Carnivoro procedeva con un’andatura sciolta e sostenuta, mentre Horton gli sbuffava dietro e Nicodemus stava alla retroguardia. Horton lo guardava e cercava di capire che tipo di creatura poteva essere. Era un bestione, naturalmente, su questo non c’era dubbio… ma un bestione feroce, e poteva essere pericoloso. Sembrava abbastanza amichevole, con tutte quelle chiacchiere sul suo amico Shakespeare, ma era meglio tenerlo d’occhio. Finora non aveva mostrato altro che un rustico buonumore. Non c’era da dubitare che il suo affetto per l’umano non fosse stato autentico, anche se Horton rabbrividiva ancora al pensiero di quando aveva detto di aver divorato Shakespeare. Il mancato riconoscimento del valore degli smeraldi, da parte sua, era un fattore sconcertante. Sembrava impossibile che una cultura, quale che fosse, non riconoscesse il valore delle gemme: a meno che si trattasse di una cultura che non aveva il concetto d’ornamento.

Dall’ultima collina su cui si erano arrampicati scesero, non in una valle, ma in una depressione a forma di conca, cinta da alture. Carnivoro si fermo cosi bruscamente che Horton, il quale lo seguiva da vicino, ando a sbattergli contro la schiena.

«Ecco,» disse Carnivoro, indicando. «Potete vederlo, da qui. Gli siamo quasi sopra.»

Horton guardo nella direzione indicata. Non vedeva altro che la foresta.

«Quella cosa bianca?» chiese Nicodemus.

«Infatti,» disse Carnivoro, felice. «Eccola, la sua bianchezza. Io lo tengo pulito e lustro, e strappo via tutte le piantine che si azzardano a crescervi, e tolgo la polvere. Shakespeare lo chiamava greco. Ditemi, signore o robot, che cos’e un greco? Io lo chiedo a Shakespeare, ma lui si limita a ridere e scuote la testa e dice che e una storia troppo lunga. Qualche volta penso che neppure lui lo sa. Ha solo usato una parola che aveva sentito.»

«I greci erano un popolo umano,» disse Horton. «Raggiunsero la grandezza molti secoli fa. Un edificio costruito come costruivano loro e detto greco. E un termine molto generico. L’architettura greca ha molti fattori.»

«Costruito semplicemente,» disse Carnivoro. «Muro, e tetto e porta. Tutto li. Pero e un buon habitat per viverci. Impermeabile al vento e alla pioggia. Ancora non lo vedi?»

Horton scosse il capo. «Lo vedrai presto,» disse Carnivoro. «Ci arriveremo in fretta.»

Scesero il pendio e, quando arrivarono alla base, Carnivoro si fermo di nuovo. Indico un sentiero. «Da quella parte, a casa,» disse. «Da quella, dopo un paio di passi, si arriva alla fonte. Vuoi bere un po’ d’acqua buona?»

«Con piacere,» disse Horton. «E stata una camminata tremenda. Non molto lunga, ma sempre a salire e scendere.»

La fonte sgorgava dal fianco della collina in un laghetto cinto di roccia, da cui l’acqua sfuggiva formando un sottile rigagnolo.

«Precedetemi,» disse Carnivoro. «Siete miei ospiti. Shakespeare diceva che gli ospiti passano sempre per primi. Io ero ospite di Shakespeare. Lui era qui prima di me.»

Horton s’inginocchio, si puntello con le mani, e abbasso la testa per bere. L’acqua era cosi fredda che parve bruciargli la gola. Si rialzo, e si accoscio sui talloni, mentre Carnivoro si lasciava cadere a quattro zampe, abbassava la testa e beveva… Non beveva veramente, allappava l’acqua come avrebbe fatto un cane o un gatto.

Per la prima volta, mentre se ne stava li accosciato, Horton vide e apprezzo veramente la cupa bellezza della foresta. Gli alberi erano fitti e scuri, anche in pieno sole. Sebbene non fossero conifere, la foresta gli ricordava le grandi pinete nelle terre nordiche della Terra. Intorno alla fonte, fino ad estendersi sul pendio da cui erano scesi, c’erano ciuffi di arbusti, alti circa un metro, tutti color rosso sangue. Horton non ricordava di aver visto un fiore od un bocciolo da nessuna parte. Annoto mentalmente di chiederlo, piu tardi.

A meta del sentiero, vide finalmente l’edificio che il Carnivoro aveva cercato di indicargli. Sorgeva su un dosso, in una piccola radura. Aveva un’aria greca, sebbene non ricordasse l’architettura greca, ne nessun’altra. Piccolo, costruito di pietra bianca, aveva linee semplici e severe, ma sembrava avere un aspetto di scatola, squadrato. Non c’erano colonnati ne fregi eleganti… solo quattro mura, una porta disadorna, e un frontone, non molto alto e non molto aguzzo.

«Shakespeare abitava li, quando io arrivo,» disse Carnivoro. «Mi sistemo con lui. Passiamo giorni felici, la. Il pianeta e in fondo al nulla, ma la felicita e dentro.»

Attraversarono la radura e si avvicinarono all’edificio, affiancati. Arrivato a pochi passi, Horton alzo la testa e vide qualcosa che prima gli era sfuggito, con quel candore calcinato perduto nel candore della pietra. Si fermo, inorridito. Infisso sopra la porta c’era un teschio umano sogghignante.

Carnivoro si accorse che Horton lo fissava. «Shakespeare ci da il benvenuto,» disse. «Quello e il cranio di Shakespeare.»

Affascinato e inorridito, Horton vide che a Shakespeare mancavano due denti anteriori.

«E stato difficile sistemare Shakespeare lassu,» stava dicendo Carnivoro. «E un brutto posto per metterlo, perche l’osso presto si rovina e si sgretola, ma l’aveva chiesto lui. Il teschio sopra la porta, mi disse, le ossa dentro, appese nei sacchi. Io faccio come vuole lui, ma e stato un compito doloroso. L’ho fatto senza soddisfazione, per un senso di dovere e d’amicizia.»

«E stato Shakespeare a chiedertelo?»

«Si, certo. Pensi che l’abbia fatto di mia iniziativa?»

«Non so cosa pensare.»

«Il modo della morte,» disse quello. «Divorarlo mentre lui muore. Una funzione sacerdotale, ha spiegato. Io faccio come lui dice. Prometto di non vomitare, e non vomito. Mi faccio forza e lo divoro, anche se ha cattivo sapore, fino all’ultima briciola. Ripulisco le ossa meticolosamente, finche restano solo quelle. Piu di quanto mi sentissi di mangiare. Pancia piena da scoppiare, ma continuo a mangiare, senza smettere mai fino a quando e tutto andato. Lo faccio bene, scrupolosamente. Lo faccio con tutta santita. Non svergogno il mio amico. Ero l’unico amico che aveva.»

«Puo darsi,» disse Nicodemus. «La razza umana e capace di escogitare nozioni bizzarre. Un amico che divora l’altro, in un atto di rispetto. Tra le popolazioni preistoriche era in vigore il cannibalismo rituale… era rendere un onore speciale a un vero amico o a un grand’uomo, divorarlo.»

«Ma erano tempi preistorici,» obietto Horton. «Non ho mai saputo che una razza moderna…»

«Mille anni,» disse Nicodemus. «Sono trascorsi mille anni da quando abbiamo lasciato la Terra. C’e stato tutto il tempo di sviluppare strane credenze. Forse i popoli preistorici sapevano qualcosa che noi non sapevamo. Forse il cannibalismo rituale aveva una logica, ed e stata riscoperta nell’ultimo millennio. Una logica tortuosa, probabilmente, ma con fattori accattivanti.»

«Tu dici,» chiese Carnivoro, «che la tua razza non lo fa? Non capisco.»

«Mille anni fa non lo facevano: ma forse adesso lo fanno.»

«Mille anni fa?»

«Abbiamo lasciato la Terra un millennio fa. Forse da molto piu tempo. Non conosciamo la matematica della dilatazione temporale. Potrebbero essere passati piu di mille anni.»

«Ma nessun umano vive mille anni.»

«E vero, ma io ero ibernato. Il mio corpo era congelato.»

«Se ti congeli, muori.»

«Non nel modo in cui lo facevamo noi. Un giorno o l’altro te lo spieghero.»

«Non pensate male di me perche ho divorato Shakespeare?»

«No, naturalmente non pensiamo male di te,» disse Nicodemus.

«E un bene,» disse Carnivoro, «perche altrimenti non mi volete portare con voi quando ve ne andrete. Desidero moltissimo lasciare questo pianeta al piu presto possibile.»

«Forse riusciremo a riparare il tunnel,» disse Nicodemus. «Se ci riusciremo, potrai andartene per il tunnel.»

10.

Il tunnel era un quadrato di tre metri per tre, di tenebra specchiante, inserito nella faccia d’una piccola cupola di roccia che sporgeva dal suolo a poca distanza dall’edificio greco. Tra questo e la cupola si snodava un

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