abbastanza tempo per uscire dal separe.

Il lancio ando a vuoto, ma Nina fu rapida. L’uomo continuo a sparare attraverso il buco nel vetro fracassato, con colpi cadenzati, uno di seguito all’altro.

Mi accucciai per cercare di rimanere sotto il suo campo visivo, tirando per un braccio Nina nel tentativo di trascinarla dietro un tavolino. Intorno a noi urlavano tutti, Britnee era a terra con il viso pieno di tagli causati dai vetri.

Vidi l’uomo che, come un’ombra, si allontanava dalla finestra, ma non per scappare. Si stava dirigendo all’ingresso per entrare nel ristorante.

«Oh Cristo,» disse Nina, e quando mi voltai vidi che Monroe era accasciato sul tavolo. Lei comincio a dirigersi verso di lui ma io le afferrai nuovamente il braccio per trattenerla a terra.

«Lascialo perdere.» Sentii la porta del locale spalancarsi e ci fu un’esplosione di urla sempre piu forti.

«Ward, Monroe e stato colpito.»

«Lo so.»

L’uomo era arrivato nella zona del ristorante dove stavamo noi. Credo che una parte di me si aspettasse di vedere mio fratello, ma non fu cosi. Era piu giovane e agile, nonostante il torace massiccio. Portava anfibi e un soprabito scuro. Si fermo all’estremita opposta della sala, apparentemente per nulla intimorito da quello che avremmo potuto tentare di fare e punto Nina.

Gli sparai e lo colpii in pieno petto.

Fu scaraventato all’indietro, andando a sbattere contro un tavolo.

Rimase a terra per circa cinque secondi, un tempo sufficiente perche io cominciassi a tirarmi su, prima di rialzarsi improvvisamente.

Non perdeva sangue e mi resi conto che indossava un giubbotto antiproiettile. Arretrai nel tentativo di ripararmi dietro a qualcosa prima che ricominciasse a sparare. Nina sparo, ma manco il bersaglio. L’uomo fece fuoco altre due volte ed entrambi i colpi ci passarono vicino. Io sparai ancora, mirando piu in alto ma lo mancai. Colpire la testa di un uomo in movimento e difficilissimo. Non e semplice neppure mirare. Devi proprio volere la morte di qualcuno per farlo, anche se in quel momento io la volevo.

Da un altro angolo provenne il rumore di uno sparo e pensai: «Oh Cristo, eccone un altro,» ma poi vidi che era Monroe. Il suo soprabito era coperto di sangue e lui era rannicchiato nel separe, ma aveva ruotato la parte superiore del corpo e stava svuotando il caricatore contro l’uomo.

Io colsi l’occasione e afferrai Nina per tirarla al di qua del muro divisorio. La mia cameriera si era acquattata li e cercava di urlare senza pero averne il fiato, con il risultato di produrre un suono simile a quello di un topo colpito da un martello.

Sul muro di fondo vidi un paio di porte da saloon.

Si udirono altri spari come fossero lenti battiti di mani.

«Ward, dobbiamo recuperare Charles…»

«E troppo tardi.» La spinsi oltre la porta a vento dentro la piccola cucina. All’inizio fece resistenza, ma poi mi segui mentre mi facevo strada in mezzo a due uomini vestiti di bianco dall’aria terrorizzata, e poi attraverso la porta aperta sul retro. In cima a una piccola rampa di scale scivolai, ma afferrandomi alla ringhiera riuscii ad arrivare in fondo.

Corremmo lungo il lato del ristorante. Il rumore degli spari era cessato. Guardai dentro e vidi l’uomo all’altezza del separe dove Monroe ora giaceva a faccia in giu sul tavolo.

Il killer si volto e ci vide. Comincio a correre velocemente verso di noi.

«Prendi la macchina!» urlai. Nina continuo a correre.

Mi voltai e puntai la pistola, procedendo all’indietro il piu velocemente possibile. Aveva sparato il suo colpo ancora prima che mi rendessi conto che era uscito in strada.

Feci fuoco e lo colpii di nuovo, stavolta allo stomaco, scaraventandolo indietro ancora una volta. Mi voltai correndo precipitosamente fino a raggiungere la macchina proprio nel momento in cui si accesero i fari e udii il rombo del motore.

Poi ebbi la sensazione che qualcuno mi avesse dato un pugno sulla spalla. Persi l’equilibrio, girai su me stesso rovinando a terra. Mi tirai su, ancora incerto sull’accaduto, ma sentendomi fuori uso, e risposi al fuoco.

La macchina fece uno scatto in avanti, la portiera si spalanco e io mi buttai dentro. Avevo ancora le gambe penzolanti all’esterno allorche Nina diede una violenta accelerata e parti a tutta velocita. Quando fui dentro e con la portiera chiusa, lancio l’auto in una curva stretta e comincio a risalire la strada.

«Dove vado?» Lancio un’occhiata verso di me e l’improvviso strabuzzare dei suoi occhi mi confermo cio che gia sospettavo.

Posai una mano sulla mia spalla e la sentii bagnata e calda.

«Dove vuoi,» risposi, mentre il dolore sembrava tagliarmi in due come la lama di un coltello.

Capitolo ventitre

Uscirono dall’Henry’s Diner sotto una pioggerella insistente. Non appena il freddo lo raggiunse Tom comincio a tremare vistosamente. Era riuscito a mangiare la meta del suo pasto, curvo, come Henrickson, su un tavolo nell’angolo in fondo. Tom si era accorto degli sguardi di alcune persone del posto. Si riusciva a intuire i loro pensieri: «Ecco il tizio di Bigfoot» — o magari «Il tizio che racconta stronzate» — e questo non aveva aiutato molto il suo appetito. Henrickson era stato insolitamente silenzioso durante la cena, ed era passato un bel po’ dal suo ultimo sorriso. Forse anche lui era esausto, sebbene non ne avesse l’aria. I suoi movimenti continuavano a essere netti e precisi, e mangio velocemente e metodicamente, sbarazzandosi in pochi minuti di una bistecca di pollo fritto. L’aveva chiesta al sangue, il che era una novita per Tom e anche per la cameriera, a giudicare dallo sguardo che gli rivolse. Nelle pause del pasto, l’uomo aveva guardato fuori dalla finestra come augurandosi che l’oscurita si dileguasse.

«Okay,» disse, mentre Tom cercava di sprofondare nella giacca per proteggersi dal vento. Guardo lungo la strada. «Credo che tornero al motel.»

Tom fu sorpreso. Aveva creduto che si sarebbero diretti al bar. Non che desiderasse un drink; era esausto dopo la camminata e l’ambiente caldo e soffocante del ristorante aveva aumentato il suo senso di stanchezza e il suo sonno. Andare a letto sembrava una scelta sensata, ma se fosse stato da solo in camera avrebbe dovuto pensare a chiamare Sarah e ancora non aveva prove da sottoporle. «Posso offrirti una birra?» La domanda lo fece sentire goffo.

«Certo,» rispose Henrickson lentamente. «Perche no?»

Il tono della risposta spinse Tom a domandarsi se l’uomo stesse accettando per qualche ragione che non aveva nulla a che vedere con la voglia di una bibita o della sua compagnia. Ma quando si trovarono seduti al bancone del Big Frank’s — che era completamente vuoto — l’uomo fece tintinnare il suo bicchiere contro quello di Tom.

«Scusami se sembro con la testa da un’altra parte,» disse. «Solo che non posso fare a meno di pensare che stiamo perdendo tempo. E questa storia per me significa molto.»

«Lo so,» disse Tom. «Domani troveremo quel posto, te lo prometto.»

«Certo,» disse l’uomo con gli occhi rivolti alla porta. «Ma ora stiamo a vedere cosa succedera qui.»

Tom si volto e vide un uomo di una certa stazza che stava attraversando il locale diretto verso di loro. Non camminava veloce, ma aveva una meta precisa.

«Oh cazzo,» disse Tom. «E lo sceriffo.»

Tom rimase a osservare mentre Connelly e il giornalista si squadravano dalla testa ai piedi. Poi il poliziotto rivolse l’attenzione su Tom.

«Mr. Kozelek,» disse. «Vedo che non e ancora riuscito a fare a meno dell’ospitalita di Sheffer.»

«Da chi l’ha saputo?» chiese Tom. «Dalla cameriera? Da uno dei vecchi del tavolo d’angolo?»

«Non capisco cosa voglia dire,» disse Connelly.

«Credo che stia insinuando che qualcuno l’ha informata della sua presenza in citta,» disse Henrickson. «E io sono portato a pensare che abbia ragione.»

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