Oggi lo stagno puzza piu del solito. E un odore malvagio. Non un cattivo odore, semplicemente: un odore malvagio. Come fosse vivo ed essudasse il male. Come se nelle sua profondita si nascondesse qualcosa di osceno.

Re Lear, pagina 1143, questa volta sul margine destro:

Ho trovato degli smeraldi, dissepolti dalle intemperie su un costone, circa un chilometro e mezzo sotto la fonte. Stavano li, in attesa di essere raccattati. Me ne sono riempite le tasche. Non so perche mi sono preso questo disturbo. Eccomi qui: sono ricco, e non ha la minima importanza…

Macbeth, pagina 1207, margine in fondo:

C’e qualcosa nelle case. Qualcosa da trovare. Un enigma da risolvere. Non so cosa sia, ma sento che c’e…

Pericle, pagina 1381, nella meta inferiore della pagina, dopo la fine del testo:

Siamo tutti perduti nell’immensita dell’universo. Abbiamo perduto la patria, e non abbiamo un posto dove andare: o peggio, ne abbiamo troppi. Siamo perduti non soltanto nelle profondita del nostro universo, ma anche nell’abisso delle nostre menti. Quando gli uomini vivevano su un solo pianeta, sapevano dov’erano. Avevano metri di legno per misurare, e i pollici per sentire da che parte tirava il vento. Ma adesso, anche quando crediamo di sapere dove siamo, siamo egualmente perduti: perche non c’e una strada per riportarci a casa, oppure, molto spesso, non abbiamo una casa cui valga la pena di ritornare.

Non ha importanza dove puo essere la casa; oggi gli uomini, almeno intellettualmente, sono vagabondi. Anche se chiamiamo «patria» un pianeta, persino i pochi che possono chiamare patria la Terra, la patria non esiste piu. La razza umana e ormai frammentata tra le stelle, e continua la sua diaspora nello spazio. Come razza, siamo intolleranti nei confronti del passato; molti lo sono nei confronti del presente, ed abbiamo un’unica direzione, verso il futuro, che ci porta sempre piu lontani dal concetto di patria. Come razza, siamo vagabondi inguaribili, e non vogliamo nulla che ci leghi, nulla cui aggrapparci… fino al giorno che deve venire inevitabilmente per ognuno di noi, quando ci rendiamo conto di non essere liberi come crediamo, e siamo invece perduti. Solo quando cerchiamo di ricordare, per mezzo della memoria razziale, dove siamo stati e perche ci siamo stati, comprendiamo fino a che punto siamo perduti.

Su un pianeta, o anche in un unico sistema solare, potevamo orientarci verso il centro psicologico dell’universo. Perche allora avevamo valori, che adesso riconosciamo limitati: ma almeno fornivano una struttura umana entro la quale ci muovevamo e vivevamo. Ormai la struttura si e schiantata, e i nostri valori sono stati disgregati tante volte dai mondi diversi su cui ci siamo recati (perche ogni mondo nuovo ci da nuovi valori, o abolisce alcuni dei vecchi, cui stavamo aggrappati) che non abbiamo piu una base su cui fondare il nostro giudizio. Non abbiamo piu una scala di valori concordata per misurare le perdite e le aspirazioni. Anche l’infinito e l’eternita sono divenuti concetti diversi, sotto molti aspetti fondamentali. Un tempo ci servivamo della scienza per strutturare il luogo dove vivevamo, per conferirgli forma e ragione; adesso siamo confusi, perche abbiamo imparato tanto (e tuttavia una minima parte di quanto c’e da imparare) che non riusciamo ad inquadrare i punti di vista scientifici dell’umanita nell’universo quale lo vediamo ora. Adesso ci poniamo piu domande di prima, ed abbiamo meno probabilita di trovare le risposte. Forse eravamo provinciali; questo nessuno lo nega. Ma molti di noi debbono rendersi conto che nel provincialismo trovavamo un conforto ed un certo senso di sicurezza. Tutta la vita e inquadrata in un ambiente assai piu ampio della vita stessa: ma in qualche milione d’anni qualunque specie puo acquisire familiarita con il suo ambiente, e viverci bene. Noi, invece, abbandonando la Terra, spregiando il nostro pianeta natale per cercare stelle piu fulgide e piu lontane, abbiamo ampliato in modo enorme il nostro ambiente, e non abbiamo a disposizione milioni d’anni: nella nostra fretta, non abbiamo piu tempo.

Lo scritto finiva li. Horton chiuse il volume e lo spinse da parte.

«Allora?» chiese Carnivoro.

«Niente,» disse Horton. «Solo incantesimi interminabili. Non li capisco.»

14.

Horton era sdraiato accanto al fuoco, avviluppato nel sacco a pelo. Nicodemus stava aggiungendo legna, e la sua scura superficie metallica guizzava di riflessi rossi e azzurri irradiati dalle fiamme. Lassu, le stelle sconosciute brillavano vivide, e accanto alla fonte, qualcosa si lamentava amaramente.

Horton si mise piu comodo, poiche sentiva sopraggiungere il sonno. Chiuse gli occhi, senza stringere le palpebre, e attese.

Carter Horton, disse Nave, parlandogli nella mente.

Si, disse lui.

Percepisco un’intelligenza, disse Nave.

Carnivoro? chiese Nicodemus, accovacciato accanto al fuoco.

No, non Carnivoro. Riconosceremmo Carnivoro, poiche l’abbiamo gia incontrato. Il suo modello d’intelligenza non e eccezionale, non e molto diverso dal nostro. Questo lo e. Piu forte ed acuto, e in un certo senso molto differente, ma confuso e indistinto. Come se fosse un’intelligenza che cerca di tenersi nascosta e di sottrarsi all’attenzione.

Vicino? chiese Horton.

Vicino. Presso al luogo dove sei tu.

Qui non c’e nulla, disse Horton. Il villaggio e abbandonato. Non abbiamo visto nulla in tutto il giorno.

Se si nasconde, non potete vederla. Dovete stare attenti.

Forse lo stagno, disse Horton. Forse c’e qualcosa che vive nello stagno. Carnivoro ne sembra convinto. Crede che ci sia qualcosa che divora la carne, quando la butta li dentro.

Forse, disse Nave. Carnivoro, ci sembra di ricordare, ha detto che non era vera acqua, ma piuttosto una broda. Non ti sei avvicinato?

Puzza, disse Horton. Non viene certo voglia di avvicinarsi.

Non riusciamo ad ubicare quell’intelligenza, disse Nave. Sappiamo solo che e nella vostra area. Non troppo lontano. Forse si tiene nascosta. Non correte rischi. Siete armati?

Si, certo, disse Nicodemus.

Bene, disse Nave. State in guardia.

D’accordo, disse Horton. Buonanotte, Nave.

Non ancora, disse Nave. C’e un’altra cosa. Quando leggevi il libro, abbiamo cercato di seguirti, ma non siamo riusciti a capire tutto quel che leggevi. Questo Shakespeare… l’amico di Carnivoro, non l’antico drammaturgo. Cosa ne pensi?

Un umano, rispose Horton. Su questo non c’e dubbio. Il suo teschio, almeno, e umano, e la sua scrittura sembra un’autentica grafia umana. Ma era in preda alla pazzia. Forse a causa di un tumore maligno al cervello. Parlava di un inibitore, un inibitore del cancro, credo, ma diceva che era quasi finito e che, quando fosse rimasto senza, sarebbe morto tra dolori atroci. Per questo ha indotto con un trucco Carnivoro ad ucciderlo, ridendone.

Ridendo?

Rideva sempre di Carnivoro. E gli lasciava capire che rideva di lui. Carnivoro ne parla spesso.

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