Genova aveva accolto la moglie inglese del potente agente marittimo mostrando la consueta indifferenza, velata di curiosita, con cui le piccole citta accolgono gli stranieri. Ma a Kimber erano stati sufficienti pochi mesi di matrimonio per capire che non avrebbe piu potuto fare a meno del sole del Mediterraneo e, soprattutto, di avere Alberto accanto. C’erano stati momenti difficili, ma insieme erano riusciti a superare qualsiasi ostacolo con lo stesso entusiasmo con cui avevano affrontato le difficolta della guerra. Anche la dolorosa mancanza di figli non era riuscita a minare l’affiatamento di quella che tutti consideravano una coppia perfetta.

L’attivita di Alberto era impegnativa e richiedeva la sua assidua presenza e una reperibilita pressoche costante, ma egli aveva sempre cercato di ritagliare del tempo per loro e dedicava a Kimber ogni istante libero dagli impegni di lavoro.

«Le navi non sanno leggere le lancette dell’orologio», ripeteva Alberto ogni volta che, chiamato dai suoi collaboratori, era costretto a correre al porto a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Dopo circa un anno di matrimonio Kimber aveva espresso il desiderio di essere d’aiuto in azienda: trascorrere le sue giornate tra merende di beneficenza e te con pasticcini nel centralissimo caffe Mangini non le si addiceva per niente.

Alberto l’aveva accolta con l’intesa che, se fosse rimasta incinta, avrebbe lasciato il lavoro. Ma i figli non erano venuti e Kimber si era rivelata una pedina insostituibile in un’impresa che si andava espandendo a vista d’occhio.

Ormai, dei tempi della guerra era rimasto un lontano ricordo e ne parlavano raramente.

Cio che non era andata perduta era la corrispondenza con Minhea che, a quanto scriveva, continuava la sua ricerca dell’Anello dei Re. Con Lawrence il rapporto epistolare si limitava invece agli auguri in occasione delle festivita o a qualche telegramma o lettera di congratulazioni in occasione di nuovi riconoscimenti per il colonnello inglese. L’eroe d’Arabia aveva raggiunto posizioni di rilievo nelle gerarchie politiche: apparentemente osannato da tutti, sembrava lanciato verso la piu fulgida delle carriere. Ma a un occhio esperto non sarebbe sfuggito che quella era l’arma con cui i politici sapevano confinare gli eroi scomodi perche troppo dotati di intelligenza e di ambizione: davano loro delle redini di paglia da tenere, pronti a disarcionarli alla prima occasione e a relegarli nell’oscurita.

Caro Thomas,

ho appreso dalla stampa dei vostri incontri con Winston Churchill per discutere la situazione mediorientale. Conoscendo voi e l’interesse che vi lega a quella tribolata regione, sono convinto che saprete indirizzare i leader del vostro paese verso la scelta piu appropriata perche i valorosi popoli d’Arabia possano infine godere di pace e autonomia. Apprendo altresi dei difficili negoziati che state conducendo con re Hussein. Anche la stampa italiana ha dato grande risalto ai contenuti del trattato dell’Hegiaz, condotto in porto grazie al vostro intervento. Sono fiero e onorato di potermi vantare della vostra amicizia. Vogliate gradire i miei piu sinceri e fraterni auguri di un indimenticabile Natale e di un prospero 1922. Con sincero affetto,

Alberto

Questa lettera fu spedita nel dicembre del 1921. Quasi nello stesso istante in cui Sciarra sigillava la busta, il piroscafo Re Vittorio ormeggiava nel porto di Genova.

Come la gemella Regina Elena, era stato costruito nel 1908 e aveva una stazza lorda di circa ottomila tonnellate. I due fumaioli neri con una grande banda bianca — il nero e il bianco erano i colori della Navigazione Generale Italiana — erano disposti tra due alberi in legno sui quali si trovavano le antenne radio e le luci di via.

Durante il periodo bellico la nave era stata adibita al trasporto truppe e aveva avuto fortuna migliore della gemella, affondata dal siluro di un U-Boot tedesco nel 1918.

Riarmata e adibita al trasporto passeggeri per e dalle Americhe, la Re Vittorio poteva alloggiare un centinaio di passeggeri in prima classe, piu del doppio in seconda e milleduecento in terza.

Ora, dopo aver fatto scalo a Trieste e a Napoli, si era fermata a Genova, prima di solcare l’Atlantico con destinazione New Orleans.

Come faceva spesso, Sciarra si reco a bordo della nave e trascorse mezz’ora in piacevole compagnia del comandante, un simpatico ligure con un paio di candidi baffi da tricheco.

«Una cortesia, generale Sciarra», disse il comandante mentre stavano per congedarsi, «assieme alle provviste di bordo e a quant’altro troverete nella lista, il mio direttore di macchina insiste perche gli venga fornito un lubrificante speciale, fondamentale per il funzionamento delle sue diavolerie a vapore. Sono certo che soltanto la Sciarra della Volta sia in grado di accontentare le bizzarre richieste del mio ufficiale. Pare che senza quell’ingrassante la Re Vittorio rischi di restare in mezzo all’oceano con entrambi i motori in avaria.»

«Non preoccupatevi, comandante. Col vostro permesso vorrei raggiungere il vostro sottoposto in sala macchine per farmi spiegare da lui di che cosa abbisogna.»

Sciarra scese a passo veloce nel ventre della nave, lasciandosi alle spalle il lusso dei ponti superiori.

La sala macchine di un transatlantico si avvicina alla visione comune di un girone infernale. Gigantesche caldaie di ghisa spalancano le loro fauci, pronte a ingoiare le tonnellate di carbone che viene immesso da uomini seminudi e coperti da uno spesso strato di polvere nera. Tutto intorno, tra rumori assordanti e sbuffi di vapore, grosse bielle d’acciaio paiono testimoniare l’esistenza del moto perpetuo. Questo territorio a se stante, sconosciuto a chi passeggia sui ponti e si riscalda alla luce del sole, e un mondo che non puo fermarsi, nemmeno durante la piu feroce delle tempeste: senza la spinta delle eliche, anche il piu grande transatlantico sarebbe sopraffatto dalle onde oceaniche.

Sciarra rimase a osservare gli uomini alle prese con manometri e caldaie, quindi vide il direttore di macchina.

Stava andando verso di lui quando, improvvisamente, la sua mente venne percorsa da un lampo e la memoria lo spinse a ritroso nel tempo. Fu un attimo, ma Sciarra era certo di aver gia visto l’assistente di macchina che gli era appena passato davanti, per quanto la fuliggine lo rendesse pressoche irriconoscibile.

Turbato dall’incontro, chiese al primo ufficiale come si chiamasse l’uomo.

«Chi, quello? Si chiama Olt, Arisztid Olt. E un ungherese e, se posso essere sincero con voi, signor Sciarra, non sono molto soddisfatto di lui. C’e di buono che parla poco, ha detto a un sottufficiale di essere un attore e che probabilmente si fermera in America in cerca di fortuna… ma se non mi inganno, vista la sua scarsa voglia di lavorare, credo che di fortuna non ne incontrera molta.»

«Olt, Arisztid Olt…» ripete Alberto Sciarra tra se.

Nel quartiere di Carignano due bambini giocavano al piu bello dei giochi per i piccoli e al piu brutto per i grandi. Sciarra supero i due piccoli guerrieri armati di fucili intagliati nel legno. Il pensiero del generale corse alla guerra, ai molti conti che questa aveva lasciato in sospeso. Improvvisamente Sciarra ricordo: ecco dove aveva gia visto quell’uomo!

L’ultima volta che lo aveva incontrato, qualche anno prima, si trovavano all’interno di un castello in Romania, e colui che adesso si faceva chiamare Olt aveva cercato di fare la pelle a lui e al tenente Minhea Petru. Allora si chiamava Blasko, tenente Bela Blasko, dell’esercito ungherese.

Alberto Sciarra non entro neppure in casa, fece dietrofront scendendo le scale di corsa. Quando giunse all’imboccatura del porto il piroscafo era ormai lontano. E con lui Bela Blasko.

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Romania, 1386

«Questa e la mia storia, Mircea, figlio mio…» La donna mostrava sul volto pallido e scarno i segni dell’eta e

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