La dirigente dell’FBI fece il tifo per Breil mentre lo guardava muovere velocemente le sue gambine e correre verso la salvezza. Inutili furono le ricerche dei due uomini di Sukru e degli agenti che accorsero in massa, chiamati dal generale dei servizi di sicurezza.

Dieci ragazzini, vestiti con una tuta di colore blu e un cappellino con visiera, si disposero ai lati del rettangolo di gioco: il loro compito sarebbe stato quello di restituire ai giocatori i palloni terminati fuori campo. Nessuno, nel caos della partita che stava per incominciare, presto attenzione all’undicesimo raccattapalle, che si era andato a disporre a lato del campo.

Oswald era rimasto diverse ore in un’intercapedine tra il locale docce e il muro portante. Quindi era riuscito a impossessarsi di una tuta e di un cappellino e si era intrufolato sul terreno di gioco.

Le tribune erano gremite di tifosi festanti.

La mente di Oswald lavorava freneticamente in cerca di una soluzione mentre, con fare distratto, rimaneva a guardare i giocatori impegnati a piazzare il pallone in una delle due porte.

Oswald si drizzo come una tigre pronta ad attaccare. Le parole del messaggio del Giusto gli comparvero davanti agli occhi come se fossero state scritte sul grande tabellone dello stadio: «Entrate dalla porta; quando sarete dentro, conoscerete la Vittoria».

Fu allora che il pallone rotolo tra i piedi di Breil. Oswald lo sollevo da terra e scosse il capo, rifiutando di renderlo al giocatore che ne chiedeva insistentemente la restituzione.

Tra i fischi del pubblico un altro raccattapalle consegno una nuova sfera. Nel trambusto quasi nessuno si era accorto che Oswald aveva praticato un taglio nel pallone lungo il suo diametro. Aveva quindi infilato le mani tra la camera d’aria e le cuciture interne. Gli furono sufficienti pochi istanti per estrarre il minuscolo sensore alimentato da una batteria al litio.

Sukru si trovava nella tribuna d’onore a fianco del presidente. Spostava in continuazione il binocolo, nella speranza che tra le file del pubblico gli apparisse il volto di Breil. Quel maledetto nano non poteva essere uscito dallo stadio: i poliziotti l’avrebbero immediatamente bloccato. Doveva per forza trovarsi ancora li dentro. Quando il raccattapalle si era appropriato del pallone, Sukru non aveva perso tempo: aveva sceso le scale di corsa e, pochi secondi piu tardi, si trovava sul terreno di gioco.

«Dottor Breil, io la…» provo a dire il generale.

«Lei la deve smettere, Sukru, e darmi ascolto, malgrado io sia israeliano e tutto il resto. Sa che cosa e quest’oggetto che ho appena estratto dall’interno del pallone?»

Sukru scosse la testa e Oswald continuo: «Si tratta di un sensore. Quasi certamente ne troveremo un altro in ciascuna delle due porte: dovevano servire a far detonare la carica nel momento in cui la palla fosse terminata in rete».

Un urlo assordante invase lo stadio: un attaccante del Cetinkaya aveva infilato la palla nella porta avversaria.

«Appena in tempo, generale. Se non avessi fatto sostituire il pallone, in questo momento staremmo contando un gran numero di morti. Si e convinto, adesso?»

Sukru prese tra le mani il sensore e il suo indiscusso acume investigativo parve vacillare.

Mentre le grida dei tifosi si andavano smorzando e il gioco riprendeva, gli altoparlanti diffusero la chiamata: «Il signor Breil… il signor Breil e pregato di contattare il centralino con la massima urgenza».

Oswald scese nel tunnel che conduceva agli spogliatoi e sollevo la cornetta di un apparecchio telefonico appeso alla parete di un corridoio.

«Le passiamo una chiamata della massima urgenza da parte di un suo familiare, signor Breil», disse la centralinista, non appena Oswald si fu presentato.

Una voce contraffatta dal timbro metallico rispose dall’altro capo della linea. «Pensare che mi sono dovuto spacciare per un suo parente per riuscire a rintracciarla, dottor Breil.»

«Che cosa vuole?»

«Non le conviene scaldarsi: siamo ancora in agosto e il caldo puo giocare brutti scherzi. Quanto a me, mi sto godendo un’avvincente partita di calcio alla televisione. Il problema e che non c’e stata quella vera e propria esplosione di tifo al momento del goal. Non trova, Breil?»

«Le ripeto la domanda. Che cosa vuole da me?»

«E io la accontento, Breil: le cariche sono ancora innescate e io posso far saltare in aria lo stadio quando voglio. Data la mia magnanimita e alla luce dei suoi meritevoli risultati, ho deciso di concederle un’altra chance: spingero il bottone fra tre ore esatte. Se non sara riuscito a disinnescare le cariche l’intera struttura saltera in aria. Ma stia bene attento: lo stadio non dovra essere evacuato. Inventatevi una scusa per gli spettatori, ma nessuno potra abbandonare le gradinate, pena una mia azione anticipata! Si dia da fare, Breil. Le rimane poco tempo.»

Sukru aveva condiviso la cornetta con Breil. Ormai non aveva piu dubbi: l’israeliano aveva ragione e loro erano nelle mani di un pazzo. L’angoscia paralizzo la mente del generale.

«Ci sono almeno diecimila persone sugli spalti in questo momento. Come possiamo metterli in salvo senza che quello se ne accorga?»

«L’unico modo per farlo e disinnescare la carica.»

«Ha qualche idea, Breil?»

«Nessuna. L’unica cosa che mi viene in mente e che avremo comunque bisogno di una persona esperta in esplosivi: un artificiere che sia in grado di disinnescare l’ordigno quando l’avremo trovato. Nel frattempo facciamo in modo che nessuno sospetti nulla: mi sembra inutile diffondere l’allarme tra il pubblico.»

«Sono d’accordo. La partita deve proseguire. Per quanto riguarda invece l’artificiere, mi sembra di ricordare che gli uomini del contingente delle Nazioni Unite di stanza a Cipro stiano seguendo un corso sulle mine proprio in questi giorni. Il seminario e tenuto da un ufficiale dei marine, una vera e propria autorita in materia di esplosivi e campi minati.»

Deidra Blasey aveva preso alloggio in una villetta all’interno della base dei Baschi Blu delle Nazioni Unite. Era comodamente seduta su una poltrona da giardino e si godeva la breve pausa dal lavoro. Quel lunedi 30 agosto 2004 era il primo giorno di licenza da tempi immemorabili, se si faceva eccezione per il periodo di convalescenza seguito al suo ferimento. Il ciclo di lezioni sui campi minati e le trappole esplosive era in anticipo rispetto alla tabella di marcia. Forse sarebbe riuscita a tornare a casa prima del previsto. Si era da poco sistemata orientando la sdraio verso il caldo sole cipriota, quando l’elicottero militare atterro a pochi passi da lei.

Il sergente Kingston si sporse dal portello, facendole segno di salire a bordo. Gli anni trascorsi nei corpi speciali l’avevano abituata a ogni emergenza. Deidra raccolse velocemente le poche cose che aveva sparpagliato nei pressi della sedia e la borsa nella quale aveva piegato una T-shirt. Si avvio di corsa in direzione del velivolo, cercando di proteggersi dal turbinare del vento sollevato dalle pale. Sali a bordo che ancora indossava la parte alta del bikini, un paio di bermuda e le ciabatte infradito.

Non appena fu seduta sulla panca dietro al pilota, Kingston la mise al corrente della grave situazione per la quale si era resa necessaria la sua presenza.

PARTE QUINTA

Se fossi io il pascia, sareste impalati da tempo.

W.A. Mozart, Il ratto dal serraglio

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