bello tosto, te lo dico io. Il primo, da quando e arrivato lui. Oh, senti, non fare quella faccia, dottoressa» dice rivolto a Kay Scarpetta. Su sua richiesta, le da del tu, ma continua a chiamarla dottoressa. «Non ci ascolta nessuno, e comunque non me ne frega niente. Hai programmi per questa sera?»

«Pensavo che potremmo cenare insieme» risponde lei. Lo aiuta a togliere gli scarponi da lavoro di pelle a Whitby, slacciando le stringhe sporche. Il morto non si e ancora irrigidito ne raffreddato del tutto.

«Mi spieghi come fa uno a finire sotto il suo stesso trattore?» chiede Fielding. «Non capisco proprio. Per la cena va bene. Ci vediamo a casa mia alle sette? Abito sempre nello stesso posto.»

«Okay. Te lo spiego io, come si fa» risponde Kay Scarpetta ripensando a Whitby davanti alla ruota del trattore, intento a trafficare con il motore. «Hai un guasto, scendi, ti piazzi davanti a una ruota e cerchi di azionare lo starter, magari con un cacciavite, dimenticandoti di mettere il mezzo in folle. Cosi, appena il motore si accende, il trattore parte e ti investe.» Indica i segni lasciati dal pneumatico sui pantaloni verdi e sulla giacca nera di Whitby, con il suo nome ricamato in rosso. «Io l’ho visto. Era li, davanti alla ruota.»

«Nel cantiere? Vicino alla sede vecchia? Bentornata, a proposito.»

«E stato ritrovato sotto la ruota?»

«No, il trattore l’ha investito e ha continuato ad andare.» Fielding toglie al morto le calze, che gli hanno lasciato il segno sui piedi bianchi e grossi. «Ti ricordi che davanti all’ingresso sul retro c’era un paletto di metallo giallo? Be’, il trattore ci e finito contro e si e fermato, altrimenti avrebbe buttato giu anche la saracinesca. Poco male, visto che tanto devono demolire tutto.»

«Non credo che sia morto per asfissia. La ruota ha provocato lesioni molto estese, quindi immagino sia morto dissanguato» dice Kay Scarpetta guardando il cadavere. «Deve avere l’addome pieno di sangue, lesioni alla milza, al fegato, alla vescica e all’intestino, e il bacino rotto. Alle sette, hai detto?»

«E il tuo scagnozzo?»

«Non chiamarlo cosi. Lo sai che mi da fastidio.»

«Be’, comunque puo venire anche lui, se gli va. Ma perche si mette quel berretto della polizia di Los Angeles?»

«Glielo avevo detto, che era meglio lasciarlo in macchina.»

«Secondo te, che cosa gli ha procurato questo taglio? Un pezzo sporgente dal telaio del trattore?» domanda Fielding toccando il naso parzialmente staccato di Whitby e facendogli colare un rivolo di sangue sulla guancia mal rasata.

«Non so se e un taglio. Passandogli sopra, la ruota deve aver tirato la pelle. Potrebbe essere uno strappo, piu che un taglio» osserva Kay Scarpetta indicando la ferita profonda e slabbrata sulle guance e sulla radice del naso. «Per stabilirlo, basta che controlli al microscopio se ci sono tracce di ruggine e grasso e le condizioni dei tessuti. Io, fossi in te, lo farei.»

«Si, certo.» Fielding alza gli occhi dal modulo che sta riempiendo, relativo agli indumenti e agli effetti personali del morto.

«Trattandosi di un infortunio sul lavoro, immagino che la famiglia chiedera un risarcimento» continua Kay. «Di solito funziona cosi.»

«Si, certo. E morto in un brutto posto, poveraccio.»

I guanti di lattice di Fielding si sporcano di sangue appena tocca la ferita sul volto dell’uomo, e dal naso quasi staccato cola un altro rivolo rosso ancora tiepido. Fielding prende un foglio e comincia a disegnare la ferita su un diagramma. Si avvicina alla faccia di Whitby e lo osserva da vicino, protetto dalla mascherina. «A occhio nudo non vedo ne ruggine ne grasso» dice. «Ma questo non significa che non ce ne siano.»

«Si, anch’io farei un tampone» dice Kay, capendolo al volo. «Cosi lo mandi in laboratorio e sei in una botte di ferro, nel caso qualcuno dica che l’ha investito un collega, che l’hanno buttato giu dal mezzo o gli hanno dato un colpo in testa prima di investirlo. Non si sa mai.»

«Si, certo. Quando ci sono di mezzo i soldi…»

«Non e solo quello» risponde lei. «Gli avvocati lo traducono in denaro, ma prima di tutto c’e il dolore, con lo shock, il lutto, il desiderio di trovare un capro espiatorio… A nessuno piace pensare che una persona cara e morta per stupidita o imprudenza, sentirsi dire che uno piu esperto non si sarebbe messo davanti alla ruota del suo mezzo a trafficare con l’accensione con la marcia ingranata, ignorando le precauzioni piu elementari. Perche quando uno si lascia prendere dalla fretta e dal nervosismo, non pensa. Ma e nella natura umana non voler ammettere che una persona a cui volevamo bene si e ammazzata con le sue stesse mani, consapevolmente o meno. Sai come la penso.»

Fielding ha iniziato la sua carriera professionale con lei. E stata lei a insegnargli a controllare meticolosamente il cadavere e il luogo del ritrovamento. Kay ricorda con nostalgia quanto gli piaceva il suo lavoro e come era avido di sapere; la seguiva in tribunale ogni volta che poteva per ascoltarla, oppure rivedeva i casi con lei, per sentire il suo parere. Adesso invece e esaurito, non sta bene, e lei non dirige piu l’Istituto di medicina legale della Virginia.

In questo momento, pero, stanno di nuovo lavorando insieme.

«Si, avrei proprio dovuto telefonarti» gli dice, slacciando la cintura di pelle di Whitby e sbottonandogli i pantaloni verdi. «Poi guardiamo insieme Gilly Paulsson.»

«Si, certo» risponde Fielding. Kay non ricordava che dicesse cosi spesso: “Si, certo”, un tempo.

7

Henri Walden ha un paio di pantofole di camoscio imbottite che non fanno rumore sulla moquette. Si avvicina silenziosamente alla poltrona di pelle di fronte al divano.

«Ho fatto la doccia» dice a Benton, sedendosi con le gambe piegate sotto il sedere.

Benton capisce che lo fa apposta per fargli vedere le cosce nude e si impone di non guardare.

«Cosa te ne importa?» gli chiede Henri. Glielo chiede tutte le mattine, da quando e li.

«Ti fa sentire meglio, no?»

La ragazza annuisce, fissandolo con occhi da cobra.

«Le piccole cose sono importanti. Mangiare, dormire, lavarsi, fare moto… sono tutte cose che servono a riprendere il controllo sulla propria vita.»

«Ho sentito che parlavi al telefono con qualcuno» insiste Henri.

«E un problema» risponde lui guardandola oltre gli occhiali da presbite, con il blocco per appunti in grembo su cui ha aggiunto soltanto “Ferrari nera”, “senza permesso”, “seguita fino al campo?” e “punto di contatto = Ferrari nera”.

Poi aggiunge: «Le conversazioni private devono restare private. Dobbiamo rispettare i patti, Henri. Te li ricordi?».

La ragazza si toglie le pantofole e le lascia cadere sulla moquette. Posa i piedi delicati sul cuscino della poltrona e, quando si china a guardarseli, le si apre leggermente la vestaglia sul petto. «No» risponde a voce bassissima, scuotendo la testa.

«Secondo me, invece, te li ricordi benissimo, Henri.» Benton la chiama spesso per nome per ricordarle chi e e personalizzare cio che e stato spersonalizzato, per certi versi irrimediabilmente. «Rispetto reciproco, ricordi?»

La ragazza si china ulteriormente per giocherellare con un’unghia. Si guarda le dita dei piedi, offrendo a Benton la propria nudita.

«Avere rispetto reciproco significa lasciare all’altro la propria privacy. E non provocarlo» aggiunge lui in tono pacato. «Abbiamo stabilito dei limiti. Provocare l’altro vuol dire oltrepassarli.»

Henri si chiude la vestaglia con la mano libera, continuando a osservarsi e ad accarezzarsi le dita dei piedi. «Mi sono appena svegliata» dice, come per spiegare il proprio esibizionismo.

«Grazie, Henri.» E importante che Henri si convinca che Benton non vuole avere rapporti sessuali con lei, nemmeno con la fantasia. «E comunque non ti sei appena svegliata. Ti sei alzata, sei venuta qui, abbiamo parlato e poi ti sei fatta la doccia.»

«Non mi chiamo Henri.»

«Come vuoi che ti chiami?»

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