All'improvviso si senti stanchissimo, la pesantezza della giornata gli piombo sulle spalle. Chiuse gli occhi e invece di pensare alla cena, a un bicchiere di vino e al sonno, scopri che nella sua mente girava e rigirava sempre la stessa domanda.

Che cosa poteva essere cosi terribile?

VIII

Giovedi 12 aprile 2001, casa di Javier Falcon,

calle Bailen, Siviglia

Nella grande casa del diciottesimo secolo appartenuta a suo padre, Javier Falcon era seduto nello studio, una stanza al pianterreno che si apriva sul portico del patio al centro del quale si trovava una fontana con la scultura in bronzo di un fanciullo ritto su un piede, l'altra gamba sollevata dietro di se e un'urna sulla spalla. Falcon la faceva funzionare soltanto d'estate, quando il gorgoglio dell'acqua che ricadeva dall'urna gli dava l'illusione di non avere caldo.

Era solo in casa. La governante, Encarnacion, che era stata anche la governante di suo padre, se ne andava alle sette di sera, e cio significava non vederla mai. Uniche prove della sua presenza, un biglietto ogni tanto e la sua abitudine, irritante per Falcon, di spostare gli oggetti: i vasi delle piante nel patio all'improvviso occupavano un angolo diverso, piccoli mobili venivano trasportati da una stanza all'altra, apparivano immagini della Virgen del Rocio in nicchie in precedenza vuote. Anche sua moglie, la sua ex moglie, era stata una grande sostenitrice della necessita dei cambiamenti.

«Questa potrebbe diventare la tua stanza del biliardo», diceva. «Potremmo metterci un humidor per i tuoi sigari.»

«Ma io non fumo.»

«Credo che sarebbe bello.»

«E non gioco a biliardo.»

«Dovresti provare.»

Stupidi discorsi che gli tornavano alla mente mentre sedeva alla scrivania con una lente di ingrandimento in mano. Non il ridicolo strumento alla Sherlock Holmes che sua moglie gli aveva regalato per un compleanno, un aggeggio assurdo per l'Inspector Jefe del Grupo de Homicidios. Questa era una lente di ingrandimento montata su una scatola di perspex che illuminava l'oggetto osservato.

Stava guardando le foto che aveva trovato nella scrivania di Raul Jimenez. Di fronte a lui, appoggiate alla cornice di una fotografia di sua madre che lo teneva in braccio, con accanto suo fratello Paco di sette anni e sua sorella Manuela di cinque, stavano altre due foto vicine. La prima un'altra istantanea di sua madre, seduta sulla spiaggia con il vento tra i capelli, in costume da bagno, in testa una cuffia cosparsa di fiori di gomma dai petali bianchi. Era la foto che lei preferiva. Sul retro era scritto: «Tangeri, giugno 1952». Aveva venticinque anni allora ed era impossibile credere, guardando quell'immagine cosi vitale, che le restassero soltanto nove anni da vivere.

La seconda era una fotografia di suo padre, capelli neri pettinati all'indietro, baffetti sottili, naso troppo grosso per il viso giovane, la bocca sensuale. E gli occhi. Perfino in bianco e nero gli occhi erano straordinari. Davano l'impressione di vedere molto, molto lontano e qualsiasi luce ricevessero brillava nell'iride, che era verde ma tendente all'ambra vicino alla pupilla. A piu di ottant'anni, anche dopo il primo infarto che lo aveva indebolito, quegli occhi verdi riuscivano ancora a catturare la luce. Erano gli occhi che ci si aspettava in un artista della sua statura, scrutatori, penetranti e magici. Nella foto suo padre indossava uno smoking bianco e un papillon nero. Sul retro: «Capodanno 1953, Tangeri».

Falcon esamino le fotografie di Jimenez, seccato per la loro cattiva qualita. Si domando perche diavolo le stesse studiando. Aveva, si, l'abitudine di lavorare partendo per la tangente, ma questo era assurdo, non aveva nessun collegamento con il caso. Che differenza avrebbe fatto riconoscere l'uno o l'altro dei suoi genitori in quelle fotografie? Che importanza poteva avere che si fossero trovati a Tangeri nello stesso periodo in cui anche Raul e Gumersinda Jimenez erano la? C'erano anche altri quarantamila spagnoli. Eppure, mentre argomentava cosi contro quella mancanza di logica, era sempre piu preso dalla sua ricerca, tanto che, per un attimo, si convinse che fosse un inequivocabile segno di vecchiaia.

Le foto dello yacht, semplici scatti per immortalare il nuovo giocattolo di Raul Jimenez, non lo interessarono finche non arrivo a un'immagine del porto pieno di barche e di gente che festeggiava sui ponti, in primo piano Jimenez, la moglie e i bambini. Sembravano felici. La moglie salutava con la mano, i due figli ridenti sulle ginocchia. Falcon fece scorrere la lente sulle altre imbarcazioni ormeggiate dietro quella di Jimenez. Si arresto, torno indietro su una coppia in coperta e scarto l'idea di una somiglianza. Sposto di nuovo la lente, ma, riportandola sulla coppia, comprese perche lo aveva fatto: l'uomo era suo padre, appoggiato alla battagliola di uno yacht molto piu grande di quello di Raul. Era con una donna della quale non riusciva a distinguere con chiarezza il viso, ma che aveva i capelli biondi. Si stavano baciando. Un rapido particolare privato che il fotografo di Jimenez aveva colto inavvertitamente. Controllo il retro della foto: «Tangeri, agosto 1958». Pilar, sua madre, era ancora viva. Osservo piu attentamente la donna bionda e con suo stupore vide che era Mercedes, la seconda moglie di suo padre. Fu colto da un senso di nausea e, spinta via la lente, si premette il palmo delle mani sugli occhi. Ecco quello che accadeva quando si partiva per la tangente… ci si imbatteva in verita insospettate. Solo per questo lo faceva.

Squillo il telefono: sua sorella, da un cellulare in un bar affollato.

«Sapevo che ti avrei trovato a casa, visto che non eri al lavoro», gli disse Manuela. «Che stai facendo, fratellino?»

«Sto guardando qualche vecchia foto.»

«Ehi! Andiamo, vecchietto, un po' di vita! Siamo qui a La Tienda ancora per una mezz'ora, vieni a bere una cervecita con noi. Poi andiamo a cena da El Cairo, puoi venire anche tu, se ti porti il bastone.»

«Vengo per la cervecita.»

«Bravo, fratellino. E un'altra cosa, una condizione molto importante…»

«Si, Manuela?»

«Non ti sara permesso di pronunciare la parola 'Ines'. Okay?»

Manuela riaggancio. Falcon scosse il capo verso il telefono muto. Sua sorella era una cattiva psicologa. Infilo la giacca, raddrizzo il nodo alla cravatta, controllo le tasche e vi trovo l'indirizzo e il numero di telefono del figlio di Raul Jimenez. Il giorno dopo era Viernes Santo. Giorno festivo. Compose il numero, giusto per fare un tentativo. Jose Manuel Jimenez rispose. Falcon si presento e gli porse le sue condoglianze.

«Sono gia stato informato», rispose l'altro, pronto a riagganciare.

«Volevo soltanto parlarle di…»

«In questo momento non posso.»

«Forse potremmo vederci domani… per una breve conversazione. Sarebbe importante per precisare il quadro.»

«Davvero non vedo come…»

«Verrei io a Madrid, naturalmente.»

«Non c'e nulla di cui parlare. Non vedevo mio padre da anni.»

«E proprio questo il punto. Non sono interessato al presente.»

«Ma non c'e davvero nulla!»

«Ci dorma sopra. La richiamero domattina, non sara una cosa lunga e potrebbe aiutarci molto.»

Jimenez farfuglio qualcosa e riaggancio. Quell'uomo era un avvocato, Falcon lo sapeva, ma non gli aveva suggerito questa impressione: troppo confuso e insicuro. Spense la lampada e, uscito nel patio, inspiro l'aria fresca della sera e il silenzio: quasi silenzio, perche i rumori della citta giungevano come un rombo lontano in quel centro buio e concavo della casa. Si stiro, respiro a pieni polmoni allargando le braccia e tra gli archi della galleria sovrastante il patio vide cio che Eloisa Gomez avrebbe definito «ombre che si muovevano». Corse su per i gradini, frugandosi in tasca alla ricerca della chiave che apriva il cancello di ferro battuto in cima alla scala, poi corse fino a

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