dell’usurpatore che, imbottito di morfina, stava adesso russando sonoramente davanti a lui.
Minhea tiro ancora piu forte e l’anello si sfilo dal dito indice di Lugosi; lo infilo in tasca, quindi si giro e usci nel corridoio.
Percorse alcuni metri prima di udire dei passi provenienti dalla direzione opposta alla sua. Aveva riconosciuto i coniugi Balaj che venivano verso il camerino di Lugosi: la donna aveva tra le mani un grande mazzo di fiori. Sapeva che era quasi impossibile che i due non l’avessero visto mentre si nascondeva in un altro camerino vuoto, ma sperava che non lo avessero riconosciuto.
Quando ebbe raggiunto la sua camera nell’hotel di Las Vegas, Minhea depose l’anello sullo scrittoio e rimase a rimirarlo, ancora incredulo, per una buona mezz’ora, poi prese carta e penna e si accinse a scrivere all’unico amico che avesse.
«La lettera», disse Sciarra estraendo dalla tasca un foglio di carta ingiallito dal tempo e cominciando a leggere, «si conclude con queste parole: ‘Adesso che la mia missione e compiuta, credo che mi fermero qui negli States per qualche tempo: devo pur festeggiare il coronamento di un sogno che ormai si era trasformato in un’ossessione che mi ha accompagnato per tutta la vita. No, non aver paura, Alberto: niente piu alcol. Sono stato assente troppo tempo dal mondo per bruciare in quel modo anche un solo secondo della vita che mi rimane. Tu e Kimber mi mancate’.»
Alberto Sciarra aveva ricevuto la lettera nove giorni dopo che era stata spedita. Il generale italiano l’aveva letta con trepidazione ma, a discapito delle parole di Minhea, non riusciva a sentirsi sollevato: aveva la sensazione che non tutto fosse finito e che una grave minaccia incombesse sul suo amico.
Era notte fonda quando, nella camera da letto di Kimberly e Alberto, era squillato il telefono. I tempi in cui Sciarra veniva svegliato di notte per problemi connessi al lavoro erano ormai lontani. Doveva essere successo qualche cosa di grave.
«Una chiamata da New York per lei, signore», aveva detto la voce di una centralinista.
«Sono Cesare, il vicedirettore dell’hotel Plaza di New York. Parlo con il generale Alberto Sciarra della Volta?»
«Sono io, Cesare, che cosa e successo?»
«Una terribile disgrazia, marchese Sciarra», disse sconvolto il dirigente dell’albergo newyorkese.
«Che cosa e successo?»
«Il signor principe… oh mio Dio, che cosa orribile… si e gettato dalla finestra della sua stanza poche ore fa. Un volo di otto piani. Non c’e stato nulla da fare.»
Alberto rimase ammutolito, con la sensazione che il suo cuore avesse cessato di battere. Ebbe solo la forza di chiedere: «Come e successo?»
«La polizia ha appena completato le indagini: sono certi si tratti di suicidio. Nella stanza sono state rinvenute molte bottiglie e alcuni degli abiti del principe Petru erano impregnati di liquore: per questo sono giunti alla conclusione che il signor principe, ubriaco, si sia lanciato nel vuoto.»
Pochi istanti piu tardi Alberto riagganciava il ricevitore.
Kimberly gli cinse le spalle con un abbraccio: aveva capito che cosa era successo e non riusciva a trattenere le lacrime.
«Domani stesso partiremo per New York. Dobbiamo riportare Minhea in Europa e inoltre io voglio vederci piu chiaro in questa storia, Kimber: ci sono alcune cose che non mi tornano.»
Sciarra benedisse i quattro motori Wright Cyclone che equipaggiavano il Lockheed Constellation della compagnia irlandese che li stava portando a New York: non avrebbe sopportato i tempi lunghi della navigazione, con l’angoscia che gli attanagliava lo stomaco.
Cesare era andato personalmente all’aeroporto a prenderli. Non appena giunti al Plaza, Sciarra si reco nella stanza di Minhea: non vi regnava lo stesso ordine della volta precedente.
«La polizia ha portato via ogni cosa ritenuta importante per fare luce sui motivi del suicidio», disse Cesare.
«Sa se hanno preso anche un antico anello d’oro? Un sigillo con una stella a sei punte.»
«No, ne sono certo. Sono stato presente alla perquisizione e ho firmato io stesso la lista degli oggetti che venivano prelevati: nessun anello d’oro.»
Quando Kimberly e Alberto giunsero al distretto di polizia di Manhattan, si resero conto di quanto l’industria cinematografica avesse erroneamente esaltato l’efficienza delle forze dell’ordine americane. Vi regnava lo stesso incredibile caos che ci si potrebbe aspettare negli uffici della polizia di Mombasa subito dopo una retata: sembrava che nessuno avesse sotto controllo la situazione.
«Si accomodi, signor Sciarra. Lei e sua moglie parlate inglese?»
Sciarra riconobbe nel detective che li aveva accolti la stessa persona che, anni prima, li aveva informati che Minhea era uscito dal carcere la mattina in cui era stato investito.
L’italiano rispose con un cenno affermativo, evitando di dire al poliziotto che si erano gia incontrati tempo addietro.
«E evidente che il vostro amico si e suicidato a seguito di una grave crisi depressiva. Questa e la conclusione a cui siamo approdati attraverso le nostre indagini.»
«A volte cio che appare evidente puo trarre in inganno, detective», disse Alberto con aria severa.
«Non avrei voluto arrivare a questo: anche se sono vecchio del mestiere non mi e mai piaciuto infangare la memoria di chicchessia.» Cosi dicendo il poliziotto tiro fuori da un cassetto della scrivania due bottiglie vuote e prese a scorrere un vecchio registro: «Minhea Petru — tralascio i nomi che seguono e i titoli nobiliari — nato a Sighisoara in Romania, e stato arrestato per consumo di sostanze alcoliche nel 1931. E queste bottiglie vuote rinvenute nella sua stanza confermano il fatto che non aveva perso il vizio col passare degli anni. Sono convinto che il vostro amico si sia gettato dall’ottavo piano del Plaza completamente ubriaco: addirittura i suoi vestiti erano impregnati di liquore».
«Ho la sensazione che siate fuori strada. Minhea mi aveva assicurato soltanto pochi giorni fa che non sarebbe mai ricaduto nel baratro dell’alcolismo.»
«Le solite promesse degli schiavi del vizio…»
«La pregherei di moderare i toni delle sue considerazioni e di essere meno superficiale, detective. Lei non conosce la storia di Minhea Petru e la grave malattia che lo ha portato lontano dall’alcol.»
«Non ho avuto questo onore, ma leggo quello che c’e scritto in questa pagina: il suo amico era un alcolista sin dal 1931.»
«E stata disposta un’autopsia?»
«Si, ma i risultati non ci sono ancora pervenuti… anche se non credo ci saranno sorprese…»
«Posso vedere gli oggetti prelevati dalla stanza del principe Petru?»
Dopo una rapida occhiata al sacchetto trasparente che conteneva l’orologio, la molletta portasoldi d’oro e qualche centinaio di dollari in contanti, Alberto riprese: «Qui manca un oggetto di grande valore e per il mio amico molto importante. Un oggetto che e sicuramente stato trafugato dalla stanza di Minhea: un antico anello in oro».
«Non c’era nessun anello d’oro nella stanza. Io stesso ho diretto l’ispezione.»
«E io le dico, detective, che l’anello c’era e che potrebbe essere stato la causa del volo nel vuoto di Minhea Petru.»
«Ha delle velleita investigative, signor Sciarra?»
«No, detective, voglio solo far luce su una vicenda che coinvolge il migliore dei miei amici. Purtroppo lui non potra mai raccontarci come e andata veramente, ma l’autopsia forse potrebbe indicarci la strada.»
«L’autopsia dimostro con certezza che Minhea Petru non aveva ingerito alcuna sostanza alcolica nelle ore precedenti la sua morte. In compenso, alla base del collo, l’esame necroscopico aveva riscontrato una tumefazione non collegabile con la caduta, ma provocata in precedenza. Il caso venne riaperto, pero nessuno venne incriminato per l’omicidio, benche io avessi raccontato agli inquirenti dell’ultima lettera di Petru e dell’ambiguo ruolo svolto nella storia dai coniugi Balaj.»