ma il suo profilo era facilmente visibile; il movimento dei suoi occhi rivelo che vi era una persona nel portico e un’altra che stava leggermente dietro. Apparentemente non le conosceva, poiche domando con aria severa:

«Sono il dottor Seward. Posso fare qualcosa per voi?».

Prima udii una voce lontana, stranamente familiare… quella di una signora, con un accento vagamente slavo ma con un’eccellente padronanza dell’inglese:

«Ve ne prego, dottore, ma prima permettetemi di dire che vedervi e per me un piacere maggiore di quanto pensiate. Ho sentito parlare di voi da… fonti indirette».

John alzo la testa confuso e sorpreso, e i suoi occhi si socchiusero in quel particolare modo che sta a indicare che si e incerti se credere a cio che si e visto.

La signora continuo, con una voce che adesso mi era assai familiare ma era in parte cambiata, al punto che non riuscivo a riconoscerla.

«Desidero parlare con Abraham Van Helsing al piu presto. Ditegli che ho informazioni che lo possono aiutare nella sua… ricerca».

Allora mi feci spazio accanto a John, incapace di stare ancora fermo.

«Sono io Abraham Van Helsing».

Nell’ingresso c’era una donna: non era bella, ma piacevole in un modo severo, e pallida, con mento e naso forti e appuntiti, e zigomi alti e sporgenti. I suoi capelli neri striati d’argento erano raccolti strettamente in una folta crocchia alla base del collo, senza pretese di moda o arzigogoli. Era vestita con un semplice vestito nero — contro il quale stringeva un magro e alto cane bianco — e portava un velo, che si era tirata indietro per parlare. Sotto folte sopracciglia nere, i suoi occhi castani erano malinconici, afflitti e, quando mi vide, si illuminarono un po’ ma non sorrise.

A parecchi piedi di distanza c’era un uomo, anche lui vestito a lutto. Con la coda dell’occhio notai la sua presenza, ma non riuscivo a distogliere lo sguardo dal viso della donna poiche la conoscevo… e allo stesso tempo non la conoscevo.

La sua aura non era forte, appena normale; stranamente, mentre si avvicinava alla sfumatura indaco del Vampiro (sebbene non cosi scura da andare oltre un profondissimo blu), era macchiettata con l’oro del progresso spirituale. Riuscii solo a pensare ad un cielo blu scuro punteggiato di stelle.

Se John aveva visto questo, aveva buone ragioni per essere confuso.

«Bram», disse con gentilezza, «so che sei mio nipote, Stefan George Tsepesh. Io sono Zsuzsanna Tsepesh. Sono venuta a chiedere il tuo perdono e ad offrirti il mio aiuto».

Per alcuni secondi non riuscii a parlare: potevo soltanto fissarla con le labbra aperte per lo stupore. Perche quella signora era Zsuzsanna, colei che aveva corrotto il mio piccolo Jan, la tormentatrice della mia povera Gerda… ma una Zsuzsanna senza alcuna traccia di fascino vampiresco, una Zsuzsanna che non faceva alcun tentativo di ipnotizzarci.

Esitai sulla soglia; la sua sincerita sembrava genuina, ma invitarla dentro casa poteva significare il disastro per tutti… specialmente se lei aveva rubato il manoscritto.

«Hai veramente bisogno del mio perdono», dissi con amarezza. «Ma non sono sicuro di potertelo dare; a causa tua, il mio figliolo e morto, e mia moglie e irrecuperabilmente pazza».

Quel ricordo evoco un odio implacabile dentro di me e il desiderio di essere crudele; sollevai il talismano che avevo preso dalla tasca, e lo tenni all’altezza del petto.

I suoi occhi si strinsero per il dolore e si irrigidi, ma non fece alcun movimento per scappare o per colpirmi; invece, rimase dov’era. Non sapevo cosa fare perche, piu la guardavo, piu il dolore e la rabbia mi sopraffacevano. Desideravo solo chiudere la porta e dimenticare il suo viso prima possibile, e mi mossi per fare proprio cosi. Ma, prima che ci riuscissi, l’uomo dietro di lei grido:

«Bram! Aspetta!».

E Arkady sali le scale e si fermo accanto a lei; una sola lacrima illuminata dal sole le brillo sulle guance quando lui le circondo le spalle con un braccio consolatore.

«Figlio mio», disse gentilmente, «con le tue armi — indico con il capo la croce nelle mie mani — ci crei un terribile disagio. Sai che non ti farei mai del male, per cui ora ti chiedo: l’ascolterai?».

In risposta guardai intensamente John. Lui fissava i due con un’espressione profondamente perplessa, poi guardo nuovamente me e chiese:

«Lui e veramente tuo padre?»

«Lo e», risposi, e Arkady sorrise a suo nipote, dicendo:

«E tu sei John. Ti ho visto la notte scorsa a Carfax; tuo padre mi ti ha indicato. Il mio nome e Arkady ma, per favore, chiamami come desideri».

Il colore se ne ando dal viso di John e il suo volto divenne privo di espressione; la stranezza di tutto cio, unita ai terribili fatti della notte precedente, lo lasciava completamente inebetito. Era arrivato a considerare ogni Vampiro come un nostro nemico mortale… e ora stavamo riflettendo sul fatto di accoglierne due in casa. Mi guardo pero con la coda dell’occhio e, vedendo il mio cenno di assenso, spalanco la porta e disse:

«Prego, entrate».

Naturalmente, non potevano oltrepassare la soglia finche John non avesse tolto il crocifisso che vi era appeso sopra (il cane, forse, avrebbe potuto, ma stava al fianco di Zsuzsanna e non l’avrebbe lasciata). Quando furono passati, lui rimise immediatamente il talismano. Questo provoco in loro un certo disagio, ma ci assicurarono che cio che dovevano dirci era abbastanza importante da meritare una temporanea scomodita.

Li condussi nell’ufficio di John, cosi che gli altri non avrebbero udito, e chiesi a tutti di sedersi. Lo fecero e, dopo uno sguardo di rassicurazione da parte di Arkady, Zsuzsanna disse, con voce tremante:

«Prima cosa e piu importante di tutto, sappi che io mi pento onestamente di tutto il male che ho causato a te, a tua moglie, e al tuo primo figlio. Mi puoi perdonare?».

Annuii con solennita, poiche ero troppo addolorato per rispondere; infatti, il solo indicare un assenso fu un atto di volonta abbastanza difficoltoso, poiche i miei sentimenti erano quelli di odio e furia. Ma li ingoiai — una pillola abbastanza amara — e vidi il sollievo spandersi sul viso di lei.

«Grazie», sospiro, e poi si concentro. «Ci sono molte cose che ti devo dire prima che continui nei tuoi sforzi contro Vlad. La prima…».

«Scusami», la interruppi, forse un po’ troppo aspramente, «ma tu devi, prima di continuare, rispondere a una mia domanda. Perche questo improvviso cambiamento di campo? Quando ti vidi l’ultima volta, avevi giurato di uccidermi».

Zsuzsanna rise: non era un suono completamente felice, ma fece si che il cane ai suoi piedi alzasse lo sguardo verso la sua padrona. Lei si chino in avanti per accarezzargli la testa con affetto distratto mentre rispondeva:

«Non e stato tanto improvviso quanto sembra. Ricorda, Bram, che io ho trascorso cinquant’anni con Vlad e, con il passare del tempo, sono arrivata a capire sempre piu come mi abbia traviato. Lui non e quel giusto e incompreso eroe come, inizialmente, si era dipinto ai miei occhi; e una creatura fredda, malvagia, completamente incapace di qualsiasi gentilezza e impulso affettuoso. Com’era nella vita, cosi e nella morte vivente. E io sono arrivata a odiare lui», abbasso il viso, «e me stessa. Anch’io ero a Carfax, la notte scorsa… dove incontrai Kasha». Guardo con affetto Arkady. «Vidi il vostro incontro, e come entrambi piangeste Jan, Gerda e Mary». Nuovamente chino la testa e batte rapidamente le palpebre per asciugare le lacrime. «Cosi compresi che ero stata io la fonte di quel dolore per tutti voi».

Feci un cenno al cane che si alzo e mi si avvicino timidamente, con la testa in giu e la coda che scondinzolava con esitazione. Gli accarezzai la testa e le orecchie e guardai nel profondo dei suoi sensibili occhi scuri; era un cane comune, mortale, niente di piu, e cio mi fece migliore impressione del discorso che aveva fatto lei. I cani sono anime nobili, e istintivamente temono il male e il Vampiro; eppure quello era affezionato alla sua padrona, e lei a lui.

«Benissimo. Questo mi sara sufficiente… per ora. Vai avanti».

Il cane si sistemo comodamente sui miei piedi, e fui costretto a continuare ad accarezzarlo o ad essere oggetto di continui colpetti che mi dava con il muso freddo e umido.

Il viso di lei si sollevo, e un lampo malizioso comparve nei suoi occhi quando vide che il cane giaceva ai miei piedi.

«Amico ti ama. Anche a me vuol bene teneramente, ma e sempre assai sollevato nel trovare un mortale gentile e caldo».

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