la dolcezza, la profondita e la costanza del suo amore. Come ti avrebbe viziato, te, suo unico nipote, come si sarebbe divertito a intagliare per te dei giocattoli di legno, come faceva per me, Zsuzsanna e Stefan. Per conoscere il suo volto, non hai che da guardare quello di tuo padre; i miei lineamenti taglienti, da falco, sono i suoi, cosi come i miei capelli di un nero corvino, sebbene i miei occhi siano color nocciola, un miscuglio tra gli occhi verdi di mio padre e quelli castani di mia madre. Vorrei poterti dire di aver conosciuto tua nonna, ma gli unici ricordi che possiedo di lei sono le storie raccontate da mio padre; lei mori poco tempo dopo la mia nascita).
Fissai il suo viso pallido, come di cera, con i lineamenti aguzzi, tirati. Gli occhi erano chiusi, ed io mi lasciai andare a un solitario, lacerante singhiozzo, comprendendo che non avrei mai piu guardato quegli occhi verdi, belli e intelligenti. Piansi amaramente mentre poggiavo la mia guancia contro il suo freddo petto immobile e lo imploravo, come un bambino, di aprire di nuovo quegli occhi, soltanto una volta, una volta ancora.
Non so quanto a lungo la mia angoscia continuo, ma so soltanto che, dopo un po’ di tempo, mi calmai abbastanza per sapere che qualcosa di freddo e metallico mi graffiava la guancia. Sollevai la testa e vidi sotto di essa un grosso crocifisso d’oro attaccato a un rosario che era stato appeso intorno al collo di mio padre. Ovviamente, era stato un servo superstizioso o le cantanti di
Rimasi adirato per un po’, quindi mi calmai: chiunque avesse fatto quello, l’aveva fatto con buone intenzioni. Lentamente, recuperai la croce e le perle, e le feci scivolare nella tasca del mio gilet, poi mi sedetti sul banco di legno vicino alla bara, e presi la lettera di mio padre, scritta con l’originale e artistica calligrafia di Zsuzsanna. Diceva:
Rimasi immerso nel dolore per un po’ di tempo. Non posso onestamente dire che la richiesta di mio padre di prendere il suo posto arrivasse come una sorpresa; Mary ed io l’avevamo discussa da quando era arrivato il telegramma di Zsuzsanna. Quando, al principio, ero partito per l’Inghilterra, intendevo ritornare a casa alla fine dei miei studi per assistere mio padre nell’amministrare la proprieta ma, a quel tempo, immaginavo che lui sarebbe sopravvissuto allo zio e avrebbe ereditato tutto. Negli anni intercorsi, mi ero abituato al mio nuovo paese, mi ero innamorato di una ragazza inglese, mi ero sposato, e mi ero dimenticato completamente dei miei obblighi familiari.
Non posso ignorarli ancora. La nostra famiglia ha affrontato un gran numero di difficolta a causa di matrimoni tra consanguinei. Nella nostra famiglia ci sono stati bambini deformi e malati, come Zsuzsanna, e dei pazzi, per cui essa si e assottigliata nel corso dei secoli, finche soltanto mio padre e suo fratello sono rimasti a dare continuita al nome.
Fortunatamente, mio padre aveva sposato una straniera, una robusta donna russo-ungherese, e ambedue — mio padre e lo zio — erano stati tanto gentili da concedere la loro benedizione, quando avevo annunciato il mio fidanzamento con Mary.
Ma, quando morira lo zio, io saro l’ultimo maschio Tsepesh… o Dracula, per usare l’odioso nome datoci dai contadini. E semplicemente la cosa piu giusta che io possa fare quella di crescere qui i miei figli e insegnare loro ad amare questa terra come io la amo, cosi come fecero mio padre, e suo padre, e tutti i miei antenati prima di me. Abbiamo posseduto questa terra per quasi quattrocento anni. Non la posso abbandonare: venderla a degli sconosciuti sarebbe impensabile.
Per quanto sia fiero della mia eredita, provo un opprimente senso di colpa nel chiedere a Mary di rinunciare all’Inghilterra e di rimanere in questo paese arretrato e isolato. Lei insiste nel dire che ha sempre saputo che sarebbe finita cosi e che e del tutto pronta. Ma cio e ben poco per alleviare la mia preoccupazione. Non posso essere felice se lei non lo e.
Eppure, nell’oscuro silenzio illuminato solo dalle candele, faccio un solenne giuramento… una promessa a mio padre, sul letto di morte, anche se con parecchie ore di ritardo: rimarro, come lui ha chiesto, e mi prendero cura dello zio. Mary ed io faremo crescere qui suo nipote, sulla proprieta che lui amava tanto, ed io non trascurero di raccontare a quel bambino di suo nonno e di tutti quei Tsepesh che lo hanno preceduto.
Cosi rimasi sul banco di duro legno, perduto nel dolore per mio padre, dove generazioni di Tsepesh si erano seduti prima di me, vegliando i cari che avevano perduto. Dopo alcune ore, mi assopii e caddi di nuovo nel sogno angoscioso di me stesso bambino, che correvo dietro a Stefan attraverso la foresta.
Fui svegliato all’improvviso dal suono di un ululato spaventoso, spiacevolmente vicino. Nello stesso istante, la pesante porta di legno si spalanco con un gemito e vidi, per la prima volta in tanti anni, il mio prozio Vlad.
(Caro figliolo, il tuo prozio Vlad, che, per il tempo in cui sarai abbastanza grande da poter leggere questo scritto, sara passato a miglior vita, era un solitario notevolmente eccentrico. Io sospetto che cio fosse dovuto a un leggero caso di follia della famiglia.
Vlad soffriva di agorafobia, raramente lasciava il castello, e temeva i contatti regolari con chiunque, tranne quelli con mio padre. Per questa ragione mio padre si occupava di tutte le faccende che avessero a che fare con la proprieta terriera, e della maggior parte delle questioni con i domestici. Eppure Vlad era oltremodo generoso con noi. Ci faceva visita durante levacanze e i compleanni, facendo in queste occasioni la parte dello zio gentile e interessato, e ci ricopriva di doni. Pago non solo per l’istruzione di mio padre, ma anche per la mia, e salvo la vita di Zsuzsanna quando si ammalo, facendo venire da Vienna i migliori medici.
Sfortunatamente, le eccentricita del mio prozio fecero nascere molte dicerie tra i domestici e tra i superstiziosi contadini della zona. Queste dicerie hanno causato molti sospetti verso la nostra famiglia da parte della gente di campagna. Sono certo che anche tu ne sentirai parlare).
Fu evidente che entrambi fummo sorpresi dalla presenza l’uno dell’altro. Lui indugio un momento sull’entrata; era una figura alta, dai lineamenti tirati, dal portamento fiero come un leone e vestita a lutto. Devo ammettere che, nel corso degli anni, avevo dimenticato la stranezza e la severita del suo aspetto, e ne fui dapprima intimidito, come lo ero stato tanto spesso da bambino. Era pallido come uno spettro (come si addice a chi vive recluso), cosi pallido che era impossibile dire dove finiva la sua pelle e cominciava la folta criniera d’argento che aveva sulla testa. I suoi lunghi baffi pendenti e le scompigliate e spesse sopracciglia erano dello stesso colore. Questo pallore eccezionale era sottolineato dal mantello nero e dagli scuri occhi verdi… occhi magnetici, antichi, del colore della foresta, pieni di agile intelligenza.
Per un momento, mi sentii allo stesso tempo attirato e respinto dalla loro vista, ma poi essi si addolcirono all’improvviso nel riconoscermi, si empirono di straordinaria gentilezza, e lui si trasformo, da spettro che suscitava paura, nello zio affettuoso che ricordavo.
Tirai un sospiro quando compresi che la mia infantile preghiera era stata accolta. Avevo dimenticato la straordinaria somiglianza familiare, ma ora guardavo nuovamente negli occhi di mio padre. Poi mi parlo, ed io udii la voce di mio padre.
«Arkady», disse, «il cui nome significa Paradiso. Che bello rivederti, ma in che triste circostanza ci incontriamo».
«Vlad», dissi, alzandomi. «Caro zio».
Camminammo l’uno verso l’altro e ci stringemmo le mani, poi ci scambiammo il tradizionale bacio su