15.
Nicodemus sveglio Horton, scuotendolo. «Abbiamo una visita.»
Horton si raddrizzo nel sacco a pelo. Si soffrego gli occhi incrostati dal sonno per essere sicuro che non lo ingannassero. Una donna stava a qualche passo dal fuoco. Indossava un paio di calzoncini gialli e stivali bianchi che le arrivavano quasi al ginocchio. E nient’altro. Su un seno nudo aveva tatuata una rosa rossoscura. Era alta e snella come un ramo di salice. Alla vita aveva allacciata una cintura che reggeva una strana pistola. Su una spalla portava appeso uno zaino.
«E venuta dal sentiero,» disse Nicodemus.
Il sole non si era ancora levato, ma c’era gia la prima luce dell’alba. Era un mattino umido, vaporoso, dolce.
«Sei venuta dal sentiero,» disse Horton, confuso, non ancora perfettamente sveglio. «Vuoi dire che sei arrivata dal tunnel?»
La donna batte le mani, soddisfatta. «Meraviglioso,» disse. «Anche tu parli la lingua antica. Che gioia trovarvi tutti e due. Avevo studiato la vostra lingua, ma finora non avevo mai avuto occasione di servirmene. Come sospettavo, adesso mi rendo conto che la pronuncia che ci hanno insegnato aveva perduto qualcosa, nel corso degli anni. Sono rimasta sbalordita, e felice, quando l’ha parlata il robot, ma non osavo sperare di trovare qualcun altro che la conoscesse.»
«E stranissimo, quello che dice,» fece Nicodemus. «Carnivoro parla la stessa lingua, e l’ha imparata da Shakespeare.»
«Shakespeare,» disse la donna. «Shakespeare era un antico…»
Nicodemus indico il teschio con il pollice. «Le presento Shakespeare,» disse. «O quel che resta di lui.»
La donna guardo il teschio e batte di nuovo le mani. «Meravigliosamente barbarico!»
«Si, non e vero?» fece Horton.
La donna aveva il viso scarno, quasi ossuto, ma dai lineamenti aristocratici. I capelli argentei erano pettinati all’indietro e annodati in una piccola crocchia alla nuca. Quella pettinatura poneva in risalto la magrezza del volto. Gli occhi erano d’un azzurro penetrante, le labbra sottili ed esangui, senza traccia di sorriso. Anche quando batteva le mani per la gioia, non c’era ombra di un sorriso. Horton si chiese se poteva sorridere.
«Viaggi in strana compagnia,» disse lei a Horton.
Horton si guardo intorno. Carnivoro stava uscendo dalla porta, e sembrava un letto sfatto. Si stiro, levando le braccia sopra la testa. Sbadiglio, mettendo in mostra tutto lo splendore delle zanne lucide.
«Preparero la colazione,» disse Nicodemus. «Ha appetito, signora?»
«Una fame tremenda,» disse lei.
«Abbiamo carne,» disse Carnivoro, «sebbene non uccisa di fresco. Mi affretto a darti il benvenuto nel nostro piccolo accampamento. Io sono Carnivoro.»
«Ma un carnivoro e una cosa,» obietto la donna. «Una classificazione. Non un nome.»
«E un carnivoro, e se ne vanta,» disse Horton. «E si chiama cosi.»
«Mi ha chiamato cosi Shakespeare,» disse Carnivoro. «Io ho un altro nome, ma non ha importanza.»
«Io mi chiamo Elayne,» disse la donna. «E sono lieta di conoscervi.»
«Io mi chiamo Horton. Carter Horton. Puoi chiamarmi con un nome o con l’altro, o con tutti e due.»
Usci dal sacco a pelo e si alzo in piedi.
«Carnivoro ha detto ‘carne’,» fece Elayne. «Diceva sul serio?»
«Sicuro,» disse Horton.
Carnivoro si batte il petto. «La carne fa bene,» disse, «Da sangue e ossa. E tono ai muscoli.»
La donna rabbrividi, delicatamente. «Avete solo la carne?»
«Potremmo combinare qualcosa d’altro,» disse Horton. «I viveri che avevamo con noi. Quasi tutti disidratati. Non hanno un sapore ideale.»
«Oh, al diavolo,» disse Elayne. «Mangero la carne con voi. E solo il pregiudizio che mi ha impedito di assaggiarla in tutti questi anni.»
Nicodemus, che poco prima era entrato nella casa di Shakespeare, ne usci, tenendo un coltello in una mano e nell’altra un grosso pezzo di carne. Ne taglio una robusta fetta e la porse a Carnivoro. Carnivoro si accoccolo sui talloni e comincio a dilaniarla, mentre il sangue gli scorreva sul muso.
Horton vide l’espressione d’orrore sul viso della donna. «La nostra la faremo cuocere,» disse. Ando a un mucchio di legna da ardere e sedette, indicando il posto accanto a lui. «Vieni a farmi compagnia,» aggiunse. «Nicodemus cucinera. Ci vorra un po’.» Poi, a Nicodemus: «La sua bistecca falla ben cotta. La mia al sangue.»
«Prima mettero a cuocere quella della signora,» disse Nicodemus.
Esitando, Elayne si avvicino al mucchio di legna e sedette accanto a Horton.
«Questa,» disse, «e la situazione piu. strana che abbia mai incontrato. Un uomo e il suo robot che parlano la lingua antica. Un carnivoro che la parla quasi altrettanto bene, e un teschio umano inchiodato sopra una porta. Voi due dovete provenire dai pianeti arretrati.»
«No,» disse Horton. «Veniamo direttamente dalla Terra.»
«Ma non e possibile,» disse Elayne. «Ormai nessuno viene piu direttamente dalla Terra. E dubito che anche la non parlino piu la lingua antica.»
«Ma noi si. Abbiamo lasciato la Terra nell’anno…»
«Nessuno ha lasciato la Terra da piu di un millennio,» disse Elayne. «La Terra, ormai, non ha una base per i lunghi viaggi. Senti, a che velocita andavate?»
«Quasi alla velocita della luce. Con qualche sosta qua e la.»
«E tu? Eri ibernato?»
«Certo. Ero ibernato.»
«Quasi alla velocita della luce,» disse lei. «E impossibile fare un calcolo. So che c’erano calcoli matematici primitivi, ma erano approssimazioni grossolane, e la razza umana non ha viaggiato alla velocita della luce per un periodo abbastanza lungo per determinare esattamente l’effetto della dilatazione del tempo. Furono lanciate solo poche navi interstellari che volavano alla velocita della luce, o un po’ meno, e ne sono ritornate pochissime. E prima che tornassero, erano stati scoperti sistemi migliori per viaggiare; nel frattempo, la Vecchia Terra era precipitata in una situazione economica catastrofica, e c’era la guerra… non un conflitto generale, ma molte