Vlad, la vedrei un’ultima volta…». Si raccolse ancora in se, e poi chiese: «E il tuo bambino, Jan… so che e difficile, ma lo hai…».

«L’ho ucciso», risposi amaramente. «E, si: Gerda da allora e impazzita».

«Riposa», disse Arkady e mi circondo con un braccio gelido.

«Riposa dolcemente e in pace, per merito tuo. Presto Gerda sara liberata dal suo dolore; verra il momento. Devi credere…».

Quindi mise il suo viso contro il mio collo e pianse lacrime freddissime. John sarebbe stato preso dal terrore, lo so, al vedermi permettere a un Vampiro una tale vicinanza alle mie vene, ma con Arkady non avevo paura. La mia unica preoccupazione era di non arrendermi al dolore: non li, davanti agli altri, non li, quando c’era del lavoro da fare.

Presto si raddrizzo e disse, sospirando:

«Sempre dolore con noi Tsepesh! Sempre dolore… Volevo tanto risparmiarti il dolore che Vlad puo infliggere…».

«Proprio come io volevo risparmiare lui», dissi, indicando John, che era entrato nel nostro campo visivo. Stava lavorando volgendoci la schiena ma, anche cosi, Arkady lo studio con triste affetto.

«Un altro figlio», disse meravigliandosi; non era proprio una domanda.

«Tuo nipote», confermai.

Lui mi guardo nuovamente.

«Allora dobbiamo trovare un modo per risparmiarlo, Bram. La tua vita e la mia sono distrutte, come le vite di coloro che amiamo… E abbastanza».

E, mentre ancora lo guardavo, assunse un aspetto evanescente; prima che fosse completamente svanito, bisbigliai:

«Vieni da me ancora. Al manicomio, nella proprieta qui vicino…».

Mentre mi ricomponevo e ritornavo dagli altri, udii la sua voce bisbigliarmi nell’orecchio: Li ho lasciati con una piccola distrazione…

In effetti, lo aveva fatto. Mi trovai immerso fino alle caviglie nella polvere e nei topi; in effetti, le casse, il pavimento e le pareti, erano coperti di nere creature striscianti, e i loro minuscoli occhi riflettevano il chiarore delle nostre piccole lampade con una lugubre fosforescenza. Quasi immediatamente, Arthur soffio nel fischietto; presto apparvero tre terrier e, dopo qualche riluttanza (senza dubbio sentivano la presenza di Arkady), divennero piu coraggiosi e scacciarono quell’ammasso brulicante.

Nel frattempo, la luce del sole si stava avvicinando e sembrava che noi avessimo fatto tutto il possibile per il momento. Ce ne andammo, sollevati per il fatto che nessuno di noi fosse ferito, ma molto preoccupati per le casse mancanti. Bisogna aver paura di ogni ritardo ma, almeno, Harker e in cerca delle altre casse.

3 ottobre. Il peggiore tra tutti i giorni da quando abbiamo perduto la povera Lucy.

Fino alla notte scorsa, tutto stava andando bene, e io osavo sperare. Sono contento di aver permesso ad Harker di entrare a far parte del nostro gruppo, poiche e stato una inestimabile fonte di informazioni riguardo a dove Vlad ha trasportato le casse.

Sembra che, il “conte”, abbia acquistato altre proprieta a est e a sud di Londra: a New Town, dove Whitechapel Road diventa Mile End, e a Jamaica Lane, Bermondsey. Ha anche acquistato una casa proprio nel cuore della citta, a Piccadilly. Oggi andremo la e cercheremo documenti riguardo ad altre proprieta, e le loro chiavi. E forse, se il Destino lo vuole, ci imbatteremo in una “chiave” molto diversa.

Prima di ieri, Jonathan aveva completato la sua ricerca, e noi eravamo in possesso degli indirizzi necessari; Arthur e Quincey trascorsero il giorno per trovare dei cavalli in modo che ci potessimo spostare rapidamente di luogo in luogo. Domani, mi dissi, il Vampiro sara nostro! Ero nuovamente pieno di ottimismo ma, ahime!, nel mio sciocco desiderio di proteggere Madam Mina dal male e dalla conoscenza del male, ho trascorso poco tempo con lei… e cosi non ho visto l’ovvio.

Nelle ore che precedono l’alba, John e venuto di corsa nella mia cella, cosi sconvolto che sono immediatamente uscito dal mio rifugio per vedere cosa l’aveva tanto spaventato.

«Professore!», gridava, senza alcuna preoccupazione che qualcuno potesse sentire e sapere in quale luogo della casa mi trovavo. «Renfield sta morendo…».

Con la borsa in mano, mi precipitai con lui per vedere se potevo essere d’aiuto come medico. La porta che conduceva alla cella di Renfield era spalancata, e l’inserviente era rannicchiato dietro di lui con un’espressione di angoscia e di impotenza.

Il primo sguardo provo che John non aveva assolutamente esagerato la situazione, poiche il pover’uomo giaceva sul fianco, con il viso rivolto verso l’alto e la testa e le spalle circondate da uno scuro alone di sangue che si andava allargando. L’esame rivelo la schiena rotta e il cranio fratturato, con pezzi di osso spinti all’interno del cervello; sarebbe morto subito se non si fosse fatto qualcosa per allentale la pressione del sangue che si accumulava nel cervello.

Istintivamente, alzai lo sguardo da dove ero inginocchiato accanto all’uomo morente, e diedi uno sguardo alla finestra con le grate, dove solo di recente John aveva messo una delle croci di Arminius.

Sparita! Con voce chiara ne chiesi conto all’assistente:

«Il crocifisso sopra la finestra: dov’e?».

Dovette pensare che fossi folle o spietato, o entrambe le cose, per fare una domanda tanto apparentemente irrilevante, mentre il povero Renfield soffriva accanto alle mie ginocchia. Imbarazzato, il corpulento giovanotto lo porse a John, dicendo:

«L’ho tolto perche questa sera stava diventando pazzo cercando di saltare e di tirarlo giu; temevo che si facesse male, cosi sono entrato e l’ho tolto. Ha cercato di togliermelo e ha supplicato per averlo ma, dato che era tagliente…».

«E abbastanza», disse John piuttosto adirato.

Suppongo che l’assistente pensasse che noi lo sospettassimo di volerlo rubare e che ci preoccupassimo di piu della proprieta di Seward che del nostro paziente che soffriva, poiche indietreggio con un’espressione offesa.

«Mandalo via», ordinai e, allo sguardo scandalizzato che l’assistente rivolse a me e poi a John, spiegai: «Dovremo fare un buco nel cranio per allentare la pressione. Se vuoi restare…».

Ma lui era gia fuori dalla porta, che chiuse dietro di se. Dissi a John, mentre prendevo gli strumenti dalla mia borsa:

«Sarebbe opportuno trapanare. Non penso che lo salveremo ma, perlomeno, potra passare i suoi ultimi momenti consapevole e in modo migliore».

Mentre parlavo, bussarono piano alla porta e, sia Arthur che Quincey, sbirciarono dentro. John li fece entrare; non chiesero alcuna spiegazione nel vedere la pozza di sangue e il nostro paziente orribilmente ferito.

Rimasero in piedi in silenzio e sgomenti mentre io eseguivo l’operazione, trapanando proprio sopra l’orecchio del paziente. Per il momento, andava bene; dopo qualche minuto, la pressione si alleggeri. Renfield apri gli occhi e, del tutto lucido, chiese che gli fosse tolta la camicia di forza.

Non c’era ragione di tenerlo costretto comunque, dato che qualsiasi movimento avrebbe soltanto aumentato il dolore e accelerato la sua morte. Sebbene la fine non fosse lontana, sentii che desiderava parlare e “confessare i suoi peccati”, per cosi dire. Non mi dispiaceva sentirli, poiche la finestra non piu sicura significava pericolo per noi tutti.

Parlo razionalmente, anche con gentilezza, in un modo che evoco la mia pieta, ma non ho mai udito delle parole che mi abbiano tanto addolorato. Il nostro Renfield era veramente stato sotto l’influenza del Vampiro e adorava il suo “Signore e Maestro”, ma era stato anche conquistato da Madam Mina, che gli aveva fatto visita due volte per cortesia; la seconda volta, proprio quel pomeriggio. Era diventata troppo pallida perche lui riuscisse a sopportarlo, disse. E aggiunse: «Mi fece impazzire sapere che Lui le aveva preso la vita».

Che momento orribile! Mentre lo diceva, nessuno di noi riusci a reprimere un brivido.

Dracula, sentendo l’odore di Mina, era andato da lui solo qualche momento prima, quella notte, entrando con facilita una volta che il talismano era stato rimosso. E quell’uomo — quel pazzo furioso — aveva affrontato il

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