oltrepassato la periferia di Los Angeles ed era entrato in quello che aveva sempre immaginato come lo scenario di una fiaba.

La citta, e in particolar modo il quartiere di Hollywood, aveva fatto molta strada da quando i nativi cahuenga e cherokee abitavano le valli e le praterie della regione. La popolazione era cresciuta in maniera esponenziale e li aveva sede una tra le piu ricche industrie del territorio americano, l’industria dove i sogni di un mediocre attore europeo avrebbero potuto realizzarsi.

Bela Blasko-Lugosi percorreva ogni mattina la Wilcox Avenue, intitolata ai primi abitanti di razza bianca della zona, per raggiungere l’Hollywood Hotel.

Nelle sue continue passeggiate in cerca di una scrittura, transitava dinanzi alle ville delle celebrita del grande schermo. Aveva ormai imparato i nomi delle star e dei magnati del cinema che vi abitavano protetti dagli invalicabili muri di cinta: Mary Pickford, Cecil DeMille, Louis Mayer, Jackie Coogan, Rodolfo Valentino, Dolores del Rio, Wallace Reid.

«Prima o poi potro permettermi anche io una villa cosi», si ripeteva Bela Lugosi, entrando negli uffici del Central Casting Office.

Il Casting Office era una sorta di grande emporio dove un produttore, un costumista o un regista potevano approvvigionarsi di comparse e caratteristi, animali ammaestrati e musicisti, attori sull’onda del declino e giovani talenti. Insomma, ogni persona, animale o oggetto in grado di calcare la scena era schedata nello sconfinato archivio del Central Casting Office.

Anche Lugosi si era messo in lista appena arrivato a Hollywood, nel 1923. Poco dopo era arrivata la prima piccola parte in un film realizzato con l’aiuto finanziario delle forze armate statunitensi. Erano seguite una serie di scritture; per lo piu si trattava di ruoli da comparsa che pero gli davano da vivere in maniera dignitosa.

Tra alti e bassi Bela Lugosi era andato avanti per quattro anni, sino a che non si era presentata l’occasione che gli avrebbe cambiato radicalmente la vita.

Dagli appunti raccolti da Asher Breil

a Cortina d’Ampezzo, 1967

«Buonasera, signor principe», aveva detto il concierge dell’hotel Plaza di New York chinando il capo in segno di rispetto. Minhea Petru aveva preso la chiave con la mano percorsa da un leggero tremito, che aveva cercato di nascondere.

La stanza da lui occupata era sempre la stessa ormai da qualche anno. Gli unici periodi nei quali il nobile rumeno non era annoverato tra gli ospiti fissi del lussuoso hotel corrispondevano ai suoi sempre piu rari ritorni in Europa. Ormai Minhea faceva parte delle leggende del Plaza, di quel sommesso mormorio che nasce dall’accumularsi di piccole indiscrezioni da parte dell’abbottonato personale. C’era chi diceva che Petru fosse alla ricerca di un tesoro di famiglia che gli era stato sottratto; chi sosteneva che avesse abbandonato il vecchio continente per dimenticare un amore non corrisposto. L’unica cosa su cui tutti si trovavano d’accordo era che il principe da alcuni anni aveva cominciato a bere.

Quel tenore di vita non influiva sulle sue finanze: le cospicue rendite di cui disponeva non risentivano in alcun modo delle spese sostenute per vivere a New York.

Minhea sali nella suite numero 799, all’ottavo piano del palazzo la cui elegante architettura si rifaceva a quella dei castelli francesi.

La vista su New York era straordinaria. Sotto di lui, all’angolo tra Fifth Avenue e la Cinquantanovesima, il traffico di pedoni, auto e mezzi pubblici scorreva senza sosta. Forse, tra quella gente indaffarata, camminava anche il motivo della sua ossessione… la sua ossessione.

Minhea allungo una mano sotto il letto e ne estrasse una bottiglia di vetro chiaro piena a meta di una bevanda dal colore paglierino.

Il diciottesimo emendamento alla costituzione degli Stati Uniti era in vigore dal 1919 e vietava la diffusione, la fabbricazione, la vendita e il trasporto dei liquori che presentavano piu dello 0,5 per cento di alcol.

Minhea benedisse il giovane cameriere italiano del Plaza e le sue amicizie con i contrabbandieri di whisky.

La bevanda scese lungo l’esofago provocandogli un piacevole bruciore. Ancora un sorso, ancora uno e la mente si annebbio: i contorni dell’ossessione si fecero meno distinti, le ferite meno dolorose.

Petru aveva incominciato a bere circa due anni prima: aveva cercato rifugio nell’alcol nel tentativo di attenuare il senso di frustrazione per l’insuccesso della sua ricerca di Blasko e dell’Anello dei Re.

Minhea guardo ancora alla finestra, in direzione del Central Park. Fece appello a quanto rimaneva della sua lucidita e sedette allo scrittoio: l’amico Alberto Sciarra non avrebbe mai dovuto venire a conoscenza della sua debolezza.

Stati Uniti d’America, 1927

Molto lontano da New York, ma sempre in territorio statunitense, la persona che Minhea Petru stava cercando si apprestava a compiere un rito a cui non si dedicava piu da tempo.

Nella stanza occupata da Bela Blasko, all’Hollywood Hotel, c’era una cassaforte murata nella parete dinanzi al letto. Al suo interno era riposto il cofanetto antico. Lugosi era stanco, aveva appena terminato una lunga e tediosa apparizione da caratterista in un film in costume. Aveva preso l’Anello dei Re dal portagioie, lo aveva infilato all’indice e la mente era corsa ai sogni di gloria che, dopo quasi sei anni dal suo arrivo a Los Angeles, andavano assumendo l’aspetto di illusioni.

Il trillo del telefono era risuonato tra le mura confortevoli, anche se modeste, dell’Hollywood Hotel.

Poco dopo il portiere bussava alla porta.

«Signor Lugosi», aveva detto oltre l’uscio chiuso, «ha telefonato il Central Casting Office, chiede se domattina puo essere da loro molto presto. Hanno un ruolo importante da proporle.»

Al mattino Lugosi si era svegliato di buon’ora e si era recato all’appuntamento.

Con una certa apprensione, per lui che ancora non parlava alla perfezione l’inglese, aveva realizzato che la sua parte non sarebbe stata quella di recitare in una pellicola cinematografica muta, bensi sul palcoscenico di un teatro con tanto di monologhi nel corso dei quali sarebbe stato impossibile ripetere la scena.

Lugosi aveva accettato: si trattava del primo incarico importante che gli veniva offerto e il personaggio che avrebbe dovuto interpretare lo esaltava.

Sarebbe stato Dracula, nella riduzione teatrale di Deane tratta dall’omonimo romanzo di Bram Stoker.

53

Egrigoz, Asia Minore, 1447

Il sultano Murad aveva convocato Dracula e suo fratello Radu nella stanza del trono. I due ragazzi avevano rispettivamente sedici e nove anni.

«Dovete essere forti», aveva detto Murad dopo averli fatti sedere sui cuscini ricamati. «Purtroppo ho in serbo per voi una brutta notizia. Vostro padre Vlad Dracul e rimasto vittima di una congiura. La stessa sorte e toccata a vostro fratello Mircea.»

Radu, essendo prigioniero del sultano dall’eta di pochi mesi, non aveva praticamente conosciuto i genitori e il venire a sapere di quella morte lo lascio piuttosto indifferente. Vlad, invece, senti il mondo crollargli addosso: il suo sogno ricorrente, quello di vedere il padre che lo liberava dalla prigionia, sfumava per sempre. La speranza che per una decina d’anni aveva alimentato ogni suo pensiero naufragava in un mare tempestoso e pieno di incertezze. Che cosa ne sarebbe stato di loro? I turchi li avrebbero uccisi?

L’unica soluzione, a quel punto, pareva essere la fuga.

Murad era adagiato tra le braccia di una delle sue innumerevoli concubine. Lo strumento che gli aveva

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