Capitolo secondo

Il diario di Zsuzsanna Tsepesh

6 aprile. Sto scrivendo che e passata la mezzanotte… anzi, suppongo che in realta sia, dopotutto, il 7 aprile… Ho cosi bisogno di dormire… sono cosi esausta! Il giorno in cui papa e morto, ho pianto per tutta la notte, ne ho potuto riposare bene la notte seguente. Ora che il dolce sonno finalmente arriva, sono tenuta sveglia dall’abbaiare di Bruto. Continua a scagliarsi contro la finestra. Adesso e calmo ma, se lo fa ancora, lo chiudero in cucina, prima che svegli l’intera casa.

Sulle prime, quando ho aperto gli occhi e ho guardato verso la finestra, ho pensato di vedervi riflesso il viso dello zio, ma era soltanto l’immagine residua di un sogno. Bruto era talmente agitato che, alla fine, mi sono alzata, ho aperto le imposte per indagare, e ho visto qualcosa di furtivo e di grigio che correva attraverso i campi: un lupo.

Avevo pensato che non sarei stata in grado di dormire dopo lo spavento e che avrei continuato a scrivere dell’arrivo di Kasha e di Mary, ma la stanchezza ha la meglio su di me. Ora, a letto. Fai dolci sogni, Bruto!

Il diario di Mary Windham Tsepesh

7 aprile. Questo paese e bello, selvaggio e strano come la sua gente, e i familiari di mio marito sembrano essere i piu strani di tutti.

Il senso di colpa non e lieve mentre scrivo queste parole, ma io devo in qualche modo alleggerire il fardello di questa consapevolezza: pero non posso dirlo al mio bravo marito e. certamente, non alla sua famiglia. Eppure, mentre comincio a scrivere, sono tentata di attribuire le mie spiacevoli sensazioni a manie dovute alla mia condizione. Forse, tutte le mamme in attesa soffrono di tali preoccupazioni…

Sciocchezze! Non sono mai stata fragile, mai soggetta a malattie che si originassero dai nervi. Arkady e orgoglioso del mio equilibrio, ed e vero. Io provengo da gente con il sangue freddo. Amo mio marito per il suo calore, la sua passione, le sue audaci profferte che a me non salgono facilmente alle labbra. La maggior parte delle volte invidio proprio queste qualita.

Ma il suo prozio le possiede fino al livello della pazzia.

Non posso dire nulla al mio povero, caro Arkady; e gia abbastanza depresso per la morte di suo padre. Sono decisa a non aumentare la sua angoscia, poiche la capisco fin troppo bene. Sono rimasta orfana all’eta di tredici anni. Ho quattro sorelle e tre fratelli, ma siamo cresciuti divisi nelle case di lontani parenti, quando mia madre e mio padre morirono precocemente in un incendio. Ho desiderato cosi a lungo di appartenere nuovamente ad una vera famiglia che, quando a Londra lessi le belle lettere del padre, della sorella e del prozio di Arkady che mi accoglievano nella loro, mi vennero le lacrime agli occhi. Mi sentivo onorata di far parte di una tradizione che risaliva di secoli indietro nel tempo; mi sentivo privilegiata. Sapevo che i miei figli ne sarebbero stati fieri.

Quando finalmente sono arrivata in Transilvania, la lussureggiante bellezza del paesaggio mi ha affascinato, e la magnificenza delle proprieta di famiglia mi toglie il fiato, ogni volta che concentro la mia attenzione su cio che mi circonda. Posso a stento credere che sono una parte di tutto cio, che ora sono considerata la castellana di questo grande castello costruito quattrocento anni fa.

Mentre scrivo queste parole, posso alzare gli occhi e vedere attraverso le persiane aperte delle eteree nuvole di gemme dove i ciliegi e gli alberi di prugne ricoprono il lato della montagna accanto al grande castello di pietra del Principe, che si erge contro lo sfondo dei Carpazi. Oltre la finestra opposta, dei pastori in costume caratteristico sorvegliano delle greggi al pascolo nei campi aperti che circondano la fitta foresta, una vista che non deve essere affatto diversa da quella che gli abitatori di questa stanza dovettero vedere in secoli precedenti.

Arkady dice che c’e anche un vigneto e, quando siamo arrivati da Bistritz, mi indico i vasti campi del suo prozio accanto al villaggio nella valle, e disse che in autunno sarebbero diventati dorati per il grano. I possedimenti degli Tsepesh forniscono cibo all’intera comunita: piuttosto generosamente, direi, poiche i contadini locali sembrano molto meglio vestiti e nutriti di qualunque altro che abbia visto in altre zone di questo impero.

Io sono senza parole e ansiosa di dimostrarmi degna di far parte della famiglia. Un’altra fitta di senso di colpa mi trafigge quando scrivo queste parole, poiche loro non hanno voluto nulla da me, e non hanno fatto nulla tranne che accogliermi a braccia aperte.

Quando conobbi Zsuzsanna, lei mi conquisto il cuore. E cosi gentile, ed e una creatura cosi fragile, cosi sola… zoppa, come sembrano essere molti dei contadini. Arkady dice che e a causa dell’isolamento e dei matrimoni tra consanguinei, e che e una delle ragioni per cui la sua orgogliosa famiglia corre il pericolo di estinguersi.

Mi dispiace per Zsuzsanna, oramai sola in questa grande e triste casa. Mi e dispiaciuto per la morte di suo padre, ma sono contenta di essere venuta. Credo che nulla la renderebbe piu felice che giocare a fare la zietta di una nidiata di bambini (e niente renderebbe me piu felice che fare la madre di uno di essi). Lei stessa e una specie di bambina, essendo stata, come la sua gente, isolata troppo a lungo dai contatti con l’esterno. Sebbene sia straordinariamente intelligente — faceva pratica di inglese con Arkady “per divertimento” prima che lui partisse per l’Inghilterra e le lettere che ci ha scritto provano che, come suo fratello, ha ereditato il talento linguistico della madre poetessa — e anche enormemente ingenua.

Ma il suo prozio, Vlad…

Di lui non so cosa dire, tranne che mi spaventa, mi disgusta, e mi affascina. Non lo voglio vicino ai miei bambini. Forse il mio desiderio sara esaudito, perche sembra terribilmente debole e pallido e, secondo Arkady, e incredibilmente vecchio.

Quando lasciammo Bistritz, vidi la paura negli occhi del vecchio cocchiere e la vedo quotidianamente negli occhi della mia cameriera, Dunya. Lei e gli altri domestici rabbrividiscono quando io o uno degli altri membri della famiglia ci avviciniamo, e non ci guardano negli occhi. Dopo aver conosciuto il Principe, ne capisco la ragione. C’e qualcosa di terribilmente inquietante in lui, qualcosa di spaventoso. Non riesco a definirlo, poiche ha a che vedere con l’istinto, e non con la ragione. Persino il cane, Bruto, lo percepisce, e fugge la presenza del Principe.

Ma Arkady e Zsuzsanna no. Lo guardano con un tale amore e una tale devozione! Ne parlano con un rispetto che altri riserverebbero a Dio, e minimizzano tutto cio che essi definiscono piccole eccentricita: Vlad non ha partecipato nemmeno al funerale, ma nessuno si e offeso. E come se li avesse ipnotizzati.

Invece, la sera seguente al nostro arrivo, venne al pomana di Petra, un tradizionale “banchetto per il morto” per il quale furono preparati tutti i piatti preferiti dal defunto: mamaliga, una pappa piccante di farina di grano con sopra uova affogate, cavolo ripieno, e un piatto di pollo con una salsa rossa pepata.

E stata una faccenda breve e dolorosa. Nella sala da pranzo, simile a una caverna, Arkady, Zsuzsanna ed io, siamo rimasti in attesa, malinconici beneficiari di una sovrabbondanza di ricchezza, circondati da candelabri d’argento dai cento bracci, da un servizio da tavola in oro puro, e dal cristallo finemente lavorato, in cui ogni faccia rifletteva un migliaio di scintillanti lingue di fuoco. Eravamo seduti a un lungo, pesante tavolo di legno che avrebbe facilmente potuto ospitare trenta persone, e dall’altra parte del salone c’era un secondo tavolo della stessa lunghezza ma di altezza inferiore, che io suppongo fosse per i bambini.

Non potei fare a meno di pensare quanto fosse triste che la famiglia si fosse ridotta a noi tre piu lo zio. Apparentemente, non fui l’unica a cui venne in mente questo pensiero, poiche Zsuzsanna si volto verso Arkady e, con una debole e forzata allegria, gli disse:

«Ti ricordi, Kasha, quando eravamo bambini e zio Radu veniva a farci visita da Vienna?».

Mio marito annui mentre diceva, con una voce ancora bassa per il dolore:

«Mi ricordo. Portava con se le nostre cugine».

«Sei figlie», disse Zsuzsanna, con un sorriso tremante. I suoi grandi occhi neri luccicarono alla luce della candela per le lacrime non versate. Apparentemente, il pomana viene considerato come un lieto evento, il ricordo di cio che c’era di buono nella vita del defunto, ma lei sembrava oscillare sull’orlo di un precipizio emotivo, incerta se ridere o piangere. «Tutte cosi allegre, cosi intelligenti! Sedevamo con loro a quel tavolino», lo indico, «e loro cominciavano a cantare per gli adulti. Ti ricordi?». Ora canto una frase di quella che sembro alle mie orecchie una ninna nanna transilvana; la sua voce era chiara e gradevole. «E papa convinceva gli

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