— Il giorno in cui le arance diventarono rosse.

— Il giorno in cui… Terra, puoi mostrarmelo? Cos’altro successe quel giorno? Che cosa vedevi? Rifletti. Ricorda. Cosa successe quando le arance diventarono rosse? Perche diventarono rosse? Mostracelo.

Arance in una fruttiera azzurra. Il loro riflesso su un tavolo cromato. Piu in alto, l’orlo di una tendina bianca. Una mano, tesa a prendere un’arancia. Un’ombra rossa a ricoprire il tutto.

— Ebbe inizio — disse Terra semplicemente.

— Cercate di capire — disse il dottor Fiori nel refettorio, davanti a una tazza di brodo. — Sta cercando a tentoni una via d’uscita dalla pazzia. Sta inventando un proprio linguaggio simbolico, ma ha paura di adoperarlo, di adattarvisi fino in fondo. Ha paura di ricordare la causa prima che l’ha condotta alla pazzia. Quello che accadde il giorno in cui le arance diventarono rosse.

— Quindi non fu il massacro in se — disse Jase cortesemente.

— Non credo. Anche se — ammise — e difficile concepire un evento piu traumatico di quello. Qualcosa ha offeso gravemente il suo senso della realta, il suo senso di equilibrio nel mondo.

— Volete dire che le e successo qualcosa che puo giustificare le sue azioni nel Settore Deserto?

— No, no — disse subito il dottor Fiori. — Non cerco giustificazioni. Mi interessa in primo luogo il linguaggio che lei usa, e se e possibile farle superare il trauma. — Sorseggio il brodo e aggiunse: — A tutti capitano cose terribili. La maggior parte trova un modo per assimilare l’esperienza, per adattarvisi. Noi… Non ve ne importa niente — disse in tono d’accusa. Jase si accorse di portare ancora sul viso una maschera di cortesia e la lascio finalmente cadere.

— Credo di no — rispose lentamente. — Ha rovinato tutto con le arance. Fino a quel momento riuscivo a seguire un pochino il vostro modo di vedere; forse le immagini bizzarre potevano proteggerla da qualcosa. Ma se la causa prima e stata una fruttiera d’arance, allora penso che non abbia importanza dove lei sia rinchiusa, nell’Anello Scuro o a Nuovorizzonte… E semplicemente fuori di senno, e non riuscirete mai… — Si interruppe, con un gesto della mano. — Cosa ne so, io? Siete voi il dottore. Penso che la vostra macchina sia incredibile, ma con lei perdete il tempo.

— Forse — disse il dottor Fiori, chinando il viso sopra la tazza di brodo bollente. — Come mai avete tanti pregiudizi per una fruttiera d’arance?

Jase si lascio andare contro la spalliera. — Ha massacrato tutte quelle persone perche un’arancia e diventata rossa. L’idea mi lascia freddo. Non riesco a provare niente per lei in quanto essere umano. Non potrebbe importarmene meno.

— Allora prima ve ne importava.

Lui scosse la testa. — Non me ne importava neanche prima. Qui ha avuto quello che meritava… anzi, meno. Eppure…

— Eppure.

— Non e una criminale. Nelle sue azioni non c’e malignita, interesse, rabbia, nessuna motivazione umana. Non si possono provare sentimenti per una persona cosi aliena. Tranne forse paura.

— Di lei? O di voi stesso?

Jase guardo il dottore. Gia da tempo aveva scoperto che la migliore difesa contro domande del genere era quella di rispondere. — Penso — disse infine — che la mente delle persone sia come una casa. Piena di camere da letto, cantine, soffitte, sgabuzzini, cucine, soggiorni eleganti, giardini… Piena di porte. Quando avrete raggiunto la mia eta, e molto probabile che abbiate gia aperto tutte le porte. Che sappiate in quali sgabuzzini sono racchiusi i mostri, quali esseri orribili vivono in cantina, quali impulsi sanguinari si nascondono dietro la porta della soffitta. Saprete, allora, quanto valgono per voi. Io sono a mio agio, in casa mia. Se qualcuno suona il campanello, lo faccio entrare.

Il dottor Fiori poso la tazza e sorrise. — La prima volta che ho parlato con voi non credevo che vi avrei trovato simpatico.

— Be’ — disse Jase a disagio. — Non si puo mai sapere.

— Non dovreste giudicarla troppo frettolosamente, a questo punto. Le fruttiere d’arance non fanno impazzire la gente. Nel suo cervello non c’e niente di sbagliato. E lei stessa che si rende pazza. E ci dira perche. Non puo parlare. Le parole la terrorizzano. Sono troppo precise, o troppo imprecise, chissa. Oppure non abbiamo ancora inventato le parole per esprimere quello che lei ha visto. Per cui racconta la sua storia in un linguaggio che e muto, nella speranza che qualcuno impari ad ascoltare.

7

Il Mago sedeva da solo nel Constellation Club, ad ascoltare. Suoni che gli ricordavano altri suoni. Attorno a lui il silenzio divento gradatamente stratificato e intessuto di musica. Le pareti erano color indaco. Fra le tre e le quattro del mattino il mondo era piu immobile che mai. Il Mago poteva persino udire il lontano ululato lamentoso dell’ultima sirena che continuava a mettere in guardia contro la nebbia. Le sue dita trovarono sulla tastiera le due note di basso fra cui si nascondeva il gemito della sirena. Sfioro i tasti, sovrapponendo le due note alla sirena, continuando ad ascoltare.

Allungo la destra verso la chiave di soprano, un’increspatura di nebbia sullo sfondo del basso triste e pensieroso. Nella sua mente udi la voce vivace e irrequieta dell’arpa a canne, il tuono dei cubi. Il viso latteo della nebbia profilato contro l’azzurro cupo del cielo, il frastuono tumultuante della marea, la sirena che gemeva, con la sua voce personale e insistente, di cose invisibili, segrete, inaspettate, che potevano o non potevano essere racchiuse nella nebbia…

Un rumore di passi dissipo la nebbia. Sorpreso, il Mago si giro sullo sgabello del piano. Attorno a lui le cupe pareti del locale si riformarono. Al loro interno c’era un silenzio vuoto. Sul palco l’arpa a canne e i cubi, coperti per non prendere polvere, avevano suonato solo nella sua mente.

Aaron, in uniforme, si blocco a meta di un passo. — Scusami — disse. — Ho visto che la porta esterna era aperta. Ho pensato bene di controllare… E tardi per stare ancora qui.

Il Mago annui e si alzo per sgranchirsi le gambe. — Abbiamo tenuto una riunione dopo la chiusura. Io mi sono fermato per accordare il piano. Credo di essermi distratto. Certe notti questo posto e molto tranquillo. Piu tranquillo anche dello scalo della lancia.

— Ho interrotto il genio al lavoro?

Il Mago rise. — Figuriamoci. Ascoltavo la sirena per la nebbia.

Aaron attraverso la sala e si lascio cadere sulla rampa del palco. — E una notte tranquilla — commento. — Una volta all’anno tocca anche a noi una notte cosi. Niente luna piena, zuffe, guidatori indisciplinati, baruffe familiari. Teppisti e cecchini, e persino le bande da strada, se ne stanno a casa. La persona piu pericolosa che ho visto stanotte sei tu.

— Un po’ tocco ma inoffensivo — mormoro il Mago. Aaron lo guardo premere un tasto, chinarsi verso la corda ed effettuare una microscopica regolazione.

— Sei pronto per la tournee?

— A parte la ricevente che e impazzita del tutto, uno schermo riflettore ammaccato, un rumore non identificato nelle tubature, un’ex-detenuta come cantante e un cubista catatonico, siamo pronti.

— Il Giocatore viene con voi?

— Lui sostiene di no. Forse saremo costretti a rapirlo.

Aaron emise un brontolio. — Conoscerai pure qualcuno.

Il Mago scosse la testa e accordo un’altra nota. — Nessuno bravo come lui. Andiamo lo stesso, comunque.

— E come? Senza il cubista?

In risposta risuono ripetutamente un sol basso. Aaron rimase in ascolto, ma il minuscolo cambio di tono gli sfuggi. Si appoggio stancamente su un gomito. Una chiamata di servizio gli risuono nell’orecchio, facendolo irrigidire di nuovo; la chiamata non era per lui. Comunque il suo corpo si agito, poi si calmo. Aveva bisogno di un intervallo, e dentro quel silenzio azzurro cupo poteva quasi sentire la musica della serata appena trascorsa, e della serata seguente, che si librava in attesa al limitare del tempo.

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