— Sono diventato un apprendista scrittore — disse allora — per mezzo di mio zio, che era un mastro idraulico. — Poi comincio a infilare delle monete nell’apposita fenditura dell’automatassi.
— Immaginavo che si trattasse di qualcosa del genere — disse la signorina Bishop, alzandosi mentre il carapace si sollevava, dopo che era stata infilata l’ultima moneta. — Grazie per la cena e per la conversazione. Qualche volta e difficile anche la conversazione piu stupida, specialmente quando ci sono di mezzo io, e per lo meno voi ci avete provato. No, non accompagnatemi alla porta… ci sono solo tre metri, e potete guardarmi mentre entro. — Scese dal tassi e mentre la porta del suo appartamento l’inquadrava, la riconosceva e si apriva per riceverla, disse: — Allegro, Gaspard. Che cos’ha una donna, in fondo, che non abbia anche la produzione dei mulini-a-parole?
La domanda aleggio nell’aria buia come una microscritta nel cielo, dopo che la ragazza fu scomparsa.
E depresse Gaspard, soprattutto perche gli ricordo che non aveva comprato un volumetto nuovo per quella sera, e ormai non aveva voglia di andare alla ricerca di una edicola aperta.
Poi comincio a chiedersi se la ragazza aveva inteso dire che per lui, le donne e la narrativa dei mulini non erano altro che strade verso l’annullamento.
L’automatassi sussurro: — Andiamo da qualche parte signore, oppure scendete?
Forse avrebbe dovuto andare a casa a piedi, penso: era solo a dieci isolati di distanza. Avrebbe potuto fargli bene. Una sensazione paludosa andava crescendo dentro di lui… una solitudine scura, fredda, sporca, umida, un profondo autodisprezzo, il bisogno di scuotere il proprio ego, in qualche modo.
Maledizione, perche aveva interrotto Zane Gort quando stava per dargli l’indirizzo di quella casa d’appuntamenti di robot, comunque la chiamassero! La casa di madame Pneumo? Era stanco, stanco, stanco. Non aveva dormito, dopo i sonnellini durante il turno di notte; ma il suo pessimo umore era ancora piu forte della stanchezza. Anche lo stordimento, per non parlare delle carezze robotiche, gli sarebbe stato d’aiuto, quella sera.
— Andiamo da qualche parte, signore, oppure scendete? — L’automatassi stava parlando in tono da conversazione, adesso.
Ebbene, poteva fare tacere il suo orgoglio e chiamare subito Zane. Per lo meno i robot non rimbeccavano “Te l’avevo detto io!”, e non ci si doveva mai chiedere se dormivano o no. Si tolse il telefono dalla tasca e mormoro il numero in codice di Zane.
—
La risposta venne immediatamente, in toni zuccherosi che somigliavano a quello della signorina Blushes.
— Questo e un messaggio registrato. Zane Gort si scusa di non essere disponibile per un colloquio. Sta tenendo una conferenza al Club dei Tessitori Mentali Metallici di Mezzanotte sull’argomento “L’antigravita, nella narrativa e nella realta”. Sara libero fra due ore. Questo e un messaggio regi…
— ANDIAMO DA QUALCHE PARTE, SIGNORE, OPPURE SCENDETE?
Gaspard scese dall’automatassi e comincio a camminare prima che quello richiudesse il carapace, oscurasse i finestrini e azzerasse il tassametro.
21
Sebbene fosse affollato quel grande granaio grigio che era il caffe la Parola era carico di storia, quella sera, e infestato da mille spettri tozzi, scuri e brontolanti che inseguivano una pallida muta fantasima, bellissima ma emaciata fino al punto di apparire scheletrica.
Questo era abbastanza naturale, poiche la Parola, come gli altri locali straordinariamente simili che l’avevano preceduta, nel passato, era stata testimone delle frenesie, delle manie e delle frustrazioni (per cento anni) di scrittori che non scrivevano affatto: e offriva perpetuo ricovero all’unico, esile sogno che sembra avere qualsiasi scrittore, anche nominale: di scrivere veramente qualcosa, un giorno o l’altro.
I fitti tavolini verdi, con i piani appositamente graffiati e le sedie da cucina dell’epoca erano un pietoso monumento funebre alle defunte
Poiche i tavoli degli scrittori erano tradizionalmente serviti dagli apprendisti, il risultato era quello di una moltitudine di Shakespeare, di Voltaire, di Virgili e di Ciceroni che servissero un banchetto a un branco di sempliciotti. I modelli di robot antiquati servivano ai tavoli dei non scrittori, aggiungendo alla scena un tocco grottesco.
Tre delle pareti che si curvavano dolcemente verso l’interno erano ricoperte, per un’altezza di nove metri, di stereoritratti di scrittori patentati vivi e defunti, ma tutti appartenenti al periodo dei mulini-a-parole. Erano di dimensioni un po’ piu grandi di quelle naturali, ed erano serrati gli uni agli altri come le caselle di una gigantesca scacchiera, irregolare alla sommita, dove potevano essere inseriti anche i nuovi venuti. A pochi centimetri da ogni faccia galleggiava una florida firma nera; ogni tanto il nome era impresso a caratteri di stampa, oppure vi appariva una croce scarabocchiata con un piglio di sfida. In un certo senso, l’effetto complessivo di quelle tremila teste colossali in altrettante scatole trasparenti piene di luce (quasi tutte le facce sogghignavano in modo accattivante, mentre qualcuna era imbronciata o meditabonda) non era affatto riposante e non induceva a pensieri di liete tradizioni e di benevole fratellanze.
La quarta parete era ingombra di ripiani carichi dei trofei e dei ricordi delle vocazioni secondarie che aggiungevano tanto colore alle controcopertine: arpioni da pesca e respiratori subacquei, scarponi chiodati da scalatori, maschere artiche dagli occhi a fessura, volanti da applicarsi a scatto, tute spaziali di modello sportivo (qualcuna con i razzi da corsa), distintivi da investigatore e manubri da ginnastica, fucili da caccia grossa, bussole e caviglie metalliche, asce da boscaioli e spatole brunite dal calore (del tipo usato dai cuochi per cuocere i salsicciotti), barattoli di latta dall’orlo seghettato, lucenti brandelli di vela lieve come una piuma, brizzolata dai venti leggeri.
In un angolo vicino c’era una minuscola cappella, fiocamente illuminata, in cui erano custodite come reliquie le antiche fonoscriventi e persino qualche dittafono e qualche macchina da scrivere elettrica, che gli scrittori patentati del sindacato avevano usato per il loro lavoro commerciale al tempo in cui si era verificato il passaggio dagli uomini ai mulini.
Alcuni di quegli scrittori e di quelle scrittrici primordiali, mormorava la tradizione, avevano veramente continuato a comporre capolavori letterari pubblicati, in tirature limitate, a loro spese o a spese di qualche universita non progressista orientata semanticamente. Ma per i loro successori, la scrittura creativa era stato soltanto un sogno, lungo quanto la vita, che era diventato sempre piu nebuloso con il passare dei decenni, fino a che aveva ripreso impulsivamente vita in quel giorno di decadenza e di malcontento sindacale.
Quella sera la Parola era affollatissima.
Gli scrittori non erano troppo ben rappresentati, perche molti di loro se ne stavano altrove, seduti in cerchio, a tenersi per mano nel tentativo di fare scorrere il fluido creativo, e altri erano stati impegnati, al momento del massacro, in viaggi auto-pubblicitari in altre citta o su altri pianeti.
Ma i non scrittori erano presenti in cosi gran numero da tenere impegnati tutti i robot di servizio che correvano da un tavolo all’altro. C’erano i soliti curiosi che venivano a vedere gli scrittori selvatici nel loro
Al tavolo verde centrale sedevano Heloise Ibsen e Homer Hemingway, che venivano serviti da una scrittrice minorenne dal viso triangolare, vestita da cameriera francese.
— Pupa, non ci siamo messi in mostra abbastanza? — si lagno il grosso scrittore; la luce delle lampade ondeggio sulla sua testa rasata. — Vorrei andare a dormire.
— No, Homer — gli disse Heloise. — Devo mettere le mani su tutti i fili al centro della ragnatela, e non vi sono ancora riuscita. — Si guardo alquanto intorno pensierosa, osservando gli occupanti dei tavoli vicini e facendo tintinnare la sua collana da caccia fatta di teschi d’argento. — E tu devi mostrarti al tuo pubblico, o finirai per svalutarti.