Non sopporta l’alcool, deve avere qualcosa a che fare con il suo senso dell’equilibrio. Comunque, mi ha detto della tua tournee su Averno, e allora gli ho detto che se prendeva il mio posto allo Starshot avrei partecipato io. Alla tournee spaziale. — Si tocco una forcina a cuore. — Su Averno.

Per un istante il Mago rimase talmente immobile che Aaron si chiese se non gli fosse venuto un colpo. Poi l’aria tutt’intorno si tinse improvvisamente di rosso, come se il cuore del Mago l’avesse spruzzata di sangue. Il corpo di Aaron si tese, mentre una parola gli nasceva e gli moriva in gola. Prima che potesse muoversi, l’aura era sparita. La ragazza, anche lei di colpo senza parole, tasto l’aria dietro il Mago.

— Magico Capo, non hai staccato i neurocavi?

Il Mago, dimentico, alzo le mani e la abbraccio, sollevandola con delicatezza, come se lei potesse tramutarsi in fumo all’improvviso. — Tu? Vieni tu?

Lei rimase in silenzio. Un lieve sorriso affettuoso le cambio ancora gli occhi. — Se mi vuoi, Magico Capo. Mi piacerebbe suonare di nuovo con te. La tua musica mi manca.

— Se voglio. Dio santo — disse reverentemente — ho minacciato di morte il Giocatore, se non avesse trovato un sostituto. Non avrei mai pensato che trovasse te. — Le diede un rapido bacio sulla guancia. — Grazie. — Si accorse di Aaron, che sorrideva dietro la ragazza. La poso a terra, la guido sulla rampa, e Aaron scese con un salto dal palco.

— Ti presento Aaron Fisher, un mio caro amico. Aaron, questa e la migliore cubista del 14° Settore: la Regina di Cuori.

Lei tese una mano sottile, dalle dita lunghe; aveva la stretta robusta del cubista. I suoi occhi, rivolti al viso di Aaron, sorridevano, nuovamente opachi. — Non ho orecchio per la musica — disse Aaron. — Riconosco appena gli accordi dell’ascensore. Ma ho gia sentito il vostro nome.

— Be’, sono stata in tanti di quei complessi, in tanti di quei posti… ma mai — aggiunse in tono serio — in ascensore. No. Sono sicura. Il Mago vi offriva un concerto? E per questo che ve ne stavate sulla rampa?

Aaron sorrise. — Sono solo entrato a vedere chi aveva lasciato la porta aperta. — Il trucco del viso, anche visto da vicino, era senza pecche; resistette ancora al desiderio di toccarla. Si scopri a dire oziosamente: — E un complimento eccezionale, Magico Capo, quello che ti fa la miglior cubista del 14° Settore: lasciar perdere tutto per venire a suonare con te.

Lei scosse la testa; forcine a cuore scivolarono e si impigliarono; un colletto di crinolina nera cadde dalla sacca. Lei lo raccolse distrattamente e se lo infilo al braccio come una giarrettiera. — Ho suonato dappertutto, certo, sugli asteroidi, negli alberghi galleggianti, in club cosi minuscoli che era difficile muovere le bacchette dei cubi senza far cadere i faretti dal palco. Ho compiuto tre giri completi del Settore, ognuno con un complesso diverso. Forse crederete che nessuno vuole piu avere a che fare con me, perche finisco sempre con l’andarmene. Pero li lascio migliori di come erano, e la gente dice che mi porto dietro la fortuna. La Regina di Cuori, la Signora Fortuna. — Rise piano, senza traccia d’amarezza. — Non so se sia vero. Pero sono stata dappertutto, ho suonato ogni cosa. E niente mi e mai rimasto in mente come la musica del Mago. Cosi sono ritornata. — Si interruppe; gli altri due attesero, in un silenzio incantato. — Qui. — Inaspettatamente i suoi occhi cambiarono, si spalancarono, brillando lievemente. Si chino rapidamente a raccogliere la bacchetta per i cubi. — Qui.

Una scarpa le cadde dalla sacca. Aaron si chino a raccoglierla; quando si rialzo, lei si era nuovamente barricata dietro quel suo sorriso. Rigiro mollemente la scarpa fra indice e pollice; le pagliuzze di strass mandarono lampi di luce.

— Suoni ancora Bach, Magico Capo?

— Oh, certamente.

— E il Pianto volante? — Le pagliuzze improvvisamente restarono immobili; il suo viso, dietro il sorriso, era immobile. — Ce l’hai ancora?

— Lo useremo per la tournee — disse il Mago, e le luci rotearono ancora nella mano di lei. — Proveremo qui dopo l’orario tutte le sere delle prossime due settimane. Ce la fai?

— Certo.

— Di’ a Nebraska dove sono i tuoi cubi e lui ti aiutera a trasportarli. Domani chiamero l’agenzia per farti avere un passaporto spaziale… No, non posso chiamare finche non avro aggiustato quella maledetta ricevente…

— Al passaporto ci penso io — disse lei in fretta. — Magico Capo, ti serve aiuto per la riparazione? Da piccola rabberciavo la navetta spaziale di papa. Daro un’occhiata alla ricevente. Oh, sono anche capace di tenere la rotta, nello spazio. L’ho imparato in uno dei miei giri. Mi pare con i Cygnus. — Rise all’espressione del Mago. — Be’, mi annoiavo.

— Signora dei Cuori, sei un dono del cielo.

— Forse. Forse pero il dono sei tu… — Infilo di nuovo la scarpa nella sacca, con il viso nascosto dai lunghi capelli spettinati, scarlatti.

— Dove siete nata? — chiese Aaron, piuttosto incuriosito.

Lei si tiro indietro i capelli con uno scatto della testa e lo guardo. Alzo la mano a sistemare una forcina. Disse lentamente: — Adesso mi ricordo di voi. Il Mago e Sidney Halleck giocavano a poker. Voi guardavate le carte di Sidney.

Lui annui. — Sidney aveva anche la carta che vi raffigura.

Con le dita che tormentavano ancora la forcina, lei sembro all’improvviso accorgersi di lui; la sua statura e il suo peso, il timbro della voce, le rughe del viso che testimoniavano la sua scelta di vita, l’ombra della barba del mattino sulla mascella. Aaron vide che agli occhi della ragazza era diventato qualcosa di piu che un oggetto di scena nell’universo del Mago. Lei apri bocca per dire qualcosa, si arresto. Poi pronuncio la frase, in tono esitante, sorpreso: — Verrete a sentirmi suonare?

Aaron sorrise. Si senti stanco, poi piacevolmente stanco, e seppe che, per motivi ancora insondabili, quel giorno avrebbe dormito senza sognare.

— Ne saro felice — rispose.

Torno la sera dopo, e quella dopo ancora, e tutte le sere seguenti, sottraendo tempo ai suoi turni di pattuglia per scivolare dentro la porta del Constellation Club alle due, alle tre, alle quattro del mattino, per guardare lei. A volte aveva l’occasione di parlarle, a volte no. Le sere in cui era fuori servizio rimaneva ad ascoltare le prove dall’inizio alla fine, seduto al bar accanto a Sidney Halleck, mentre la squadra delle pulizie girava senza far rumore per il vasto locale, aspirando, lustrando. Anche se non era in grado di distinguere un cubista dall’altro, a volte i potenti ritmi controllati delle sue bacchette lo scuotevano come se sentisse l’irrequietezza, le parole di un essere nascosto sotto di loro nelle profondita della terra. Circondata dai cubi caldi e splendenti, con il viso concentrato e assente, bagnata dalla luce d’oro e dai fuochi interiori dei cubi, la ragazza riusci a evocare dalla mente di Aaron una parola che lui non sapeva nemmeno di conoscere.

— Sembra una fata…

Sidney, che sorseggiava birra accanto a lui, sorrise. — Forse lo e davvero. E comparsa dal nulla e ha esaudito il desiderio del Mago. Hai controllato in archivio se c’e qualcosa su di lei?

— No — disse Aaron, sorpreso. — Perche avrei dovuto?

— Lo fai sempre.

Aaron resto in silenzio. Si chiese se il mistero stava proprio li, in una delle schede del GLM. Tutta la sua ossessione si riduceva a un’unica, arida frase: moglie… deceduta. Una frase che non diceva nulla. La fuggevole visione di un compagno di viaggio nel triste deserto gelido che conosceva cosi bene poteva essere spiegata in modo altrettanto conciso da una o due parole negli archivi del GLM, ammesso che riuscisse a riconoscerle. Oppure, secondo gli standard del GLM, forse non meritava neppure una parola.

— Questa volta — disse piano, distogliendo il viso da Sidney — preferisco chiedere.

La ragazza sembrava attirata da lui, e durante gli intervalli gli si avvicinava chiacchierando amichevolmente, come una barca che sfuggisse la tempesta in un porto tranquillo. Gli disse molte cose. Aveva percorso strade a lui familiari, aveva visto gli stessi bar rumorosi e pieni di fumo, gli stessi club sfarzosi e inebrianti, aveva udito gli stessi brandelli di musica uscire da porte aperte quando la foschia dell’estate non tornava al mare e la luna piena era appesa nel cielo come un’arancia insanguinata. E tuttavia non gli disse niente.

— Perche non rispondi mai a una domanda diretta? — le chiese Aaron una notte, mettendo da parte la prudenza. Lei si limito a ridere.

— Per esempio?

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