Horton annui. «Verissimo, ma significa che avevano un’idea dell’arte. Potrebbe indicare una cultura in cammino.»

«Non e un’arte abbastanza evoluta,» disse Nicodemus, «per spiegare la tecnologia sofisticata dei tunnel.»

«Non intendevo sottintendere che fu questo popolo a costruire i tunnel.»

«Carnivoro ha parlato ancora di voler venire con noi, quando partiremo?»

«No. A quanto pare, e sicuro che tu possa riparare il tunnel.»

«Forse sara meglio non dirglielo, ma non ci riesco. Non ho mai visto un pasticcio come quel quadro dei comandi.»

Carnivoro stava risalendo il sentiero.

«Tutto pulito, adesso,» disse. «Vedo che hai finito. Ti e piaciuta la carne?»

«Era ottima,» disse Horton.

«Domani avremo carne fresca.»

«Seppelliremo noi gli avanzi, mentre tu andrai a caccia,» disse Horton.

«Non c’e bisogno di seppellirla. Buttatela nello stagno. Pero tappatevi il naso quando lo fate.»

«E cosi che te ne sbarazzi?»

«Sicuro,» disse Carnivoro. «Modo facile. C’e qualcosa nello stagno che se la mangia. Probabilmente e contento che io gli butto la carne.»

«L’hai mai visto, l’essere che la mangia?»

«No, ma la carne sparisce. La carne galleggia sull’acqua. Ma quella che butto nello stagno non galleggia mai. Qualcosa deve mangiarla.»

«Forse e la carne che fa puzzare lo stagno.»

«No,» disse Carnivoro. «Puzza sempre cosi. Anche prima di buttare la carne. Lo Shakespeare era qui prima di me e lui non buttava carne. Ma diceva che puzza fin dal suo arrivo.»

«L’acqua stagnante puo avere un gran brutto odore,» disse Horton, «ma non avevo mai sentito un fetore simile.»

«Forse non e proprio acqua,» disse Carnivoro. «E piu densa. Scorre come acqua, lo sembra, ma e piu densa. Shakespeare la chiamava broda.»

Lunghe ombre, estendendosi dai filari degli alberi verso occidente, si erano insinuate sul campo. Carnivoro piego la testa e guardo il sole socchiudendo gli occhi.

«E quasi l’ora di Dio,» disse. «Andiamo dentro. Sotto un robusto muro di pietra non e troppo brutto. Non come all’aperto. Si sente ancora, ma la pietra filtra via il peggio.»

L’interno della casa di Shakespeare era semplice. Il pavimento era lastricato. Non c’era soffitto: l’unica stanza arrivava fino al tetto. Al centro stava un grosso tavolo di marmo, e tutto intorno un ripiano di pietra, alto come un sedile.

Carnivoro lo indico. «Per sedere e per dormire. Anche posto per mettere la roba.»

Il ripiano in fondo alla stanza era pieno di vasi e brocche, strani oggetti che sembravano statuette, ed altri cui era impossibile, a prima vista, assegnare un nome.

«Vengono dalla citta,» disse Carnivoro. «Oggetti che Shakespeare portava dalla citta. Curiosi, forse, ma di poco valore.»

Ad una estremita del tavolo c’era una candela sghemba, fissata alla pietra dai suoi sgocciolii. «Da luce,» disse Carnivoro. «Shakespeare l’aveva fatta con il sego della carne che io uccidevo, e la usava per rimuginare sul libro… qualche volta era il libro che parlava a lui, e qualche volta lui parlava al libro con il suo bastoncino magico.»

«Era il libro che hai promesso di mostrarmi,» disse Horton.

«Certamente,» disse Carnivoro. «Forse tu puoi spiegarmi. Dirmi cos’e. Io chiedo allo Shakespeare molte volte, ma la spiegazione che mi dava lui non era una vera spiegazione. Io sto li e mi rodo il cuore per la voglia di sapere, e lui non voleva mai dirlo. Ma dimmi una cosa, per favore. Perche aveva bisogno di una luce per parlare col libro?»

«Si chiama leggere,» disse Horton. «Il libro parla con i segni che ci sono sopra. Ci vuole la luce per vederli. Perche parli, i segni si debbono vedere chiaramente.»

Carnivoro scosse il capo. «Strane abitudini,» disse. «Voi umani siete strani affari. Lo Shakespeare, strano. Rideva sempre di me. Non apertamente, dentro. Io gli voglio bene, ma lui ride. Ride per essere piu di me. Ride in segreto, ma mi fa capire che ride.»

Ando in un angolo e prese un sacco confezionato di pelle animale. Lo sollevo con un pugno e lo scosse: ne usci un fruscio secco, uno struscio.

«Le sue ossa,» grido. «Adesso ride solo con le ossa. Anche le ossa ridono ancora. Ascolta e le sentirai.»

Scosse rabbiosamente il sacco. «Non senti ridere?»

L’ora di Dio venne.

Era ancora mostruosa. Nonostante le spesse mura di pietra ed il soffitto, la sua forza non era molto attenuata. Ancora una volta, Horton si senti afferrare, spogliare e squarciare ed esplorare; e questa volta, gli parve, non veniva soltanto esplorato, ma anche assorbito; mentre lottava per restare se stesso, senti che diveniva una sola cosa con cio che l’aveva afferrato. Si senti fondere in esso, diventarne parte, e quando comprese che era impossibile opporsi alla fusione, nonostante l’umiliazione che gli dava l’essere reso parte di qualcosa d’altro, cerco di sondare a sua volta, di scoprire cio che s’impadroniva di lui. Per un istante, credette di capirlo: per un istante fuggevole, la cosa da cui era stato assorbito, la cosa che lui era diventato, parve protendersi per abbracciare l’universo, tutto cio che era stato ed era e sarebbe stato in futuro, mostrandolo, mostrandogliene la logica, o l’illogicita, lo scopo, la ragione ed il fine. Ma in quell’istante, la sua mente umana si ribello all’implicazione della conoscenza, sbigottita e indignata al pensiero che potesse esservi una cosa simile, che fosse possibile rivelare l’universo e conoscerlo. La sua mente ed il suo corpo si ritrassero: preferivano non sapere.

Non aveva modo di calcolare per quanto duro. Era inerte in quella stretta, che pareva assorbire non soltanto lui ma anche il suo senso del tempo… come se potesse manipolare il tempo a modo suo e per i suoi fini; e Horton provo la sensazione fuggevole che, se poteva far questo, nulla era in grado di opporsi, perche il tempo era il fattore piu elusivo dell’universo.

Poi fini, e Horton si stupi nel trovarsi accovacciato sul pavimento, con le braccia levate per coprirsi la testa. Senti che Nicodemus lo sollevava, lo rimetteva in piedi e lo sosteneva. Infuriato della propria impotenza, scosto di scatto le mani del robot e si diresse barcollando verso il grande tavolo di pietra, vi si aggrappo disperatamente.

«E stato ancora brutto,» disse Nicodemus.

Horton scrollo il capo, cercando di schiarirsi il cervello. «Brutto,» disse. «Come l’altra volta. E tu?»

«Lo stesso, come prima,» disse Nicodemus. «Un colpo mentale di striscio, tutto li. Si impone molto piu brutalmente ad un cervello biologico.»

Come attraverso una nebbia, Horton senti Carnivoro declamare «Qualcosa, lassu,» stava dicendo, «sembra si interessi a noi.»

13.

Horton apri il libro al frontespizio. Accanto a lui la rozza candela sgocciolava e fumava, gettando una luce ondeggiante e incerta. Si piego per leggere. I caratteri tipografici erano strani, le parole sembravano sbagliate.

«Che cos’e?» chiese Nicodemus.

«Credo sia Shakespeare,» rispose Horton. «Che altro potrebbe essere? Ma l’ortografia e diversa. Abbreviazioni strane. E certe lettere sono sbagliate. Si, guarda… dovrebbe essere cosi. Opere complete di William Shakespeare. Io lo leggo cosi. Sei d’accordo con me?»

«Ma non c’e la data di pubblicazione,» disse Nicodemus, sporgendosi sopra la spalla di Horton.

«E posteriore al nostro tempo, immagino,» disse questi. «La lingua e l’ortografia cambiano, con gli anni. Non

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