della malattia. Ma i lucenti occhi color cobalto brillavano ancora di intelligenza e di vitalita. «Promettimi di tramandarla a chi verra dopo di te, completandola con le vicende della tua esistenza che, ne sono certa, sara radiosa e ricca di soddisfazioni. E fa’ in modo che possa servire da sprone a chi ti seguira. Questo perche non si perdano le origini della nostra stirpe e perche il prezioso talismano che oggi ti consegno mantenga negli anni il suo potere. Esso e appartenuto al Re dei Re: ricorda, solo chi e giusto potra godere dei benefici del talismano. Comportati quindi secondo coscienza e con rettitudine. Rispetta gli amici, sii capace di amare e difendi la tua gente. Che Dio sia con te, Mircea, principe di Valacchia.»
Celeste ben conosceva la tempra di Mircea, il suo primogenito: era un valoroso e certo il suo nome sarebbe rimasto scritto nelle pagine della storia della loro nazione. La Valacchia era divenuta la patria di Celeste, l’unico posto dal quale non era stata costretta a fuggire, il luogo in cui aveva abbandonato definitivamente il suo travestimento ed era diventata donna, moglie e madre felice. I ricordi di una vita piena e intensa le passarono davanti agli occhi: i figli che giocavano nel prato dinanzi al castello di Vladislav. Le loro prime cavalcate, l’ansia materna che venissero disarcionati, le fatiche e la soddisfazione di crescerli forti e sani. Le sembrava che tutto fosse accaduto in un attimo, e non appena Celeste si apprestava a godere una meritata vecchiaia assieme all’uomo che mai aveva smesso di amare, erano arrivati i primi nipoti, figli di Mircea.
Celeste si era ritrovata a rincorrerli per ore, mentre questi muovevano i primi incerti passi, sdraiandosi la sera accanto a loro per raccontare le meravigliose avventure di due nemici che si erano fronteggiati per tutta la vita per mare e per terra.
Erano storie epiche, le stesse che, prima che ai nipoti, aveva narrato ai figli. Ma non erano leggende: tutti sapevano che si trattava del racconto della sua vita, un marchio di coraggio che sarebbe rimasto impresso nella tempra dei discendenti di Celeste.
Mircea e sua madre erano legati da un rapporto che trascendeva dai consueti legami tra genitori e figli.
Per il bambino Celeste era stata madre affettuosa, sicuro rifugio dalle ire paterne, maestra di vita; ma la sua dolcezza sapeva trasformarsi in severita quando vestiva i panni del piu intransigente degli istruttori. Era lei che lo aveva cresciuto come un nobile guerriero, insegnandogli l’arte di combattere e le micidiali tecniche dei samurai, e Mircea era diventato preciso e rapido sia con le armi tradizionali che con la
Egli non poteva immaginare quanto sua madre si fosse imposta con la forza di essere severa e rigorosa: gli occhi del figlio — gli stessi occhi suoi e di suo padre, il grande Muqatil — quando si facevano imploranti avrebbero potuto ottenere da lei qualsiasi cosa.
Un sorriso sereno e soddisfatto si dipinse sul volto di Celeste, mentre il resto della famiglia entrava nella stanza in penombra: avrebbe lasciato una buona parte di se sulla terra.
«In fondo dispiace quando finisce», disse la donna con un sorriso rivolto al marito, che si trovava ora accanto al letto e le stringeva la mano.
«Che cosa deve finire, Celeste?» chiese lui.
«La vita, amore mio. La vita meravigliosa che ho passato al tuo fianco.»
«Non dire sciocchezze. Voglio che pensi solo a guarire.»
«Non ho piu tempo ne energia per guarire, Vladislav. Se davvero esiste un mondo oltre la morte, vi raggiungero mio padre e mia madre, Humarawa, Wu e Rhoda.»
Anche sul principe gli anni avevano lasciato il loro segno: i capelli erano di colore bianco candido. Rughe profonde ne solcavano il volto stanco, sul quale si leggeva un’espressione carica di amore e di apprensione.
«Non voglio sentirti parlare cosi. E poi che cosa farei senza di te, amore mio? Il prossimo anno dobbiamo festeggiare il trentesimo anniversario delle nozze… Ricordi quando dissi a mio padre che mi volevo sposare con un… uomo?»
Celeste annui, gli occhi chiusi e la bocca serrata. La malattia sembrava averla prosciugata. Tutti e quattro i loro figli erano in piedi attorno al letto. La piu giovane aveva poco piu di sedici anni e non aveva mai smesso di piangere.
«Non piangete, ragazzi miei. Non piangete. Adesso e il vostro turno di affrontare la vita. Io spero di avervi aiutato a capire come farlo al meglio. Non piangete.»
Un respiro piu profondo scosse il petto di Celeste. «… un Muqatil non piange mai…»
«No, madre, no, ti prego…» disse Mircea, la voce ridotta a un sussurro: non voleva rassegnarsi all’idea di perdere il faro che, fino a ora, gli aveva indicato ogni rotta.
Poco gli importava se entro qualche giorno sarebbe arrivata per lui la nomina a voivoda di Valacchia. Mircea strinse l’Anello dei Re, mentre una lacrima gli rigava le guance. «No, madre, non mi sto comportando come un Muqatil», sussurro Mircea, «come un guerriero che non conosce la paura. Adesso non ci riesco. Ma ti assicuro che ogni tua volonta verra rispettata, madre mia.»
48
Agosto 2004
Dal diario di Asher Breil, Bucarest, 1968.
Chi fosse transitato nella zona turca della citta di Nicosia — chiamata dai suoi abitanti Leukosa — non si sarebbe certo stupito nel vedere un bambino davanti al manifesto che reclamizzava l’incontro di calcio, evento culminante dei festeggiamenti, fissato per il 30 agosto, giorno della vittoria dei turco-ciprioti sui greci. Il bambino era in piedi: aveva un cappello da baseball sul capo e i suoi vestiti erano di colori sgargianti. Pochi sarebbero stati in grado di riconoscere in lui uno tra gli uomini piu famosi del mondo. Oswald lesse il nome dell’ente organizzatore che compariva sul manifesto: Kuzey Kibris Turk Cumhuriyeti, equivalente a «Lega calcio turco-cipriota». Era singolare come una popolazione di poco superiore alle settecentomila unita, che occupava una superficie di