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Agosto 2004

L’elicottero dell’ONU atterro al centro del campo di calcio quando la partita era terminata da una decina di minuti. Gli annunci agli altoparlanti si erano ripetuti senza sosta, invitando il pubblico a rimanere al proprio posto per questioni di sicurezza. Gli spettatori, con l’eccezione di alcuni che avevano vibratamente protestato, erano rimasti seduti sulle tribune.

Il passaparola nel catino di uno stadio si diffonde sempre in maniera incontrollabile. La notizia del pericolo di un attentato era rimbalzata sulle prime bocche quasi in sordina, poi si era diffusa ovunque: non c’erano state scene di panico, ma l’apprensione che aleggiava palpabile aveva prodotto un irreale silenzio di attesa sulle gradinate.

La donna scese dall’elicottero mentre le pale erano ancora in moto. Era vestita come una delle tante turiste che si attardavano davanti ai negozi di souvenir dell’isola. Dietro di lei veniva un corpulento militare americano che indossava la divisa da sottufficiale dei marine.

«Colonnello Blasey», disse Cassandra tendendo la mano all’ufficiale. «Mi chiamo Cassandra Ziegler e sono un dirigente del Federal Bureau of Investigation. Credo che il dottor Oswald Breil le potra illustrare la drammatica situazione nella quale ci troviamo.»

Oswald non si perse in convenevoli, parlo in modo conciso e inequivocabile.

«Che cosa avete gia ispezionato, dottor Breil?» chiese il colonnello dei marine.

«Nelle ultime venti ore, praticamente ogni angolo dello stadio.»

«Esistono tunnel sotterranei, percorsi fognari, tombini e simili?» chiese Deidra.

«C’e un tunnel di servizio accessibile, ed e gia stato esaminato palmo a palmo.»

Oswald guardo l’orologio: aveva ruotato la ghiera del Rolex Submariner in modo da far combaciare la tacca con l’ora indicata dal Giusto per l’esplosione.

La partita era incominciata alle 16.00 e terminata alle 17.50.

Il Giusto aveva chiamato alle 16.15. L’ordigno avrebbe dovuto detonare esattamente tre ore dopo.

Avevano a disposizione poco meno di un’ora e dieci minuti per individuare la bomba e renderla inoffensiva.

Nel frattempo il pubblico aveva cominciato a rumoreggiare. Gli altoparlanti diffusero immediati appelli alla calma.

«Faccia in modo che le squadre scendano nuovamente in campo, generale Sukru!» disse Breil rivolto al comandante dell’intelligence cipriota.

Se esisteva un modo per calmare i tifosi, era che le squadre riprendessero il gioco. In una delle curve gli animi si stavano scaldando e alcuni facinorosi erano intenti a scardinare un cancello che separava il campo dalle gradinate.

Per placarli fu necessario fare intervenire gli agenti addetti al servizio d’ordine. Ancora una volta l’altoparlante rassicuro il pubblico, e diffuse la notizia che le due squadre sarebbero ricomparse in campo entro pochi minuti per disputare una partita amichevole.

Breil stava osservando la scena con attenzione. Le parole del versetto contenuto nel messaggio del Giusto gli tornarono alla mente: «I miscredenti sono come bestiame di fronte al quale si urla, ma che non ode che un indistinto richiamo. Sordi, muti, ciechi, non comprendono nulla».

Gli occhi del piccolo uomo si spostarono su uno dei quattro piloni posti agli angoli del campo, sulla cui sommita si trovavano i riflettori per l’illuminazione. Lo sguardo si fermo a circa un terzo del palo nel punto dove erano montati gli altoparlanti.

«Forse ci sono!» esclamo Oswald rivolto all’ufficiale dei marine.

Oswald e gli uomini che lo seguivano ci misero piu del previsto a inerpicarsi lungo la scaletta che serviva per la manutenzione degli impianti.

Le quattro casse acustiche di colore nero, sovrapposte due a due, erano circondate da una piazzola per agevolare il lavoro dei tecnici.

Oswald, aiutato dal sergente Kingston e dai militari di Sukru, aveva rimosso il materiale fonoassorbente disposto sul fronte di una delle quattro casse.

Fu quando tolsero il frontale della seconda cassa che rinvennero l’ordigno.

Si trattava di un timer dal quale uscivano dei fili di diverso colore, che si collegavano alla bomba vera e propria. Uno dei woofer era stato sostituito con una miscela di chiodi, viti e bulloni: se la bomba fosse esplosa avrebbe causato ferite gravissime al pubblico assiepato proprio davanti al pilone.

«Pensa di riuscirci, colonnello?» chiese Oswald rivolto alla Blasey.

«Non mi sembra un sistema eccessivamente sofisticato: bisogna cercare di neutralizzare i detonatori», rispose Deidra che gia stava armeggiando con i fili. «L’unico problema e il tempo. Quanto ci rimane, Breil?»

«Un’ora e quattro minuti», rispose Oswald.

«Se, come credo, l’attentatore ha montato un ordigno su ogni pilone, significa che abbiamo poco piu di quindici minuti per disinnescare ciascuna bomba. Faccia togliere il fronte a ognuna delle casse: in questo modo riusciremo a guadagnare un pugno di minuti.»

Le dita di Deidra maneggiavano con sicurezza il cacciavite, ma il sudore che le imperlava la fronte non aveva niente a che vedere con il caldo.

Le squadre nel frattempo erano tornate a giocare. Il pubblico era composto: dopo gli isolati casi di intemperanza, ora sembrava che la partita avesse di nuovo catturato l’attenzione dei tifosi. Nessuno prestava attenzione a coloro che stavano armeggiando sui piloni intorno all’impianto audio.

Deidra strinse nel morso della piccola cesoia il filo di colore rosso. Alzo gli occhi al cielo e recise il cavo di netto.

Un sospiro di sollievo usci dalle labbra della donna, mentre osservava le lancette dell’orologio. La prima e piu difficile operazione di disinnesco aveva richiesto ventisei minuti, nel corso dei quali aveva pero reso inoffensiva anche la trappola elettronica che il Giusto aveva teso: chiunque avesse cercato di manipolare il sistema di innesco senza prima aver neutralizzato quel circuito sarebbe saltato in aria.

Dovevano fare in fretta, molto in fretta, se volevano evitare una strage, penso Breil, mentre si avviava assieme a Deidra e al sergente Kingston verso il secondo dei quattro piloni minati.

Nel laboratorio di Roma, Sara Terracini non riusciva a staccarsi da entrambi i documenti che Oswald le aveva fatto pervenire. Passava dalla decrittazione del quaderno dove Asher Breil aveva raccolto gli appunti all’agenda personale del padre di Oswald, quasi senza soluzione di continuita.

Sara aveva momentaneamente sospeso gran parte del suo lavoro per potersi dedicare anima e corpo alle vicende che Asher aveva ricostruito con cura prima di rimanere vittima di un incidente automobilistico. Da quando Oswald le aveva affidato questo nuovo compito, la ricercatrice aveva dormito pochissimo: cosa che le capitava ogni volta che lavorava con lui.

All’inizio aveva giustificato il suo accanimento con la necessita di liberarsi al piu presto dell’impegno affidatogli da Breil, ma alla fine era stata lei stessa ad ammettere che non era quello il motivo. Sara Terracini aveva dovuto confessare che la curiosita di conoscere tutta la storia riguardante l’antico Anello di Re Salomone la divorava.

«Forza, Sara! Avanti, avanti!»

Dal diario di Asher Breil, Bucarest, 1968.

Sapevo molte piu cose di quanto la gente poteva supporre. In questo Nicolae Ceausescu aveva ragione.

Pur essendone certo, non avrei mai potuto provare con documenti alla mano che i conti cifrati

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