Dicembre 1921
Blasko camminava sul ponte respirando a pieni polmoni l’aria salmastra: era cosa rara per un addetto alle macchine riuscire a vedere la luce del sole. Quella mattina il cielo era coperto da una spessa coltre di nuvole e le prime gocce di pioggia annunciavano un imminente acquazzone.
«Si avvicina una tempesta, marinaio?» chiese in inglese un passeggero che sembrava avere rinunciato all’idea di scattare alcune foto alla donna che era con lui.
Blasko non aveva mai studiato le lingue, ma aveva molto orecchio: l’unica che conosceva, oltre al magiaro, era il tedesco. Aveva recitato qualche tempo nei teatri di Berlino, finita la guerra: l’ungherese riusciva a mandare a memoria l’intero copione e recitare poi la parte senza alcuna inflessione dialettale.
«Il tempo non promette nulla di buono», rispose Blasko in un inglese zoppicante.
«Il vostro accento mi fa pensare… Credo che voi e io proveniamo dalla stessa terra», disse il passeggero esprimendosi in lingua magiara.
«Si, sono ungherese. Se mi volete scusare, il mio turno di riposo e terminato e devo ritornare nella sala macchine. Buona traversata, signore.»
Blasko scese nella cabina che divideva con altri tre marinai: i suoi compagni erano impegnati nei turni di macchina. Si chiuse la porta alle spalle, apri il suo armadietto e tiro fuori uno zaino. L’antico cofanetto era nascosto sul fondo del sacco, sotto alcuni vestiti. Blasko fece scattare la piccola serratura: le gemme rifletterono le luci della cabina. Sollevo il doppiofondo e prese l’Anello dei Re. Si era riproposto di non attingere mai a quella favolosa ricchezza: l’avrebbe lasciata ai suoi eredi, se mai li avesse avuti. Blasko aveva saputo che Minhea Petru era vivo e temeva che lo stesse cercando. Per questo non si sarebbe fatto tentare dal tesoro in suo possesso. Doveva vivere nell’ombra il piu possibile: se si fosse dato alla bella vita, o se solo avesse tentato di vendere una di quelle preziose gemme, avrebbe corso il rischio di farsi scoprire. Era fiero di essere riuscito a mantenere la sua promessa anche quando aveva dovuto affrontare periodi di grandi ristrettezze: per un attore alle prime armi, che lavora in un paese che ha appena perduto la guerra, la vita puo essere molto difficile. Blasko era convinto di essere un grande attore: aveva interpretato molti ruoli, sia a teatro sia al cinema, lavorando negli studi appena approntati alla periferia di Berlino, ma in Europa non era riuscito a sfondare.
L’America, dove l’industria cinematografica era seconda soltanto a quella automobilistica, forse gli avrebbe aperto le porte del successo.
Blasko strinse tra le dita l’anello d’oro, convinto che l’antico talismano gli avrebbe infuso forza ed energia.
Aveva letto e riletto la storia scritta sul libriccino sottratto all’ufficiale nemico: in esso erano state annotate con precisione e dovizia di particolari le vicende di tutti i possessori del gioiello, che erano appartenuti alla nobile famiglia rumena, e vi si faceva spesso riferimento al potere di quell’oggetto magico.
L’ungherese guardo ancora una volta il sigillo prima di riporlo nel suo scrigno e segui con i polpastrelli il rilievo della stella a sei punte sulla sommita della corona.
E sorrise pensando che, all’interno del cofanetto, c’erano gemme in grado di assicurare un’esistenza piu che agiata a lui e alla sua progenie. Peccato che, al momento, si trovasse in una cabina spoglia, su un bastimento in rotta per l’America, con le mani sporche di carbone. Ma Blasko non aveva nessuna intenzione di lasciarsi scoraggiare: il suo autocontrollo, la forza di volonta e la capacita di arrangiarsi avrebbero costituito la solida base sulla quale si sarebbe guadagnato, ormai trentanovenne, il lasciapassare verso la celebrita.
Dagli appunti raccolti da Asher Breil
a Cortina d’Ampezzo, 1967
«Vuole che ci avventuriamo per quel sentiero piu ripido, o preferisce un itinerario meno difficile, signor Breil?» chiese Sciarra indicando un viottolo che scendeva in direzione di Cortina.
«Quello che risulta piu agevole per lei, generale», rispose Breil, sempre piu meravigliato per la resistenza dell’anziano compagno di escursione.
«Non si deve stupire che io, nonostante i miei ottant’anni, sia ancora in grado di affrontare questi percorsi di montagna. Sono un alpino, anche se un po’… stagionato. Non se lo scordi. A ogni modo, passiamo per la via meno impegnativa, cosi avremo modo di continuare la nostra chiacchierata. Non la sto annoiando, vero?»
Dopo alcuni passi Sciarra riprese il suo racconto, mentre Breil tentava di prendere nota di ogni particolare, che poi avrebbe trascritto sui suoi appunti.
«Molte delle cose che le sto raccontando sono tratte dall’epistolario intercorso negli anni tra me e Minhea Petru…»
Minhea Petru poso la lettera sullo scrittoio. Dalla fine della guerra aveva dedicato tutto il suo tempo a dare la caccia all’ufficiale ungherese e adesso il suo amico Sciarra gli aveva scritto che Blasko era appena partito da Genova alla volta dell’America.
Recuperare l’anello era diventato per Minhea una specie di ossessione. Aveva ricostruito la vita di Blasko fino al momento della fine della guerra, quindi l’ex ufficiale ungherese del 43° reggimento di fanteria si era praticamente volatilizzato. Minhea sapeva che nello scrigno sottrattogli da Blasko nel castello di Sighisoara si trovava una fortuna in pietre preziose. «Il lasciapassare per la vita», come lo chiamavano dalla notte dei tempi nella sua famiglia. Ma temeva che l’ungherese avesse ormai dilapidato tutto. In realta Minhea non sapeva nulla di preciso: Blasko doveva essersi mosso con molta accortezza se era riuscito a non cadere nelle maglie della rete che Petru aveva teso per lui. Sciarra gli aveva scritto che il loro uomo ora si faceva chiamare Arisztid Olt. L’amico italiano attendeva il ritorno della nave nel porto di Genova: se Bela Blasko faceva ancora parte dell’equipaggio, si sarebbe trovato a bordo.
Purtroppo pero le ottimistiche previsioni di Sciarra si erano rivelate infondate: da un contatto radio avuto con il comandante, Alberto aveva saputo che l’aiuto macchinista ungherese era sbarcato non appena la nave aveva raggiunto New Orleans.
Stati Uniti d’America, gennaio 1922
Nel ventre della nave il beccheggio era quasi insopportabile e i macchinisti erano costretti a virtuosismi da equilibristi.
«Questa maledetta tempesta sta davvero cercando di portarci a fondo», aveva detto a Blasko un austriaco che divideva con lui il turno alla caldaia.
L’ungherese gli aveva risposto con un cenno della testa, mentre osservava preoccupato lo strumento che indicava il grado di inclinazione dello scafo: la nave stava oltrepassando la soglia di sicurezza. Anche il direttore di macchina rimase paralizzato nel vedere la biglia di legno rosso correre all’interno del tubo trasparente e raggiungere il punto prossimo al limite. Superatolo, il piroscafo si sarebbe piegato su un lato e forse capovolto.
Tutto intorno ogni oggetto che non fosse stato assicurato veniva sbalzato da una paratia all’altra con violenza.
«Buffa la vita», si disse Blasko, «moriro dentro a questa scatola di ferro, con nello zaino una fortuna in pietre preziose ancora intatta. Avrei potuto vivere come un nababbo, e invece sto per venire travolto dalle onde, dopo essermi inutilmente dato da fare in questo girone infernale.»
Alcuni marinai si erano messi a pregare: il tempo sembrava essersi fermato. La nave era rimasta sbandata a lungo, poi finalmente parve cominciare a raddrizzarsi, ma rimase ingovernabile.
Il rumore sordo dell’urto fu percepito nitidamente nella sala macchine. Il piroscafo ebbe un sussulto, quindi sfilo sugli scogli mentre un grido di dolore si levava dalle lamiere ferite.
La voce del comandante, qualche istante piu tardi, gracchio nell’interfono il comando di stato di preallarme per tutto il personale: soltanto cinque persone sarebbero rimaste alle macchine e Blasko non faceva parte di queste. Tutti i membri dell’equipaggio avrebbero dovuto presidiare il posto loro assegnato in caso di emergenza e sovrintendere alle eventuali operazioni di abbandono della nave.
La postazione lance numero sei, quella destinata alla supervisione di Blasko, si trovava al centro del sesto e