l’ingresso, che era presidiato da otto colossali armature. Negli anni, sulla villa, cosi come sulla vita privata di Bela Lugosi, sarebbero sorte incredibili leggende: anche queste facevano parte del personaggio. Un personaggio che si recava alle prime delle sue pellicole sdraiato in una bara di legno pregiato, portata a spalla da servitori orientali sordomuti.

Dagli appunti raccolti da Asher Breil

a Cortina d’Ampezzo, 1967

Le sfarzose sale del Conte Biancamano avevano ospitato poche volte Alberto Sciarra della Volta e la sua signora nel corso della traversata: il nobile italiano preferiva alla mondanita le passeggiate all’aperto. Adorava lasciarsi cullare dalle onde lunghe dell’Atlantico e ammirare lo sconfinato paesaggio dell’oceano, seduto su una delle sedie di teak del ponte di prima classe.

Sbarcare a New York per i coniugi Sciarra fu come mettere piede su un altro pianeta: la citta gli apparve scintillante, caotica e grandiosa. Persino il lungo bancone in marmo bianco del Plaza era di dimensioni impensabili rispetto agli standard europei. Tutto sembrava gigantesco in quella metropoli: lungo Fifth Avenue, una ventina di blocchi prima del Plaza, avevano superato un enorme cantiere.

Il tassista aveva risposto alle loro domande spiegando: «Li sta nascendo l’edificio piu alto del mondo: l’Empire State Building. Oltre quattrocento metri di altezza di acciaio, cemento e vetro. Al mondo non esiste niente di simile!»

Il direttore dell’hotel Plaza, dove anche Alberto e Kimber avrebbero preso alloggio, si strinse nelle spalle: «Non sappiamo davvero che fine abbia fatto il principe Petru, signor Sciarra. Quasi due mesi or sono e scomparso dall’hotel senza lasciare alcun messaggio. Il signor principe era una persona… ehm… singolare, ma estremamente corretta».

«Potremmo vedere il suo appartamento?» chiese Alberto.

«Certamente, signor Sciarra. E ancora tutto in ordine, e noi continuiamo a sperare che vi faccia ritorno al piu presto. Il principe Petru era persona assai previdente ed era sua consuetudine anticipare l’affitto di anno in anno. Per quanto riguarda la direzione di quest’hotel, l’appartamento sara a disposizione esclusiva del principe almeno sino alla fine di quest’anno. Allo scadere di questo periodo, se non avremo piu avuto sue notizie, consegneremo gli averi del signor principe ai suoi parenti, che ci auguriamo voi vorrete cortesemente indicarci, generale Sciarra.»

«A quanto so Minhea non ha fratelli ne sorelle, ma uno stuolo di cugini che si occupano di amministrare i vasti possedimenti della famiglia in Romania. Vi faro sapere, direttore, nel malaugurato caso in cui non dovessi riuscire a ritrovare il mio amico scomparso.»

Nell’appartamento regnava un ordine quasi inquietante, come se qualcuno si fosse dato da fare per fermare il tempo e congelare i ricordi.

L’appartamento era pieno di antichi cimeli, di fotografie e lettere, di disegni raffiguranti l’Anello dei Re.

Alberto apri l’armadio e sposto alcuni vestiti. La bottiglia era nascosta dietro a dei pantaloni piegati.

Sciarra tolse il tappo e annuso l’odore forte del liquore: quella bottiglia non avrebbe dovuto essere li.

Improvvisamente tutto gli fu chiaro: l’ultima lettera che il suo amico gli aveva scritto proveniva dal distretto di polizia di Manhattan. Da li avrebbero cominciato le loro ricerche.

«No, signore. Minhea Petru e uscito da quella porta da un paio di mesi e non e piu tornato a farci visita. Una persona veramente priva di riconoscenza.»

Il sarcasmo trapelava dal tono dell’agente mentre scorreva un registro vergato a mano.

Alberto era uscito e si era fermato smarrito sul marciapiede davanti alla stazione di polizia.

Sentiva che Minhea era vivo, e che probabilmente aveva bisogno di lui, ma non sapeva come continuare a cercarlo.

«Signore», disse una voce in italiano alle sue spalle, «mi chiamo Cesare e lavoro all’hotel Plaza. Promettetemi che non direte nulla alla direzione dell’albergo: se i miei superiori dovessero venire a conoscenza anche di un solo particolare di questa vicenda, mi licenzierebbero su due piedi. So che siete qui per cercare il signor principe Petru.»

«E cosi, Cesare. Tu sai qualche cosa? Ti prego, dimmi tutto.»

«Il signor principe aveva il vizio di bere.»

«Lo sospettavo da tempo e ne ho avuto conferma curiosando nell’armadio del suo appartamento.»

«Date le mie conoscenze si rivolgeva a… ehm… membri della mia famiglia per rifornirsi di liquori che, come voi saprete, sono da anni severamente proibiti qui negli Stati Uniti.»

«Vai avanti, Cesare.»

«Quando venne rilasciato dalla prigione, credo si sia recato direttamente in un bar clandestino a poca distanza dall’albergo. Da li e stato visto uscire alle prime ore del mattino… non era in buone condizioni… insomma, il signor principe era completamente ubriaco.»

«Tu hai idea di dove avrebbe potuto recarsi, una volta abbandonato il locale?»

«Lo hanno visto percorrere la Nona in direzione nord, verso Central Park. Era sprovvisto dei documenti di identita, dato che sul bancone del bar aveva lasciato questo. Ne sono venuto in possesso da pochi giorni: il barista era convinto che il principe si sarebbe fatto vivo, prima o poi.» Cosi dicendo Cesare gli porse il portafogli che Petru aveva dimenticato nel locale clandestino.

Stati Uniti d’America, 1931

Bela Lugosi sedeva su un palco, accanto a lui c’erano il regista Browning e qualche pezzo grosso della casa di produzione. Coccarde col tricolore dell’Ungheria verde bianco e rosso erano ovunque, nella sala da pranzo dell’hotel Plaza lussuosamente imbandita.

Quando Bela Lugosi pronuncio il suo discorso in lingua magiara, il piu scatenato a prodursi in fragorosi applausi fu un ometto insignificante, accompagnato da una donna dai capelli color biondo platino che ostentava improbabili atteggiamenti da gran dama.

Se Bela Blasko avesse prestato attenzione a quel suo sfegatato ammiratore, si sarebbe reso conto che lo conosceva gia: si trattava del passeggero che anni prima, durante la traversata atlantica, lo aveva denunciato al comandante.

Dagli appunti raccolti da Asher Breil

a Cortina d’Ampezzo, 1967

«Non appena saremo in albergo», aveva detto Alberto alla moglie, «tu recupererai piu informazioni possibili presso ospedali e uffici di polizia: sara anche sconfinata questa metropoli, ma adesso siamo in possesso di una data precisa e di una zona sufficientemente circoscritta. Vedrai che lo troveremo.»

Giunti nuovamente al Plaza, Sciarra rimase a osservare i colori delle coccarde: erano gli stessi della bandiera italiana.

«C’e forse una festa di miei connazionali?» chiese alla reception.

«No, signore. Si tratta di ungheresi che festeggiano…»

In quel momento Bela Lugosi sbuco da uno dei corridoi della hall, seguito da un codazzo di ammiratori. Non era possibile non notarlo: indossava un frac nero con una camicia e una cravatta candide. Il volto era spolverato di cipria bianca e gli occhi sottolineati dal nerofumo.

Sciarra gli si fece vicino ed esclamo ad alta voce: «Blasko! Bela Blasko!» Il dito di Alberto era puntato verso l’attore.

Lugosi non si scompose, mentre Sciarra continuava: «Il vostro nome e Blasko, tenente nell’esercito ungherese durante la prima guerra mondiale. Non e vero?»

Lugosi lo osservo con uno sguardo gelido e incredulo al tempo stesso. «Voi vi sbagliate, mio caro amico. Io sono Bela Lugosi, il grande attore.»

Quello strano incontro non era certo sfuggito all’occhio attento di Teofil Balaj e di sua moglie, che stavano camminando al seguito dell’artista.

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