Si scopri a sbadigliare; il Mago smise di suonare un la bemolle.
— Hai l’aria di chi non ha dormito — commento. Aaron alzo appena le spalle.
— Continuo a sognare. — Il Mago gli dedico un’attenzione impersonale, e lui aggiunse, come se parlasse fra se: — A volte attraverso periodi di brutti sogni… Sei mai stato sposato?
— Una volta. — Ridacchio, per qualche motivo. — Ci siamo lasciati da amici. E tu?
— Una volta. — Attese che un’altra nota si spegnesse. Il viso del Mago era calmo, assorto. La nota si arresto. Nel silenzio tutta la musica si arresto improvvisamente.
Aaron alzo la testa, vide che il Mago lo fissava. Il respiro gli si fermo; si senti rizzare i capelli. Per un attimo il fantasma di una donna si era levato, non richiesto, fra loro. Il Mago, con il viso pallido, gli occhi spalancati, sembrava scorgerla, sembrava aver raccolto dal luogo piu intimo della mente di Aaron un’eco del suo tormento. Aaron, irrigidito sotto lo sguardo del Mago, aspettava come un condannato che lui la riportasse indietro con le parole.
Ma era stata poco piu di una semplice sfumatura di angoscia. Gli occhi del Mago tornarono di nuovo al tasto che sfiorava.
— Un incidente?
Aaron degluti. — Si.
— Mi spiace. E questo che continui a sognare?
— Ritorna, di tanto in tanto.
— Non me ne hai mai parlato.
— No. — C’era un duro avvertimento nella sua voce. Il Mago chino la testa sul lavoro. Il si bemolle risuono una volta, due. Aaron sospiro. Parlo di nuovo e la nota si smorzo. — E… Ho sempre trovato difficile parlare di cose del genere. Forse e per questo che sono costretto a sognarle.
— E probabile. Scusa se te l’ho fatto ricordare.
— Non sei stato tu — disse Aaron disperatamente. — Ti sei limitato a tirarmelo fuori dalla testa. Ti sei limitato…
Il Mago lo guardo di nuovo, cercando di ricordare. Il tasto si muoveva ancora sotto le sue dita. Il suo viso aveva perso il colorito e la serenita; gli occhi si erano leggermente socchiusi, come sotto un vento gelido. — Era nella tua voce.
Aaron scosse la testa, ostinato. — Era nel silenzio che ha seguito la mia voce.
Il si bemolle risuono ancora una volta. Poi il Mago alzo la mano, si tocco gli occhi con le dita. Si avvicino al bordo del palco e si lascio cadere vicino ad Aaron.
— Non lo so. Puo darsi.
— Sei cresciuto con questo dono?
— Che mi ricordi, non l’ho mai fatto di proposito. Non ci bado affatto. A volte sento delle cose, tutto qui. Succede a tutti. Anche a te.
— Io non ti tiro fuori cose dalla mente.
— Perche non ci conservo molto, oltre alla musica — disse il Mago, in tono cosi ragionevole che Aaron sorrise. — In questo momento ci conservo il suono di quel si bemolle. Lo ascoltavo, ne sentivo la vibrazione nell’aria quando ti sei messo a parlare; forse ho anche raccolto accidentalmente da te qualche sfumatura sottintesa. — Si interruppe, rimettendosi in ascolto, o scandagliando il silenzio. Aaron resistette all’impulso di scostarsi da lui. Tenne gli occhi fissi su una porta lontana per escludere il Mago dalla sua vista e lascio che il suo silenzio escludesse il Mago dalla sua mente.
Non udi il Mago muoversi; il si bemolle risuono ancora, delicato, remoto. Si accorse di aver ripreso a respirare, di aver ripreso colore. Allora desidero che le parole tornassero, perche perfino lui riusciva a sentire il gelo che il Mago aveva lasciato nell’aria. I fantasmi, ricordo, emanano freddo. Si giro, senza sapere se le parole avrebbero superato l’irrigidimento che si sentiva in gola. Ma il Mago si era di nuovo chinato sul piano, lasciando Aaron alla sua intimita. Aaron si giro di nuovo, fisso la porta aperta, e per un attimo gli parve che fosse un ingresso verso il nulla, verso un mondo in cui scorrazzavano fantasmi, alla ricerca del passaggio inesistente che li avrebbe riportati al passato.
La porta si spalanco.
Aaron si blocco sulla rampa, intrappolato, nonostante tutto il suo allenamento, da un’ambiguita. Una donna apparve fra le ombre; lui la guardo, senza muoversi, senza respirare. Lei lancio un’occhiata al palco, al Mago perso dentro il piano, intento a rafforzare e ingentilire quell’unico piccolo suono che ne traeva. Si richiuse piano la porta alle spalle. Usci dall’ombra, e Aaron riprese a respirare.
La donna indossava un’argentea tuta sgualcita. La sacca rigonfia che portava a spalla traboccava di cose bizzarre: merletto nero, seta rossa, un tacco coperto di strass, un paio di bacchette per cubi dipinte di rosa. Il suo viso ammicco nella luce, il luccichio dei capelli rispecchio la lucente maschera di vernice d’oro cosi liscia e ricca che Aaron provo un desiderio improvviso di toccarla per vedere se era calda come sembrava. I suoi capelli, lunghi, scompigliati, scarlatti come il colore d’una carta da gioco, gli solleticarono la memoria. E allora lei lo vide; i suoi passi rapidi persero il ritmo, attardandosi. La sua testa si giro verso di lui; i suoi occhi, ben distanziati, profondi, grigio opaco, gli restituirono lo sguardo. “Conosco quegli occhi”, penso lui, nuovamente all’erta, mentre il ricordo si sforzava di emergere. “Li conosco”. Passarono secondi, o forse intere ore fra un passo e l’altro, mentre lui estraeva il ricordo da se stesso, da lei. Gli occhi della donna cambiarono, oscurati come da un improvviso mutare della luce, e Aaron finalmente capi cio che credeva di riconoscere in lei: lo stesso tormentato mondo interiore in cui anche lui viveva.
Poi lei lo chiuse fuori, lo lascio a fissare la maschera. Il suo passo divenne di nuovo veloce; giro la testa verso il Mago, cominciando a sorridere mentre lui cercava a tentoni un altro tasto. Il sorriso divenne una risata, forte, esuberante, e il Mago si scosto dal piano girando di scatto la testa verso di lei.
— Signora dei Cuori!
Eccola qui, penso Aaron, ricordando la mano di poker di Sidney. Scala matta.
Lei rise ancora mentre il Mago balzava giu dal palco, e gli getto le braccia al collo. Degli oggetti caddero per terra: una bacchetta per i cubi, e dai capelli una forcina a forma di cuore. Era una donna dello spazio, si rese conto Aaron. Muscoli snelli e ossa lunghe, il tipo di corpo fatto per librarsi nell’assenza di peso.
— Magico Capo, sei ancora qui! Dopo tutti questi anni! Non riesci a strapparti dai pianoforti di Sidney?
— Continua a trovarmene di nuovi. — La tenne scostata, per guardarla meglio. — Dove vai girando, alle quattro del mattino? L’ultima volta che ho sentito parlare di te, eri in tournee con i Ramjet.
— Non ho potuto venire prima — disse lei vagamente. — I Ramjet… Oh, li ho lasciati un mese fa.
— Perche?
Lei alzo le spalle; un’altra forcina a forma di cuore cadde per terra. — Mi ero stufata.
— Nel bel mezzo di una tournee completa del Settore?
— Be’ si, ma sono rimasta fino alla fine del giro. Magico Capo, sembri… sembri… — Getto le braccia in aria, rise di nuovo, gli tocco le spalle. — Sei uno spettacolo per i miei occhi, come tornare a casa o roba del genere. Ho sentito la mancanza delle tue esecuzioni di Bach. Nessun altro suona il piano. Oh, qualche complesso lo fa, ma non cosi. Non come te. Comunque. Ti ho visto. Ma non avuto tempo di… Suono qualche isolato piu avanti. Lo so che non ascolto la tua musica da un pezzo, ma ho suonato di tutto. Persino… — Guardo Aaron, continuando a sorridere. — Il
— Hai suonato il PRM? — chiese incredulo il Mago. Aaron, affascinato dal delicato turbinio di parole, si chiese se la ragazza avesse sniffato qualcosa. No, si disse poi. Pareva che il Mago ci fosse abituato.
— Be’, volevo suonare ogni tipo di musica.
— Il PRM non e…
— Magico Capo, possiamo discuterne piu tardi, davanti a un barile di birra. Oppure bevi ancora scotch? Comunque, se vuoi, puoi venire a sentirmi suonare prima di dire si o no, e non mi offendero se… dopo tutto, quanti anni sono? Cinque anni, da quando suonavo con te? E poi…
— Si o no a che cosa? — chiese il Mago, completamente sbalordito.
— A me. Ho incontrato il Giocatore l’altra sera allo Starshot, dove ho suonato quest’ultima settimana. Si era attaccato al bar come se fosse sua madre, e sembrava uno spaventapasseri terrorizzato. Lo sai che aspetto ha.