Fermandosi, mi sfioro le labbra con il piu leggero dei baci.

«In quanto a te, mia cara… domani, se ti fa piacere, guarderemo il sorgere del sole insieme».

Il pensiero mi rallegro talmente che gridai:

«Oh, Elisabeth! Ti amero per sempre!».

E, nell’udire cio, lei sorrise.

9 maggio 1893. Ancora una volta, mi sono svegliata al suono della voce di Elisabeth e alla vista del suo splendido viso.

Ricordo a malapena la notte scorsa, tranne che fui troppo felice nel vedere che, come Elisabeth aveva detto, Dunya sembrava e si sentiva ancora forte. Questo mi fu di conforto, poiche mi sentivo ancora in colpa per non averla invitata a nutrirsi ieri.

Ah, ma poi ricordai il mezzogiorno di ieri — e lo ricordo ora — e ogni volta che lo faccio, arrossisco. La notte scorsa non ho visto Elisabeth; sospetto che Vlad abbia voluto tenerla con se per mancanza di fiducia e, per amor mio, lei non ha voluto disobbedire al suo ordine di evitale la mia compagnia.

E bene anche che non l’abbia vista allora; poiche, persino in presenza di Vlad, non sarei stata in grado di controllare la mia gioia alla vista di lei.

«Mia cara», disse Elisabeth piano, e allungo la mano nella bara per accarezzarmi la fronte e una guancia, teneramente, cosi come una madre accarezzerebbe un figlio. «Mi addolora cosi tanto vederti dormire in questo… questo aggeggio! I limiti di Vlad non sono i tuoi, sebbene lui possa volere che tu lo creda. Non vuoi stare nel mio letto?»

«Faro qualunque cosa ti faccia piacere».

Le presi quindi la mano che aveva poggiato sulla mia guancia e la baciai.

«Saro molto contenta di averti con me».

La sua frase mi fece piacere ma, in verita, non l’ascoltai che con meta della mia attenzione, poiche stavo guardando oltre lei, la finestra aperta, e vi vedevo i primi rosei raggi dell’alba che filtravano attraverso nuvole grigio-perla.

Ansiosa come un bambino, mi voltai verso di lei.

«Possiamo uscire? Adesso? Voglio vedere l’alba!», dissi.

«Sta piovigginando, temo e, da un momento all’altro, comincera a piovere piu forte».

Si tocco con una mano i riccioli d’oro attentamente acconciati come se la sola menzione del tempo potesse rovinarli.

«Non importa! Tu puoi restare qui: io voglio solo uscire e stare li».

Alle prime tre parole, getto indietro la testa e rise con indulgenza, poi continuo a sorridere finche non ebbi finito.

«Verro con te, mia cara. Non avevo capito che ti sentissi cosi forte. Ma, se tu lo desideri, allora sara fatto!».

Cosi le presi la mano e uscii dal mio macabro luogo di riposo: insieme camminammo lungo lo stesso percorso che avevamo preso il giorno precedente. Il suo vestito di seta gialla e il vestito di raso blu scuro che mi aveva dato, strusciavano piano contro il pavimento. Mentre camminavamo, lei si volto verso di me con un’espressione di innegabile apprezzamento per il mio corpo, e disse:

«E veramente bello su di te, cara. Lo puoi tenere, e voglio che tu scelga qualcuno dei miei vestiti da indossare: Dorka potra apportare le modifiche necessarie».

«Sei cosi gentile, Elisabeth!».

Mi sentivo letteralmente bruciare d’amore, come se il mio cuore fosse una grande fornace, finalmente accesa.

«E tu sei cosi bella, mia Zsuzsanna…».

Infine arrivammo alla grande porta di legno e ferro, e la spalancammo. Respirai immediatamente la fresca aria umida e mi meravigliai per la pioggerella che cadeva. Fuori c’era un paesaggio grigio, e un cielo coperto di nuvole.

E vero, fui delusa… per quanto bella potesse apparire la pioggerella, simile a diamanti luccicanti nella luce del sole. Anche cosi, ero contenta solo perche stavo all’aperto durante il giorno, e avanzai, volendo solo restare li a sentire l’acqua fresca contro il viso, contro la pelle.

Ma, quando cercai di oltrepassare la soglia e correre lungo le scale, gridai per una delusione piu profonda; infatti, per quanto provassi, non riuscivo ad andare oltre l’entrata, trattenuta da una forza invisibile.

Non potevo uscire. Sconvolta dalla disperazione, guardai Elisabeth in cerca d’aiuto.

Quello che vidi mi sorprese molto.

Anche lei stava sulla soglia e, pronunciata una veemente maledizione in ungherese, batte il piccolo piede calzato. Mentre guardavo, il bianco dei suoi occhi divenne scarlatto, rubino contro zaffiro, un contrasto stranamente accentuato dal pallore della sua pelle. E stata l’unica volta che l’ho vista con un aspetto sgradevole, e mi sorprese molto.

Indignata, si volto per guardarmi in viso.

«Ci teme! E cosi e ricorso a questa pietosa magia…».

Indico con disgusto la soglia.

Ma io nutrivo molta fede nelle sue capacita; se mi avesse ordinato di camminare sull’acqua, lo avrei fatto. Attesi che mi oltrepassasse, che uscisse audacemente all’esterno, permettendomi, poi, di fare lo stesso.

Non lo fece: rimase accanto a me sulla soglia, con l’espressione indignata. Non poteva uscire all’esterno, proprio come me. La mia delusione fu completa poiche, onestamente, l’avevo creduta onnipotente.

A causa dell’angolo della porta, non potevo vedere il sole innalzarsi nelle nuvole rosate, ne la neve sulle lontane montagne; di entrambi, mi sarei dovuta accontentare guardando attraverso la finestra. Ma mi chinai piu avanti che potei, distesi il braccio attraverso la porta, e voltai il palmo verso il cielo.

Li sentii la pioggia dolce e leggera, fresca e gentile sul palmo voltato verso l’alto; le gocce caddero sul velluto nero — sul quale formarono delle perle — e sul raso blu scuro, che divennero piu scuri. C’e qualcosa di consolante riguardo alla pioggia che cade durante il giorno, e qualcosa di lugubre se cade nel profondo della notte.

Infine, abbassai lentamente il braccio e mi voltai tristemente verso Elisabeth.

«Siamo in trappola», le dissi.

La sua espressione era di oltraggio mal represso, sebbene il rosso nei suoi occhi si fosse un po’ schiarito.

«Niente affatto!», esclamo.

«Allora, perche non possiamo uscire?».

Aggrotto la fronte, come se la mia domanda fosse stata altamente impertinente, e con esasperazione spiego:

«Perche Vlad ci ha giocato un tiro inatteso. Non ti preoccupare, Zsuzsanna: presto lo sistemero. Ma per ora, vieni. Divertiamoci in un altro modo».

Mi riporto nella stanza dell’inglese, da cui proveniva di nuovo il suono del russare. Elisabeth si volto verso di me: sembrava una dea di panna vestita di seta color del sole, e allungo il braccio per seguire con leggerezza il profilo del mio colletto con la punta di un dito. Rabbrividii leggermente al suo tocco di piuma sulla pelle del collo e del seno, e immediatamente mi sentii eccitata.

«Oggi non e molto forte», disse, con un civettuolo cenno della testa e la lucentezza del puro desiderio negli occhi. «Ma forse ti piacerebbe una piccola bevuta…».

Volevo piu lei che lui e stavo per dire: «No, andiamo nelle tue stanze e passiamo la giornata nel tuo letto», ma aveva gia spalancato la porta ed era entrata.

La seguii con una riluttanza solo parziale; il pensiero di cenare di nuovo non mi era del tutto sgradevole, dato che il giorno precedente non ero stata in grado di bere a sazieta. Anche cosi, non ero affatto sopraffatta dalla fame. Cosi entrai senza fretta, ma con una leggera curiosita; chi era quell’inglese e com’era successo che fosse arrivato qui? Ovviamente, nelle notti che Vlad era andato a cacciare per noi, doveva essersi recato a Bistritz per impostare delle lettere per quell’uomo…

Invece di portarmi subito vicino al letto per approfittare della mia vittima addormentata, passai accanto all’armadio, dove un certo numero di lettere era ordinatamente sistemato in gruppi. Diedi un’occhiata alla prima,

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