sentiero scavato fino alla roccia, o addirittura nella roccia stessa. In passato, chissa quando, li c’era stato un traffico intenso.

Carnivoro indico la tenebra specchiante. «Quando funziona,» disse, «non e nero, ma bianco e lucente. Tu ci entri, e al secondo passo sei altrove. Adesso, se entri, ti respinge. Non puoi avvicinarti. Li non c’e niente, ma il niente ti spinge indietro.»

«Ma quando ti porta da qualche parte,» chiese Horton, «quando funziona, voglio dire, e ti porta da qualche parte, come fai a sapere dove sei arrivato?»

«Non lo sai,» disse Carnivoro. «Una volta, forse, tu indicavi dove volevi andare, ma adesso no. Quel macchinario li,» fece, agitando il braccio, «quel pannello accanto al tunnel… una volta era possibile usarlo per scegliere la destinazione, ma adesso nessuno sa come funzioni. Pero non fa molta differenza. Se non ti piace il posto dove arrivi, rientri nel tunnel e vai altrove. Magari dopo molti tentativi, trovi qualche posto che ti piace. Per me, saro felice di andarmene dovunque.»

«Non mi sembra giusto,» disse Nicodemus.

«Certo che non lo e,» osservo Horton. «L’intero sistema dev’essere fuori squadra. Nessuno, se avesse la testa a posto, costruirebbe un sistema di trasporto non selettivo. In questo modo potresti impiegare secoli per arrivare a destinazione… ammesso che ci arrivi.»

«Va molto bene,» disse placido Carnivoro, «per uno che deve nascondersi. Nessuno, neppure l’interessato, sa dove andra a finire. Forse se l’inseguitore ti vede infilare nel tunnel e s’infila dietro di te, va a finire in un posto diverso.»

«Lo sai, o tiri solo a indovinare?»

«Tiro a indovinare, credo. Come posso saperlo?»

«Tutto il sistema e fuori squadra,» disse Nicodemus, «se funziona a casaccio. Non ci puoi viaggiare. Tu giochi una partita, e il tunnel vince sempre.»

«Ma questo non ti porta da nessuna parte,» gemette Carnivoro. «Non sono schizzinoso, per la destinazione… mi va bene qualunque posto, pur di non restare qui. La mia ardente speranza e che potete ripararlo, in modo che mi porta in un posto qualsiasi.»

«Sospetto,» disse Horton, «che sia stato costruito molti millenni fa, e che i costruttori l’abbiano abbandonato da secoli. Senza un’adeguata manutenzione, si e scassato.»

«Ma non e questo che conta,» protesto Carnivoro. «L’importante e: potete ripararlo?»

Nicodemus si era avvicinato al pannello inserito nella roccia, accanto al tunnel. «Non so,» disse. «Non sono neppure in grado di leggere gli strumenti, se sono tali. Alcuni sembrano congegni per la manipolazione, ma non posso esserne sicuro.»

«Non sarebbe male provare e vedere cosa succede,» disse Horton. «Non puoi peggiorare la situazione.»

«Ma non posso,» disse Nicodemus. «Non riesco neppure a toccarli. Sembra che ci sia una specie di campo di forza. Sottile come un foglio di carta, forse. Posso mettere le dita sugli strumenti, o meglio, credo di mettercele, ma non c’e contatto. Non li tocco veramente. Li sento sotto le dita, ma non sono veramente in contatto. Come se fossero rivestiti di grasso viscido.»

Alzo una mano e l’osservo attentamente. «Ma non c’e grasso,» disse.

«Quel maledetto coso funziona solo in una direzione,» abbaio Carnivoro. «E doveva funzionare in due.»

«Aspetta a disperarti,» fece laconico Nicodemus.

«Credi di poter fare qualcosa?» chiese Horton. «Hai detto che c’e un campo di forza. Puo essere pericoloso. Tu sai niente dei campi di forza?»

«Niente di niente,» fece tutto allegro Nicodemus. «Non sapevo neanche che questo potesse esserlo. L’ho chiamato cosi, perche il termine mi e saltato in mente. Non so cosa sia.»

Depose la cassetta degli utensili che aveva portato e s’inginocchio per aprirla. Comincio a disporre gli attrezzi sul sentiero roccioso.

«Voi avete le cose per ripararlo,» gracchio Carnivoro. «Shakespeare non le aveva. Non ho i maledetti utensili, diceva.»

«Gli sarebbero serviti a molto, anche se li avesse avuti,» disse Nicodemus. «Anche avendoli, bisogna sapere come usarli.»

«E tu lo sai?» chiese Horton.

«Puoi proprio dirlo,» fece Nicodemus. «Ho il transmog da ingegneria.»

«Gli ingegneri non usano gli utensili. Li usano i meccanici.»

«Non mi scocciare,» disse Nicodemus. «Alla vista e al contatto degli attrezzi, va tutto a posto.»

«Non me la sento di stare a guardare,» disse Horton. «Credo che me ne andro. Carnivoro, tu hai parlato di una citta in rovina. Andiamo a darle un’occhiata.»

Carnivoro esito. «Ma se ha bisogno di aiuto. Qualcuno che gli passa gli utensili, magari. Se ha bisogno di un appoggio morale…»

«Avro bisogno di ben altro che d’appoggio morale,» disse il robot. «Avro bisogno di una gran fortuna, e un intervento divino non farebbe male. Andate a vedere la vostra citta.»

11.

Neppure con uno sforzo d’immaginazione la si poteva definire una citta. Non piu d’una dozzina d’edifici, nessuno molto grande. Erano strutture rettangolari di pietra, e avevano l’aria di casermette. Il sito si trovava a meno di un chilometro dall’edificio su cui era inchiodato il cranio di Shakespeare, su di un lieve rialzo del terreno, sopra uno stagno. Arbusti fitti e alcuni alberi erano cresciuti tra le costruzioni. In molti punti, insediandosi contro i muri o gli angoli degli edifici, gli alberi avevano smosso o fatto cadere le pietre. Sebbene quasi tutte le costruzioni fossero avvolte da una fitta vegetazione, qua e la si scorgevano sentieri.

«E stato Shakespeare ad aprirli,» disse Carnivoro. «Veniva qui ad esplorare, e portava qualcosa a casa. Non molto, solo qualche oggetto di tanto in tanto. Quello che gli colpiva la fantasia. Dice che non dovevamo disturbare i morti.»

«I morti?» chiese Horton.

«Be’, forse cosi suona troppo drammatico. Quelli andati, allora, quelli andati via. Pero neppure questo suona bene. Come si puo disturbare quelli che sono andati via?»

«Gli edifici sono tutti eguali,» disse Horton. «A me sembrano casermette.»

«Casermette e una parola che non conosco.»

«Un posto per alloggiare un buon numero di persone.»

«Alloggiare? Farci vivere?»

«Infatti. Un tempo qui viveva parecchia gente. Un centro di scambi commerciali, forse. Casermette e magazzini.»

«Qui non c’e nessuno per commerciare.»

«Be’, allora… cacciatori, minatori. Ci sono gli smeraldi che ha trovato Nicodemus. Forse questo posto e pieno di formazioni geologiche o di ghiaie gemmifere. O di animali da pelliccia…»

«Niente animali da pelliccia,» rispose deciso Carnivoro. «Animali da carne, ecco tutto. Alcuni predatori di infimo ordine. Niente di cui dobbiamo aver paura.»

Nonostante il biancore della pietra con cui erano stati costruiti, gli edifici davano una sensazione di squallore, come se non fossero altro che baracche. Al tempo in cui erano stati eretti, era evidente che era stata aperta una radura, perche nonostante la presenza degli alberi, la foresta fitta si teneva ancora lontana. Ma nonostante lo squallore, le strutture davano un senso di solidita.

«Sono state costruite per durare,» disse Horton. «Era una specie di insediamento permanente, o destinato ad essere tale. E strano che l’edificio in cui abitavate tu e Shakespeare fosse lontano da tutti gli altri. Poteva essere, penso, una guardiola per sorvegliare il tunnel. Hai esplorato questi edifici?»

«Io no,» disse Carnivoro. «Mi ripugnano. Hanno qualcosa di malvagio. Di pericoloso. Entrare in uno di essi e come entrare in una trappola. Ho l’impressione che si chiude su di me e poi non mi lascia uscire. Shakespeare vi andava a curiosare, e io m’innervosivo. Lui porta fuori alcuni piccoli oggetti che l’affascinavano. Comunque, come

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