«Quando lo abbiamo conosciuto noi, invece, si chiamava Olt, se non vado errata. Vero, Teofil?» disse la signora Balaj rivolta al marito. «Credo che il signor Bela ‘Dracula’ Lugosi sia una persona piuttosto originale e che andrebbe tenuta d’occhio, non trovi, Teofil?» L’espressione da oca petulante era scomparsa dal volto della donna, per lasciare il posto a uno sguardo tanto indagatore quanto scaltro.

Il mattino seguente Kimberly era gia al lavoro di buon’ora. Entro poche ore la ricerca produsse i suoi frutti.

«Un uomo senza documenti e stato ricoverato a seguito di un grave incidente in un ospedale vicino all’Undicesima.»

«Pensi si possa trattare di Minhea?» le aveva chiesto Alberto, ancora scosso dall’incontro del giorno precedente con Bela Blasko.

«La descrizione corrisponde.»

«Ed e ancora vivo?» chiese poi Sciarra con la voce rotta dall’emozione.

«Si, anche se non credo che questo sia un bene: dimesso dopo un delicato intervento chirurgico, si trova ora in un ospedale psichiatrico. Le conseguenze del trauma hanno prodotto un grave danno cerebrale e la totale perdita della memoria.»

«Si tratta di danni irreversibili?»

«Al telefono non si sono molto sbilanciati. Ma se si trattasse veramente di Minhea, temo che il nostro amico vegeti come se fosse stato lobotomizzato.»

Era sufficiente una visita nel reparto chiamato Madhouse, il manicomio all’interno del N.Y. General Hospital, per provocare uno shock anche nella persona piu forte ed equilibrata. I malati si aggiravano come fantasmi, ciondolando lungo i corridoi avvolti negli ampi camicioni bianchi. Alcuni gesticolavano, altri parlavano da soli, altri ancora stavano in disparte, accostati al muro o nascosti dietro un angolo, annientati dalla loro stessa follia.

Il medico con cui i coniugi Sciarra avevano ottenuto un appuntamento li aveva guidati verso il proprio ufficio: «Possono aggirarsi liberamente per l’istituto soltanto pochi dei ricoverati: quelli che non sono considerati pericolosi per se e per gli altri sono autorizzati a muoversi all’interno di alcune sezioni della struttura.» Quindi, osservando con attenzione la cartella clinica, aveva continuato: «Voi dite che uno di questi pazienti potrebbe essere il vostro amico, signor Sciarra?»

«E molto probabile, dottore. Devo soltanto vederlo per riconoscerlo.»

«Tra qualche istante sara qui, gli infermieri sono andati a prendere la persona che risponde alla vostra descrizione.»

«Credete che i danni da lui subiti siano irreversibili, dottore?»

«La mente umana e la piu incomprensibile delle macchine, signor Sciarra. Nonostante il buon livello di conoscenze a cui e arrivata la medicina moderna, il cervello e il suo modo di reagire a stimoli, traumi o malattie e ancora oggetto di teorie controverse. A giudicare da quanto leggo, il paziente potrebbe restare per sempre nella condizione in cui si trova o, anche se non lo escludo, pur ritenendolo molto difficile, potrebbe svegliarsi all’improvviso da quello che sembra uno stato ipnotico.»

La porta si apri.

Alberto balzo in piedi e si diresse verso l’uomo che si trovava sulla soglia, accompagnato da un infermiere.

Sciarra strinse l’antico compagno d’armi tra le braccia: sul cranio rasato spiccava una cicatrice che andava da una tempia all’altra. Altri segni di ferite in altre parti del corpo stavano a testimoniare la violenza che doveva aver subito nell’urto contro il camioncino del latte.

Sciarra abbraccio Minhea. «Amico mio, amico mio caro…» disse l’italiano commosso.

Non vi fu risposta.

Le parole che Kimberly aveva pronunciato quella mattina gli risuonavano nelle orecchie come una premonizione: Minhea Petru non stava vivendo, stava vegetando in uno stato di profondo torpore.

56

Transilvania, 1456

Il caldo non accennava a calare, nemmeno nelle limpide serate estive illuminate dal cielo stellato. E fu proprio osservando il cielo che gli astronomi annotarono sui loro registri l’apparizione di un insolito corpo celeste: una cometa di incredibile luminosita le cui due code, una rivolta a oriente e l’altra a occidente, occupavano gran parte della linea dell’orizzonte. In quei giorni, era il giugno del 1456, Vlad Dracula III saliva al trono di Valacchia.

L’avvistamento di una cometa produce negli uomini reazioni opposte: c’e chi l’avverte come presagio di disgrazia e c’e invece chi saluta l’apparizione astrale come il migliore degli auspici.

Il neoprincipe di Valacchia era convinto che fosse un augurio con cui il cielo aveva voluto salutare il suo insediamento. Dracula commissiono addirittura il conio di una moneta che raffigurasse da un lato l’aquila valacca, dall’altro una stella con la doppia coda che attraversava il cielo.

I catastrofisti, invece, associavano la comparsa dell’astro infuocato con la morte del re Hunyadi, in conseguenza della quale si erano susseguite aspre lotte di successione tra i discendenti del sovrano e gli Asburgo. Ladislas, figlio maggiore di Hunyadi e buon amico di Dracula, era stato ucciso nel corso di questa faida che aveva insanguinato il territorio ungherese, rendendo ancor piu vulnerabili le porte dell’Occidente ai tentativi di invasione dei turchi.

«Riesumate la salma!» La voce di Dracula si levo alta e fiera.

Il volto del voivoda di Valacchia aveva perso i tratti della giovinezza: a venticinque anni si doveva essere uomini. Dopo essersi emancipato dal giogo del sultano turco, era stato il re ungherese a completare l’educazione del giovane che aveva voluto alla sua corte.

Dracula aveva la carnagione olivastra e gli occhi a mandorla, segno di una qualche contaminazione orientale tra gli antenati della sua dinastia. Gli occhi erano scuri, ma osservandoli con attenzione — sempre ammesso che si fosse stati capaci di sostenere il suo sguardo — si sarebbero notati dei riflessi color cobalto: il colore del mare piu profondo. Non era alto, ma robusto e forte. Portava baffi lunghi e ben incerati. Vestiva in maniera elegante, secondo la moda dei ricchi boiari della Valacchia e della Transilvania. Raramente si concedeva un sorriso. Il suo volto impenetrabile avrebbe presto rappresentato l’effigie della paura per chiunque avesse tentato di sbarrargli la strada.

«Riesumatela!» ripete il principe.

I presenti si segnarono con la croce, mentre la bara — quattro assi di legno inchiodate — veniva aperta.

Lo spettacolo che si presento era raccapricciante: il corpo di Mircea, fratello di Dracula, giaceva a faccia in giu. Le unghie avevano graffiato il legno della cassa, nel vano tentativo di aprirsi un varco. Nelle orbite oculari erano ancora conficcati i ferri aguzzi con cui era stato accecato. Il voivoda aveva avuto conferma al dubbio che gli rodeva la mente: suo fratello era stato seppellito vivo, dopo atroci torture.

Dracula si inginocchio di fianco alla salma: «Dio abbia pace per la tua anima, fratello, e guidi la mia mano vendicatrice».

Il principe si era fatto un’idea chiara su come erano andati i fatti e chi dovessero essere considerati i responsabili dell’assassinio di Mircea e della morte di suo padre.

La mano di Dracula accarezzo il legno della bara, vicino al teschio ancora ricoperto dalla fluente capigliatura del valoroso Mircea. Quindi gli occhi del principe si soffermarono sull’oggetto che stava cercando. L’antico anello d’oro mandava sinistri bagliori al dito indice dello scheletro. La mano di Vlad si strinse sul simbolo dell’antico potere. Dracula infilo l’Anello dei Re nell’indice della mano destra e rimase per qualche secondo a osservarlo, pregustando il sapore della vendetta.

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