che preoccupava l’altro me stesso, e non poco. Dissi: — Torniamo alla mia domanda. Il vostro Presidente dara retta al nostro senza recalcitrare? Nel nostro universo i Reagan e Jerry Brown non sono precisamente amiconi.

— Questo che c’entra? Lei fara quel che deve fare. Ha giurato di difendere e proteggere gli Stati Uniti…

— Si. Ma quali? — chiesi io. — Il nostro Presidente ha fatto lo stesso giuramento, e non fa altro che mantenerlo. — Lo manteneva perche ci era costretto, quel pappamolla. Ma questo non lo dissi. — E il miglior modo che la vecchia Nancy ha di proteggere voialtri e di lasciarci fare quel che vogliamo. Hai un’idea dell’alternativa che ci lascereste? Noi abbiamo i muscoli! Volete forse che piazziamo un po’ di anthrax nella Casa Bianca? O Smallpox-B sopra Times Square? — La sua espressione mi fece ridere. — Che c’e, credevi che potessimo usare le bombe all’idrogeno? No, non vogliamo distruggere delle ottime proprieta immobiliari.

— Ma le armi biologiche sono… — S’interruppe, accigliato. Stava per dire che erano contro le leggi internazionali o qualcos’altro.

— Dopo il Salt Due — spiegai, — dovevamo fare qualcosa. Percio abbiamo lavorato in altre direzioni.

— Cos’e il Salt Due? — chiese. Poi sbuffo: — No, all’inferno, non voglio lezioni di storia da te. Tutto quello che voglio e che ve ne torniate tutti quanti da dove siete venuti e ci lasciate in pace. E dubito che lo farete. Se ti interessa saperlo, voialtri mi date il voltastomaco.

Che razza di testardo era! Avrei potuto esser fiero di quel me stesso, se non fosse stato cosi irritante. — Dom! — esclamai. — Voi pure vi stavate preparando, in un modo o nell’altro… altrimenti perche lavoravate a questo progetto, qui alla Casa dei Gatti?

— Perche… — comincio lui, e tacque. La sua espressione era gia una risposta. Cambio argomento: — Hai una sigaretta?

— Ho smesso — rivelai, soddisfatto.

Lui annui con fare pensoso. — Non credevo che avrebbe funzionato sul serio — mormoro.

— Pero ci stavi provando, ragazzo, no? Cosi dove sta la differenza? Noi non facciamo nulla che non avreste fatto anche voi, se aveste finito queste ricerche prima di noi.

— Questo… questo e da vedersi — disse. Onesto, da parte sua. Non aveva detto «Questo non e vero».

— Allora, vuoi darci una mano a convincere il tuo presidente?

Stavolta non ebbe esitazioni: — No.

— Neppure per salvare, forse, moltissime vite umane?

— No, neppure per questo. La resa e da escludersi, Dom… e non sono sicuro che pur di salvare la vita a pochi americani accetterei di veder uccidere qualche milione di russi.

Lo fissai stupefatto. Era mai possibile che io — in ogni incarnazione — fossi un tale sciocco smidollato? Ma lui non aveva l’aria di uno smidollato. Si appoggio allo schienale della seggiola, scrutandomi, e d’un tratto parve piu alto e piu sicuro di se. — Avanti, qual e la cosa che ti preoccupa, Dominic? — chiese.

— Che vuoi dire? — sbottai.

Lui enumero i pensieri mentre gli venivano alla mente: — Mi sembra che ci sia qualcosa di cui non mi hai parlato, e che ti preoccupa. Forse posso indovinare cosa. O forse ne sono lontanissimo. Il motivo per cui sono stato chiamato qui e che c’era qualcun altro che annusava attorno. E apparentemente era a conoscenza di cio che voi sareste venuti a fare. Se fossi al tuo posto credo che mi preoccuperei molto di lui. Chi e? Da dove viene? A cosa mira?

Avrei dovuto saperlo che era difficile tener segreto qualcosa a me stesso. Non ero mai stato un ingenuo, tantomeno nelle vesti di quel senatore. Aveva messo il dito proprio sulla piaga… o su una delle piaghe.

Dissi, sottovoce: — Viene da un tempo parallelo, Dom.

— Questo l’avevo capito anch’io — borbotto, impaziente. — Vi ha gia fatto altre visite?

— No. Non esattamente. Non lui. — Ma non volevo parlargli dell’altro visitatore, quello che avevamo catturato e che ora sedeva in una tenda dall’altra parte del portale, sotto sorveglianza, arrovellato dal timore che i suoi potessero rintracciarlo e fargli pagare l’aiuto che ci aveva dato nella realizzazione del portale. — Comunque abbiamo avuto un visitatore. Forse piu d’uno.

— Continua.

Dissi: — Hai mai sentito parlare del «rimbalzo»?

— Rimbalzo in che senso?

— Nel senso di «azione e reazione». Quando tu oltrepassi la pellicola, o qualsiasi altra cosa sia, che separa un universo dall’altro c’e una specie di effetto di conservazione della massa. Qualcosa se ne va, qualcosa deve prenderne il posto.

Si acciglio. — Vuoi dire che altre persone vengono spostate avanti e indietro?

— Non proprio persone. E complicato. Dipende dal tipo d’urto che questa pellicola subisce. Qualche volta e solo energia: luce, oppure onde sonore. Qualche volta masse d’aria trasportate avanti e indietro. O anche piccole cose… uccelli in volo, magari. E qualche volta e molto di piu.

— E questo sta accadendo qui?

Di malavoglia ammisi: — Sembra di si, Dom. E non solo qui.

Si alzo e ando a guardar fuori dalla finestra. Lo lasciai riflettere. Da sopra una spalla disse: — Ho l’impressione che voialtri abbiate trovato il modo di scoperchiare il vaso di Pandora, Dom. — Io non feci commenti. Si giro a guardarmi. — Vuoi procurarmi delle sigarette, per favore? — disse stizzosamente. — Questa faccenda e dura da prendersi con calma.

Per un momento mi chiesi se seguire la linea dura con lui o meno. Decisi di no. — Figurati. I polmoni sono tuoi. — Premetti i pulsanti dell’intercom sulla scrivania finche non ebbi scoperto quale corrispondeva al locale delle ordinanze, e chiesi che la sergente Sambok portasse da fumare. — Dunque — dissi, — vediamo di quadrare intanto questa faccenda. Vuoi aiutarci?

— No — disse semplicemente lui.

— Neppure davanti al rischio di cui ti ho parlato? Neppure quando in ogni caso la tua patria non ha difesa contro di noi?

— Tu hai voluto entrare in questa faccenda, Dominic. Tuo e il compito di portarla avanti. Senza di me. — Il suo tono era definitivo. Si volse alla porta, da cui stava entrando Nyla Sambok con una stecca di sigarette PX per le forze armate.

E tutto ad un tratto il mio poco amichevole doppione lascio perdere la recita del prigioniero nome/grado/numero di matricola, per assumere un’espressione completamente diversa.

Che diavolo gli stava succedendo? I suoi occhi s’erano sbarrati sulla sergente come dinnanzi a uno spettro. Non avevo mai visto tanto sbigottimento, rabbia e angoscia su un volto umano… tantomeno sul mio!

Un uomo di nome Dominic DeSota era seduto davanti a uno schermo. Le sue dita operavano sui pulsanti, registrando e analizzando. Senza alzare le mani dalla tastiera parlo in un piccolo microfono che aveva agganciato al collo: Capo? Questo e il piu lontano, finora. Sembra che in esso non ci sia assolutamente traccia di vertebrati.

24 Agosto 1983 Ore 9,20 del mattino — Senatore Dominic DeSota

Quando feci ritorno al recinto che era diventato la mia residenza provvisoria, quello eretto nell’area di parcheggio J-3, scoprii di aver perduto la prima colazione. E avevo perduto anche sei dei miei compagni di prigionia. All’interno della rete era rimasta una dozzina dei militari di stanza alla Base, compresi due graduati che adesso (e con l’aria di vergognarsene) indossavano divise del personale di mensa e stavano raccogliendo i vassoi e gli avanzi di cibo lasciati in terra dagli altri. Un soldato in tuta, con una fascia verde al braccio e un’automatica in pugno, li sorvegliava pigramente. Uno di quelli del maggiore DeSota, senza dubbio.

Ma dei pochi civili che quella notte avevano dormito accanto a me avvolti in una coperta non ce n’era piu neanche uno. La cosa desto la perplessita del caporale che mi aveva riportato li, e lo vidi parlottare preoccupato con l’altra guardia. Ma io non mi chiesi dove fossero finiti. Gli interrogativi che mi stavano tormentando erano altri.

E tutti riguardavano una sola persona: Nyla Bowquist!

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