«Ah, povera cara! Spero che non siate venuta da lontano…».

«Da Vienna».

Sapevo, gia prima che me lo dicesse, che il professore non era li; il mio cuore si rattristo nell’apprenderlo.

«Se ne e andato». Si fermo e sembro ritornare in se. Feci del mio meglio per farla cadere in trance, ma lei continuava a guardare altrove, senza cooperare. Era una donna molto volitiva. «Si trova all’estero».

Distolse lo sguardo: mentiva, naturalmente. «In molti luoghi. Non ho un itinerario preciso». Poi, quando mi guardo nuovamente, mi accorsi di un’improvvisa scintilla di un sospetto nel suo sguardo. «Siete una parente? Chi siete?»

«Sua cognata».

I suoi occhi si restrinsero.

«Ho vissuto ad Amsterdam per molti anni e conosco il dottore da un po’ di tempo. Non ha fratelli».

Sospirai di onesta frustrazione, decidendo che, se non mi avesse fatto entrare di li a pochi secondi, le avrei rotto quel grosso collo.

«So che suona strano… ma sono, in realta, la cognata di sua madre. Vedete, il fratello di Mary era molto piu giovane di lei, e…».

Il ghiaccio si sciolse, lasciandola piu disponibile ma con un’espressione stranamente tragica.

«Ah, povera Mary…».

Finsi un allarmato interesse.

«E morta? Bram e un corrispondente talmente terribile; non mi dice mai niente. Gli scrissi alcune settimane fa dicendogli che stavo arrivando, ma lui non mi ha mai risposto…».

«Povera cara! Com’e terribile per voi saperlo in questo modo. No, la povera signora Van Helsing — la signora Mary, come la chiamo io — non e morta, ma temo che non ci manchi molto. E malata di cancro terminale».

Mi portai la mano guantata di pizzo alla bocca e trattenni il respiro per l’orrore.

«Allora e qui?»

«Si, si: la vorreste vedere?».

Tenni le labbra coperte per un altro istante, in modo che non le vedesse curvarsi verso l’alto in un sorriso.

«Moltissimo. Sono triste per non aver trovato qui Bram, ma…».

Ma potevo sapere molto da sua madre che, senza dubbio, sapeva dov’era andato. Quell’infermiera agiva chiaramente secondo degli ordini, e probabilmente non aveva idea della vera vocazione del nostro amato Bram.

Quindi spalanco la porta e mi fece entrare, stringendomi la mano con forza germanica, e la scosse con vigore mentre si presentava come Frau Koehler. L’ingresso in penombra era pieno di scaffali allineati, tutti pieni fino a scoppiare, con alcuni tomi sopra file di altri volumi. La buona Frau mi condusse, attraverso un’altra stanza polverosa e piena di libri, fino alle scale, dove esito.

«Permettetemi di andare a dire alla signora Mary che siete qui».

Mi guardo per un momento, prima che comprendessi che stava aspettando una risposta.

«Diteglielo», mi fermai, cercando nella mia memoria il nome da ragazza di mia cognata. «Ditele che Mrs. Windham e venuta a trovarla».

Frau Koehler fece un cenno con la testa, poi alzo le gonne e si arrampico faticosamente sulle scale che gemettero. La udii che si muoveva attraverso il pavimento di legno scricchiolante, poi si fermo per mormorare una domanda a bassa voce a colei che le era stata affidata.

Ma non udii risposta. Mentre aspettavo, vidi tra gli scaffali una porta chiusa, e me ne sentii inesplicabilmente attratta. Scivolai attraverso una fessura e mi trovai nello studio del buon dottore, circondata da altri libri, tutti di genere esoterico. Il nostro coraggioso uccisore di Vampiri sembrava avesse fatto un profondo studio per meglio compiere il suo lavoro. C’era anche una grande scrivania di quercia, con un certo numero di carte e telegrammi nei cubicoli; desiderai dar loro uno sguardo per avere qualche indizio sugli spostamenti di Van Helsing ma, da sopra la mia testa, provennero altri scricchiolii e il pesante passo della Frau.

Immediatamente scivolai nuovamente attraverso la porta e, prima che lei guardasse sorridendo dalla cima delle scale, io ero nello stesso posto in cui lei mi aveva lasciato.

«La signora Mary e sveglia e vi vedra». Mentre sfrecciavo su per le scale per raggiungerla, aggiunse: «Non posso promettervi che capira completamente chi siete. Parla poco e, quando lo fa, e generalmente confusa. Poco fa le ho fatto un’altra iniezione di morfina, cosi e anche insonnolita. Siate paziente».

«Lo saro», risposi con calore, sebbene in quel momento non stessi affatto pensando a Mary ma, piuttosto, a come potessi convincere Frau Koehler ad andarsene.

Ero del tutto sazia dalla notte precedente, fino al punto che il pensiero di cenare con il suo forte sangue tedesco mi dava la nausea. Cosi non avevo intenzione di usare la mia forza soprannaturale sulla Frau; una rapida bevuta da Mary era tutto quello che potevo fare, e poi me ne sarei andata. Il mio atteggiamento disinvolto svani all’istante quando entrai nella stanza e fui accolta dagli odori mescolati di pipi e feci puzzolenti. Frau Koehler aveva fatto quello che poteva per minimizzarli: la finestra era aperta, una candela oscillava nella leggera brezza, e una padella era a mollo nella tinozza piena d’acqua saponata.

Il massimo che potei fare fu quello di trattenermi dal coprirmi il naso con il fazzoletto, ma Frau Koehler sembro non notarlo affatto. Si avvicino al letto, sorrise di genuino affetto e prese la sottile mano priva di forze della paziente.

«Mary. Ecco vostra sorella».

Avanzai per prendere il posto dell’infermiera tedesca e afferrai la fredda e ossuta mano della donna morente. I suoi occhi erano chiusi ma, al suono della voce della Koehler, si riaprirono con difficolta e mi guardarono. Ero preparata a incantarla immediatamente e farla sentire una donna completamente diversa, in modo che non avrebbe gridato di paura, mettendo in allarme l’infermiera…

Oh, Mary! quando ti vidi per l’ultima volta, eri forte, giovane e bella, con splendenti capelli d’oro, la pelle liscia, e avevi il tuo piccolo Bram nel ventre. Ti amavo allora; ti amai persino dopo il mio Cambiamento, poiche tu eri stata cosi buona con me in vita. Sono arrivata a capire che tu, Kasha e papa siete stati gli unici che veramente mi avete amata: amato me, la zoppa di casa, la magra zitella che non evocava negli uomini altro che pieta.

Ora tu sei stata abbattuta dal tempo crudele. Ne ho uccisi tanti nella mia strana esistenza e ho fissato spesso negli occhi la stessa morte, ma non l’ho mai vista prima indugiare tanto a lungo.

Questa sarei io, pensai, se non avessi ricevuto il dono dell’immortalita. Una vecchia brutta, moribonda.

Guardai la vecchia nel letto e non la riconobbi, con i capelli bianchi e crespi, pettinati in una lunga treccia dalle spalle alla vita; sulla testa, comunque, i capelli erano scomposti e si erano parzialmente sciolti, dandole un’aria sconvolta, poco curata. Mi venne in mente l’immagine di un uccello delicato che moriva di fame. La pelle liscia era cadente, si incavava nelle guance scheletriche, si assottigliava sul naso, ed era segnata da rughe, specialmente sotto agli occhi… occhi ancora blu come il mare, sebbene il bianco fosse itterico.

Occhi resi inespressivi dal dolore e dalla sofferenza, ma occhi che mi riconobbero.

Intendevo indurla al silenzio prima che Frau Koehler fosse messa in allarme, metterla sotto il mio incantesimo in modo che si dimenticasse di conoscermi, in modo che vedesse tutta un’altra donna, ma fui troppo colpita dalla sua vista per reagire con immediatezza e troppo confusa quando l’infermiera fece scivolare una sedia a dondolo accanto al letto e mi invito a sedermi.

Mi sedetti e guardai ancora la vecchia che, un tempo, era stata Mary, pronta a fare il mio lavoro soprannaturale. Ma quegli occhi blu… mi guardarono senza paura, senza odio o repulsione ma con un tale onesto e caldo affetto che lacrime di gratitudine mi vennero agli occhi. Questo non era l’amore fuggevole evocato dalla passione sessuale o dal bisogno o dalla convenienza reciproca; questo era amore fine a se stesso.

«Mary?», chiesi piano e, con mia grande sorpresa, lacrime calde caddero sulle mie guance… io, cento, mille volte assassina, cosi insensibile da pensare che non avrei mai piu conosciuto la pura compassione. «Mi riconosci veramente? Sono io…».

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