consentito di tenere sotto controllo la popolazione dell’Est europeo gli era stato sottratto: Vlad II Dracul era stato un fedele alleato e aveva contribuito alla realizzazione di buona parte dei piani del sultano nell’Europa orientale. Ma la fedelta del principe valacco ai turchi aveva provocato odi e rancori, sfociati nella congiura che aveva messo fine alla vita di Dracul nei pressi di un antico monastero, nelle paludi di Balteni.

A poco erano importate agli ex alleati cristiani le motivazioni che aveva addotto Vlad II a sua difesa: due dei suoi figli in ostaggio presso il sultano non avevano costituito un motivo sufficiente per salvargli la vita. Invano il principe aveva detto agli aguzzini che la pena per la disobbedienza al sultano sarebbe stata la decapitazione di Dracula e di Radu. L’ordine di sbarazzarsi dello scomodo voivoda di Valacchia proveniva dall’alto. Era stato il principe ungherese Janos Hunyadi a ordire la trappola in cui Dracul era caduto e aveva altresi incoraggiato i nobili di Tirgoviste a eliminare anche il figlio maggiore, il valoroso Mircea.

In questa maniera il principato ribelle sarebbe tornato sotto l’ala protettrice ungherese.

Murad non era un uomo impulsivo, voleva valutare, conoscere, capire per avere saldamente in pugno la situazione. Aveva esaminato a fondo la questione, quando chiamo uno dei suoi comandanti.

«Liberate Dracula», disse il sultano, con un tono che non ammetteva repliche. «Agevolate il suo rientro in Transilvania e fate si che abbia tutto l’aiuto necessario per detronizzare il principe fantoccio della dinastia Danesti che Hunyadi ha voluto mettere sul trono della Valacchia.»

Mentre Vladislav Danesti era impegnato a combattere le orde musulmane a sud del Danubio, gli giunse la notizia che il giovanissimo Dracula si era insediato sul trono con un’azione fulminea, il cui successo era stato determinato dall’appoggio di un folto contingente di turchi al suo servizio.

La permanenza di Dracula a palazzo duro pero due soli mesi: rientrato in forze, Danesti costrinse Vlad Dracula a fuggire presso un cugino nella Moldavia settentrionale.

Per rientrare in possesso del trono, Danesti era stato costretto a un repentino cambiamento di fronte: il fedele servitore di Hunyadi si era schierato contro il suo re e aveva ordito congiure nei confronti degli ungheresi, spalleggiato dai turchi.

Vlad Danesti non era un grande stratega: alcune delle sue campagne militari si erano tradotte in sonore disfatte, ma era capace di alleanze e tradimenti improvvisi, se solo questi avessero fatto comodo ai suoi interessi.

Dracula e il cugino Stephen avevano appena terminato le lezioni di lettura e scrittura con i monaci. Sulla citta di Suceava, sede del principato di Moldavia, era scesa una fitta coltre di neve.

«Sono solo contro tutti, cugino mio», disse Dracula guardando Stephen con i suoi occhi neri e penetranti.

«Non dire cosi, Vlad. La nostra casa e la tua casa. Mio padre Bogdan ti vuole bene come a un figlio.»

«Lo so bene. Ed e per questo motivo che mi spiace di non riuscire a comportarmi come un figlio o come un fratello.»

«Che cosa vuoi dire?»

«Il corpo di mio padre e quello di Mircea reclamano vendetta. E io vivo tra le mura sicure del vostro palazzo.»

Ma mentre questa conversazione aveva luogo, un gruppo di cavalieri armati fece irruzione all’interno della corte. Li comandava Petru Aron, acerrimo rivale del principe di Moldavia.

Il padre di Stephen, il principe Bogdan, fu orrendamente trucidato. Dracula riusci a mettersi in salvo, ritrovandosi ancora una volta solo e in balia di un destino di cui non riusciva a essere l’artefice.

Ma la sorte questa volta fu benevola col principe: Janos Hunyadi, impensierito dal tradimento di Danesti, decise di riporre in Vlad Dracula le sue speranze. Avrebbe saputo indirizzare quel giovane virgulto verso la luce del sole.

54

Agosto 2004

Sara Terracini si morse il labbro inferiore. Era sempre piu coinvolta dai risvolti di quella vicenda. Doveva fare presto: il suo amico si era appena fatto vivo con un messaggio di posta elettronica e sembrava ansioso di conoscere l’intera storia. Represse un moto di stizza: nessun altro si permetteva di farle pressione in quel modo. Ma era altrettanto vero che nessun altro era in grado di trascinarla con tanto entusiasmo nelle sue avventure.

Dal diario di Asher Breil, Bucarest, 1968.

gia, tua madre. Voglio che tu mi creda, Oswald: non avevo mai avuto occhi per nessun’altra donna. Aliah era ed e per me la piu bella e la migliore. Eppure, quando poco tempo fa mi sono trovato davanti quella donna, ti confesso che la sua bellezza e stata in grado di far vacillare ogni mia convinzione.

«Molto lieta, dottor Breil», aveva detto, tendendomi la mano con un gesto amichevole e sensuale allo stesso tempo. Parlava un perfetto inglese, o meglio un perfetto americano con l’accento del Sud.

L’avevo invitata a sedersi, inebriato dal suo profumo.

Lei aveva accavallato le gambe lunghe e mi osservava con gli occhi verdi come il mare.

«Mi hanno detto di rivolgermi a lei per effettuare un’operazione bancaria estera.»

«Lei conosce certamente le restrizioni di questo paese: le operazioni estere sono consentite soltanto ai vari ministeri e dietro presentazione di un giustificati…»

«Proprio del giustificativo le vorrei parlare», disse la donna, estraendo dalla borsetta un foglio. «Credo lei riconosca la firma.»

L’ordine di spostare la somma di cinquecentomila dollari americani da un conto riconducibile a Nicolae Ceausescu su un altro conto cifrato, a me sconosciuto, recava in calce la firma del conducator. Era la prima volta che Ceausescu si esponeva in prima persona in quel genere di operazioni.

«Ogni suo desiderio e per me un ordine, signora.»

«Davvero?» I suoi occhi erano capaci di mettere a repentaglio ogni mia certezza.

Dopo quel giorno l’avevo rivista molte volte e non nego di aver perso la testa per lei. Ci incontravamo in un appartamento all’ultimo piano in strada Dobrescu, una via centrale di Bucarest. Facevamo l’amore e poi tornavamo ciascuno alle rispettive occupazioni. Ma ti assicuro che non ho fatto mai mancare nulla a tua madre. Nemmeno l’affetto.

Jenica Mantu, cosi si chiamava, mi aveva detto di avere sangue ungherese da parte di padre, ma sua madre era rumena. I suoi si erano trasferiti negli Stati Uniti, dove lei era cresciuta. Il febbrile ritmo di vita americano non le era pero mai piaciuto e cosi aveva deciso di prendersi un periodo di riflessione nel paese che aveva da sempre nel cuore: la Romania. Non le avevo mai chiesto apertamente quali fossero i rapporti che la legavano a Ceausescu, ma non mi ero scordato l’ingente bonifico che avevo effettuato dietro ordine espresso del conducator.

Sapevo bene che una donna come Jenica Mantu corrispondeva perfettamente all’immagine dell’agente segreto. E sapevo che allora la Securitate rumena era intenta a dispiegare ovunque i suoi pericolosi tentacoli.

Un giorno si stava rivestendo. Si era alzata dal letto ed era andata in bagno. La sua borsetta era posata sulla sedia.

Non fu la pistola automatica che rinvenni nella borsa a mettermi in allarme, ma un oggetto

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