intermedia, «ma non penso che siamo tutti figli di Dio. No, non lo credo affatto.»

Tornai in albergo perche non sapevo cos’altro fare. Persi ogni entusiasmo quando arrivai nell’atrio e finii per starmene seduto al bar a fissare la strada attraverso il vetro colorato. Tutti avevano le loro esperienze personali, come ho detto. Questa era una delle mie.

Ero disorientato ed esasperato. San Francisco era un vicolo cieco. Mrs. Campbell non ricordava il nome della famiglia che aveva adottato Paul definitivamente. A ogni buon conto, si erano trasferiti e lei non sapeva dove. I suoi colleghi di allora erano morti o irreperibili. Il filo era stato tagliato, non ultimo dal fuoco. Ero convinto che Paul fosse tornato e avesse appiccato l’incendio, e che anche Mrs. Campbell pensasse la stessa cosa — cosi come ero convinto che lei capisse che il ragazzino che era stato trovato per strada da solo non aveva potuto accettare di essere scaricato come un pacco postale da una famiglia all’altra fino a quando non fosse diventato grande abbastanza per andarsene e cercare la sua strada nel mondo: fino a quando sarebbe diventato la persona in grado di mettere le cose ‘a posto’.

Quando feci per prendere il portafogli e pagare la prima birra, mi ricordai che avevo spento il cellulare. C’era una chiamata persa. Non riconobbi il numero ma poteva essere solo quello di due persone, cosi richiamai.

Lei rispose prontamente. «John?»

«No,» dissi. «Sono Ward. Il tuo telefono ti dice chi sta chiamando, Nina. Basta guardare il display.»

«Giusto,» disse. «Che stupida. Dove sei?»

«A San Francisco,» risposi.

«Oh, e perche?»

«Qui ho lasciato il cuore. Sono venuto a riprendermelo.»

«Bella mossa. In che condizioni e?»

«Appena usato,» dissi, e lei rise brevemente. «Che succede?»

«Nulla,» rispose. «Be’, non e vero, qui le cose stanno degenerando. Abbiamo avuto un doppio omicidio questa mattina; qualcuno ha lasciato una sconosciuta morta in uno squallido motel e poi ha sparato a un poliziotto per ribadire il concetto. Ha lasciato un hard disk dentro la donna.»

«Delizioso,» dissi.

«Non molto. E un affare della polizia di Los Angeles, naturalmente, ma Monroe ci si e buttato a pesce, e cosi ci sono dentro anch’io. Mi chiedevo se avevi voglia di dare un’occhiata a questo disco. Ne ho fatto una copia, non ufficiale. So che facevi queste cose in modo professionale.»

«Certo,» dissi. «Anche se Bobby sarebbe stata una scelta piu sicura. E anche una copia byte per byte non e esattamente come l’originale. Comunque ci daro un’occhiata.»

«Hanno gia trovato un appunto e un brano musicale. Quest’ultimo ha un che di teatrale.»

«Che musica e?»

«Il Requiem di Faure.»

«Bello.»

«Non l’ho ascoltato.»

«Dovresti. E una composizione piuttosto eccitante, tenuto conto che e stata pensata per gente defunta.»

Nina rimase in silenzio per un po’ e io evitai di parlare.

«Stai bene, Ward?»

«Diciamo di si.» Le raccontai, in breve, quello che ero venuto a sapere da Mrs. Campbell. «Cosi mi ha mandato in tilt. Inoltre…»

Mi strinsi nelle spalle. Lei se ne accorse. «Si,» disse. «Lo so. A volte faccio… faccio un sogno: sono di nuovo a The Halls sul pavimento dell’edificio d’ingresso, dopo essere stata ferita. Tu e John state perlustrando le case per cercare di trovare Sarah Becker. Bobby non c’e e non so dove sia. Io sono a terra dolorante e qualcuno sta venendo a prendermi: e questa volta penso che potrebbe riuscirci.»

«Cazzo,» dissi; «Non mi sembrano cretinate.»

«L’ho rifatto giusto tre ore fa. Ogni volta diventa piu lungo e spesso mi domando quando arrivera il momento che non si interrompera, che verro raggiunta e non mi svegliero.»

«I sogni durano quanto gli permettiamo di farlo,» dissi. «Sia i belli che i brutti.»

«Molto profondo, Ward-san.»

«Gia, scusa. Non ho la piu pallida idea di cosa volessi dire.»

Lei rise, ma questa volta con maggior convinzione, all’apparenza.

«Okay, allora. Chiamami quando hai il disco,» dissi. «Verro li, qui non c’e piu nulla da fare.»

«E qui sul mio tavolo, ora,» disse.

Ero stato a casa di Nina solo una volta in precedenza, e per pochissimo tempo, ma riuscivo a ricordarmela molto chiaramente. Per un breve istante desiderai essere li, seduto su uno scomodissimo sgabello con un bicchiere di birra e circondato da un indistinto chiacchiericcio. Li oppure in casa di qualcun altro. In un qualunque posto che somigliasse a una casa.

«Non lasciare che John ci metta le mani,» dissi. «Saro li domani sera. Me lo puoi passare?»

«E uscito,» disse. «Gli diro che stai arrivando.»

Salii in camera e fumai come una ciminiera. Non sembro aiutarmi in alcun modo, ma almeno mi tolse la scimmia della nicotina dalla schiena. Tirai la poltrona della camera fino alla finestra, sollevai il vetro e rimasi per un po’ seduto a guardare fuori. Davanti ai miei occhi, alti edifici scuri e luci. Sentivo i rumori della vita provenire dall’esterno e da sotto. Mi sentivo come se fossi stato seduto sulla sommita di un vasto continente, solo, senza tribu, focolare o territorio di caccia.

Lentamente, la profondita del mio campo visivo si ridusse fino a che non mi ritrovai a osservare i miei piedi, appoggiati sul davanzale. Dev’essere una vita difficile quella delle dita dei piedi oggigiorno. Vengono rinchiuse in piccoli e oscuri spazi di pelle e li dimenticate, e quando ne vengono liberate hanno molto spesso l’aspetto di strane protuberanze all’estremita dei tuoi piedi.

Alla fine mi addormentai e sognai.

Mi trovavo in una qualche vecchia citta, un posto fatto di strade acciottolate e di case fatiscenti, con una piccola piazza che ospitava un mercato agricolo e bancarelle che vendevano oggetti per la casa. Io ero piu giovane, ancora adolescente, ed ero innamorato della reginetta del mercato, una fanciulla dai capelli lunghi e bellissima, che rifulgeva dall’alto della confidenza con cui si muoveva in mezzo a ogni viale di quelle bancarelle palpitanti, in mezzo alle quali era cresciuta, e che sentiva scorrere attraverso il suo corpo la forza e la vita che emanavano da esse: sicura della sua bellezza, irraggiungibile, ma al tempo stesso cosi stupenda da suscitare l’amore di tutti. Ci fu un momento che sembro di memoria reale, una breve visione di lei mentre camminava tra i banchi con un paio di ragazze piu piccole al seguito: il suo volto era quanto di piu luminoso ci fosse al mondo ed era incorniciato da una cascata di capelli scuri illuminati da riflessi castani.

Poi, qualche tempo dopo, ritornavo in quei luoghi come uomo adulto, piu sicuro di se, ma piu arido, un uomo che aveva perso in magia quanto aveva acquisito in altezza. Il mercato si era ridotto a pochi banchi che lasciavano intuire le dimensioni delle strade — mentre prima sembrava che il mercato vivesse in un regno tutto suo, senza bisogno di un simile ambiente nel quale vivere. Lo percorrevo sentendo un’eco dove prima c’era stato solo il rumore delle contrattazioni e delle risate.

E poi la vidi. Lavorava in una bancarella dove si vendeva un po’ di tutto: scampoli di tessuti, bottoni assortiti, oggetti di plastica. I capelli erano tagliati corti ed erano diventati grigi prima del tempo. Il viso mostrava ancora i segni della giovinezza, ma la ragazza si era appesantita e sembrava piu bassa, aveva l’aria professionale come possono avere i proprietari di un banco del mercato.

Passai davanti alla bancarella e la vidi mettere qualcosa dentro un sacchetto di plastica, un acquisto da due dollari fatto da una signora anziana. Mi resi conto che ormai era una donna che gestiva un banco del mercato. La principessa che ero tornato a vedere per dimostrarle che ero diventato un uomo, e che quindi valevo qualcosa, che meritavo il suo sguardo, non c’era piu: e la cosa piu terribile era che qualcuno aveva preso il suo posto nel mondo. Se non l’avessi vista, avrei ancora potuto credere che lei camminava da qualche parte, sempre avvolta di magia, desiderio e sorrisi.

Ma ora l’avevo vista e non potei fare altro che allontanarmi dal mercato e poi voltarmi a osservarlo,

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