosa: potrei trascinarla in tribunale.»

Con questo, Wadley giro sui tacchi, ritorno a grandi falcate nel proprio ufficio e sbatte la porta.

Lottando contro le lacrime, Angela si lascio cadere sulla sedia e scosse la testa. Era tutto cosi ingiusto!

Mentre visitava un paziente, David fu avvertito da Susan che lo stava chiamando al telefono dall’unita di terapia intensiva. Temendo il peggio, corse a rispondere e venne informato dell’arresto cardiaco di John Tarlow e del fatto che su di lui stava gia operando una squadra di rianimazione.

Riattacco. Il cuore gli batteva all’impazzata e un sudore freddo gli imperlava la fronte. Corse immediatamente al capezzale di John, ma era troppo tardi: il medico responsabile della squadra di rianimazione lo aveva gia dichiarato morto.

«Eh, non c’era molto da fare», gli disse. «I polmoni erano pieni, i reni scoppiati e non aveva pressione sanguigna.»

David annui, mentre fissava il suo paziente, al quale venivano staccati i tubi. Rifugiatosi nella stanza delle infermiere, si sedette alla scrivania e comincio a chiedersi se era veramente adatto a fare quel lavoro.

Arrivarono i parenti di Tarlow e, come la famiglia Kleber, dimostrarono comprensione e riconoscenza. Lui accetto le loro parole sentendosi un impostore. Non aveva potuto fare niente per John. Non sapeva nemmeno perche era morto. La leucemia non era una vera spiegazione.

Anche se ormai era a conoscenza di quali erano le regole per l’autopsia, domando alla famiglia se fosse disposta ad autorizzarla e gli risposero che ci avrebbero pensato.

Prima di tornare in ambulatorio, passo a controllare come stavano Mary Ann Schiller e Jonathan Eakins e si assicuro che i trattamenti prescritti avessero avuto inizio e in particolare che il cardiologo del CMV avesse visitato Eakins.

Purtroppo, scopri una cosa che lo lascio interdetto: a Mary Ann era stata assegnata la stanza 206, la stessa che era stata da poco lasciata libera da John Tarlow e gli venne l’impulso di chiedere che venisse spostata in un’altra, ma poi si disse che quella era superstizione. Che cosa avrebbe detto all’accettazione? Che non voleva piu che i suoi pazienti fossero sistemati nella stanza 206? Era ridicolo.

Dopo avere verificato che la terapia a base di antibiotici era gia iniziata, David promise a Mary Ann di ritornare piu tardi, poi passo da Jonathan. Lo trovo rilassato e a proprio agio, con il monitor gia sistemato. Il suo paziente gli disse che il cardiologo sarebbe arrivato subito.

Quando ritorno in ambulatorio, Susan lo avviso che gli aveva telefonato Charles Kelley. «Vuole vederla immediatamente e ha sottolineato ‘immediatamente’.»

«Quanti pazienti ci restano?»

«Tantissimi, quindi cerchi di non starci troppo.»

Sentendosi come se portasse tutto il peso del mondo sulle spalle, David si trascino fino agli uffici del CMV. Poteva immaginare il motivo per cui era stato chiamato a rapporto.

«Non so proprio che cosa fare, David», esordi l’uomo, scuotendo la testa. Questa volta aveva deciso d’interpretare il ruolo dell’amico ferito.

«Ho cercato di ragionare con lei, ma o e testardo o non le importa niente del CMV. Proprio il giorno dopo che le ho raccomandato di evitare consulti esterni superflui, lei lo ha fatto di nuovo e con un altro paziente terminale. Che cosa devo fare con lei? Lo capisce che bisogna prendere in considerazione il costo delle cure mediche? Lo sa che nel Paese e in corso una crisi?»

David Annui. Quello era vero.

«Allora perche le e cosi difficile agire di conseguenza?»

Il tono di voce tendeva ora alla collera. «E questa volta non si tratta solo del CMV, ma anche dell’ospedale. Mi ha appena chiamato Helen Beaton, lamentandosi per i farmaci immensamente costosi che lei ha ordinato per un paziente gia moribondo. Lo hanno confermato anche i suoi colleghi che ha chiamato in consulto. Erano anni che soffriva di leucemia, non capisce? Questo vuol dire sciupare denaro e risorse.»

Kelley pareva arrivato al massimo della tensione. La voce era acuta, il viso arrossato, ma poi si fermo e sospiro, scuotendo di nuovo la testa. «Helen Beaton si e anche lamentata perche lei ha richiesto un’autopsia», continuo con voce stanca. «Le autopsie non fanno parte del contratto fra noi e l’ospedale e lei ne era stato informato di recente. David, dev’essere ragionevole, mi deve aiutare, oppure…» Kelley non fini la frase, lasciandola sospesa nell’aria.

«Oppure che cosa?» chiese David. Sapeva che cosa l’altro intendeva, ma voleva che fosse lui a dirlo.

«Lei mi piace, David», affermo Kelley, «ma ho bisogno del suo aiuto. Sopra di me ho altre persone a cui

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