analogo a quello del colonnello Lawrence.
Erano trascorsi due mesi da quel saluto. L’attivita di Sciarra non si era fermata un attimo. Aveva arruolato un migliaio di uomini, che ora erano accampati nei pressi di Deir el Balah, ove aveva sede il comando del corpo orientale delle truppe alleate. Il colonnello italiano si trovava invece pochi chilometri piu a nord-est, in vista della citta di Gaza.
L’altura di Sansone si eleva per circa duecento metri a picco sul mar Mediterraneo. Due pattugliatori inglesi sorvegliavano le coste, sfilando a moto lento appena al di fuori della portata dei cannoni turchi.
La collina bunker 164 si trovava lungo la linea del fronte: da li venivano sferrati i continui attacchi alle guarnigioni turche arroccate all’interno di Gaza. La postazione era stata presa nel corso degli scontri dell’aprile 1917 e da allora era rimasta in mano alla centosessantesima brigata inglese.
Sciarra avrebbe dovuto penetrare nella citta e cercare di fomentare una ribellione interna, grazie anche all’aiuto di alcuni capitribu fedeli alla causa inglese. Tutto era pronto per la sortita: il colonnello, travestito da arabo, sarebbe stato accompagnato da un suo uomo, cugino dello sceicco di Gaza. La notte era calma e senza luna. Sciarra chiuse il quaderno sul quale era solito annotare le sue sensazioni. Chiuse anche il Registro Militare, dove aveva trascritto, seguendo le direttive dello stato maggiore, ogni azione degna di nota.
Usci nella notte d’Oriente. Respiro a pieni polmoni l’aria secca e fredda. In quell’istante scoppio il finimondo.
L’artiglieria turca comincio a bersagliare con tiri di grosso calibro la collinetta fortificata. Una granata scoppio a poca distanza dal colonnello italiano, e Sciarra fu sbalzato in aria e scagliato a diversi metri di distanza. Forse perse anche i sensi, ma per pochi istanti. Non appena si riprese e le orecchie smisero di dolergli, sollevo verso il volto ferito la mano sinistra: era ridotta un ammasso di carni e ossa sanguinolente. Sedette in un angolo: stava perdendo molto sangue. Sgancio il laccio di cuoio dal calcio del revolver e lo uso come laccio emostatico. Quindi il buio calo di nuovo nella sua mente e lui si accascio privo di sensi.
«Che ne dice se ritorniamo a piedi sino a Cortina, signor Breil?» chiese Sciarra, impugnando il bastone da passeggio in legno.
«Volentieri, generale. Se non e troppo pesante per lei.»
«Se dovessi nuotare forse mi troverei in difficolta», disse l’italiano indicando il moncherino coperto da un guanto di pelle nero, «ma alla mia eta una buona camminata e quello che ci vuole per mantenersi in forma. E mentre camminiamo, continuero a raccontarle della mia vita, sempre che lei non sia stanco di ascoltarmi, signor Breil.»
«E impossibile stancarsi, generale.»
«La guerra e finita!» L’urlo giro di bocca in bocca. In pochi minuti l’intero porto di Genova assunse le sembianze di una nave sulla quale si stesse svolgendo una festa scatenata: la gente ballava e gridava tra le merci e i bancali pronti per essere caricati. Ogni attivita venne sospesa per dare sfogo alla felicita irrefrenabile che era seguita al primo momento di incredulita.
Ma purtroppo gli assenti giustificati alla festa erano molti: gli italiani avevano perso seicentocinquantamila militari, i francesi un milione e trecentomila, l’impero britannico quasi un milione, oltre trecentomila la Romania. Quasi tre milioni erano i soldati caduti tra le fila della Triplice alleanza e dei suoi alleati. E tra i civili i morti erano stati piu di sette milioni.
Quegli spettri avrebbero influenzato, in un modo o nell’altro, la storia del ventesimo secolo. Ma invece di servire da monito alle genti, mettendo in guardia il mondo sulle infamie della guerra, divennero pretesto per rivendicazioni e aspre vendette.
La voce amplificata dagli altoparlanti all’interno dei magazzini del cotone si diffuse sino agli angoli piu reconditi della grande struttura a ridosso dei moli. «Siete tutti dispensati dalle operazioni di carico e scarico. Oggi, lunedi 4 novembre 1918, la guerra e finita. Che Dio benedica l’Italia vincitrice.»
Chi aveva parlato era colui che alcuni tra i dipendenti chiamavano «Manina di legno». Un urlo di gioia risuono nel capannone.
Anche Alberto Sciarra della Volta, «Manina di legno» per alcuni e «il Generale» per tutti, si concesse una pausa dalle sue quotidiane operazioni. La guerra, anche per chi restava lontano dal fronte, significava enorme mole di lavoro, alla quale non corrispondeva alcuna garanzia di guadagno: tutto poteva succedere ed era pressoche impossibile assicurare qualsiasi carico. Gli U-Boot tedeschi erano in agguato nel Mediterraneo come branchi di lupi famelici. Una nave dispersa poteva significare il fallimento. Per fortuna la rinomata agenzia marittima Sciarra della Volta era sempre riuscita a evitare gravi perdite.
La felicita che Alberto provava in quel momento era enorme, gli pareva di poter toccare il cielo con un dito. Un piroscafo battente bandiera inglese, ormeggiato a poca distanza dalla banchina, emise un primo, lungo fischio di sirena. E in risposta a quel segnale, in breve tutte le navi presero a suonare. Sciarra rimase a guardare quello spettacolo, assaporando il gusto della pace e della liberta.
Il generale Sciarra della Volta era stato congedato dall’esercito in seguito al suo ferimento e all’amputazione della mano. Da allora si era dedicato anima e corpo al lavoro: quello era l’unico sistema con cui poteva essere d’appoggio alla sua patria.
Il piroscafo inglese, pronto a salpare alle sue spalle, emise un altro lungo suono. Alberto non ci penso due volte: conosceva il comandante della nave dal momento che la sua agenzia aveva provveduto a effettuare le forniture di bordo. Sali lo scalandrone di corsa, senza voltarsi indietro e senza pensarci troppo: i suoi collaboratori, per la prima volta da qualche anno, si sarebbero dovuti arrangiare da soli. Entro cinque giorni Alberto Sciarra sarebbe arrivato a Londra.
Il treno ospedale si fermo sotto le ampie volte di Victoria Station nel mezzo della notte. Fuori dalla stazione c’erano ambulanze e carri militari con la croce rossa in campo bianco dipinta sulle fiancate o sui teloni di copertura.
Le operazioni di sbarco iniziarono immediatamente, tra lo strazio dei militari feriti e gli sguardi compassionevoli dei pochi presenti. Uno di questi, benche fosse mutilato della mano sinistra, vedendo che c’era bisogno di trasportare le lettighe giu dal convoglio si diede da fare per essere d’aiuto.
Kimberly scese dal vagone: per gli addetti della Croce Rossa la fine della guerra aveva coinciso con il peggioramento delle loro gia impossibili condizioni di lavoro. C’erano malati da rimpatriare, ospedali da smobilitare, morti da seppellire, famiglie da consolare. Poco dopo il congedo di Alberto, Kimberly era stata destinata al fronte europeo: l’occupazione di infermiera era una copertura alla sua reale attivita di agente del controspionaggio, ma cio non la dispensava affatto dallo svolgere le sue mansioni di crocerossina. E quando erano cessate le ostilita, la giovane aveva preferito trattenersi al fronte per essere utile la dove piu c’era bisogno di aiuto. Scriveva una lettera ogni settimana all’unico uomo al quale si fosse mai concessa, ricevendo di volta in volta la sua puntuale risposta. Ma per quanto tempo sarebbe andato avanti il loro amore? La distanza che li separava avrebbe potuto allontanare i loro cuori. Sino al punto di compromettere anche il piu sincero dei sentimenti. Era meglio che non si facesse illusioni sul destino del suo legame con l’ufficiale italiano: sarebbe finito presto. Molto presto. Lei avrebbe sofferto, ma era una donna di carattere…
«Signor colonnello, vi prego!»
Stava camminando sfinita lungo la banchina della stazione, quando una voce dietro le sue spalle la costrinse a voltarsi. «Signor colonnello, sono un soldato di montagna che e sceso con un dirigibile rubato al nemico su una citta in guerra. Sono stato spedito nel mezzo di un deserto infuocato che ho attraversato a dorso di cammello. In tutto questo non ho mai smesso di amarvi. Volete sposarmi, colonnello Kimberly Hadwin?»
Gli occhi di Kimberly si riempirono di lacrime di gioia, mentre si girava verso il punto da cui proveniva la voce. Non vide nulla, tranne le dense nubi di vapore di una locomotiva che stava mettendosi in moto, ma le sue braccia si aprirono pronte ad accogliere colui che sarebbe sbucato dalla nebbia. Quando riconobbe il sorriso di Sciarra, l’uomo era gia stretto nel suo abbraccio appassionato.
Kimber e Alberto non volevano rassegnarsi al fatto di non riuscire ad avere dei figli. Ci avevano provato e riprovato, si erano rivolti a molti specialisti che non erano pero riusciti a risolvere il problema.