Si, papa, Harrison, il tuo protetto, mi ha violentata. Che ne dici? E non l’ha fatto troppo gentilmente. Vuoi vedere i lividi, i segni dei denti?

Tremando, Pen si appoggio ai cuscini del divano, ne strinse uno al petto.

Era stata una stupida a permettergli di portarla a casa sua, quella sera.

Avevano cenato da Scandia dove lui s’era mostrato affascinante e divertente. Avevano bevuto due bottiglie di champagne dopo i margarita. Lei si sentiva bene, quando erano usciti dal ristorante.

«Che cosa ci facciamo qui?» aveva chiesto Pen quando aveva visto che l’auto s’era fermata nel viale della casa di lui.

«Il falcone maltese comincia fra cinque minuti. Vuoi vederlo, no?»

«Guardiamo la televisione?»

«Prendiamo un caffe, ci rimettiamo in sesto e dopo ti accompagno a casa.»

La sua mente le aveva lanciato un avvertimento, ma lei lo aveva ignorato. Erano entrati. Pen si era seduta sul divano. Harrison era andato in cucina a preparare il caffe. Quando era tornato, s’era seduto accanto a lei. Le aveva tenuto la mano, cosa perfettamente accettabile.

Si era assentato di nuovo dopo il primo spot pubblicitario ed era riapparso con il caffe nelle tazze.

«Scommetto che non sapevi che facevo il detective privato. Un vero Sam Spade.»

«Facevi l’investigatore privato?»

«Scommetto che non lo sapevi.»

«Scommetto che non ci credo.»

Lui si era allontanato, Pen aveva bevuto qualche sorso di caffe. Lui era rientrato con una scatola da scarpe e si era seduto vicino, con la scatola sulle ginocchia. Ne aveva levato una pistola in una fondina. «La mia calibro 38 a canna mozza», aveva detto.

Eccoci qui sbronzi e lui tiene in mano una pistola. «Vediamo», aveva detto Pen. Lui le aveva dato la pistola. Lei l’aveva sfilata dalla fondina e aveva girato la canna verso la faccia.

«Ehi, attenta!»

Nel cilindro erano visibili i proiettili. «Cristo, e carica!» aveva esclamato Pen.

«Naturalmente.»

Lei aveva posato l’arma sul tavolino davanti a loro. «Hai mai sparato a qualcuno?»

«No, ma ho dovuto estrarla un paio di volte. La ditta per cui lavoravo si occupava anche di Security.»

«Dev’essere stato eccitante.»

«All’inizio si. Poi e diventato noioso.»

Lui aveva preso dalla scatola un portafoglio di pelle e glielo aveva dato. Dentro c’era un distintivo con inciso sopra Agente Speciale. Nella custodia c’era la sua carta d’identita e l’attestazione che Harrison era un agente della Robert Abrams Private Investigations, Inc. «Magnifico», aveva detto Pen. «Dunque sei stato veramente un detective privato.»

«Per due anni, mentre frequentavo la facolta di legge. Avevo bisogno di soldi e ho pensato che sarebbe stata una buona esperienza. Avevo anche queste.» Harrison aveva sollevato dalla scatola un paio di manette.

«Le hai mai usate?» s’era informata Pen.

«Certo. Ho eseguito un paio di arresti. Ti faccio vedere come si fa?»

«Mah, non so.»

«Ehi, vuoi fare la scrittrice, no? Devi sapere queste cose. Alzati.»

«Che cosa vuoi fare?»

«Tu sei un tipo sospetto. Ti ho appena beccato.» Harrison si era alzato puntando l’indice verso di lei, e aveva fatto scivolare in tasca le manette. «In piedi.»

Ridendo, Pen si era alzata.

«Al muro.»

«Questo e solo un pretesto per tastarmi», aveva osservato.

«Mani contro il muro.»

Lei aveva premuto le mani contro il pannello, sopra la testa.

Harrison le aveva dato un colpetto al fianco. «Non tentare di fare trucchi.»

«Hai detto proprio cosi?»

«Credo di aver detto: ‘Fa’ una mossa e sei morto’.»

«Peggio ancora.»

Con un piede l’uomo aveva agganciato la caviglia destra di Pen e le aveva piegato il piede. Stessa operazione con l’altro piede. Senza l’appoggio del muro, lei sarebbe caduta.

«Ti ho immobilizzata», aveva spiegato Harrison. «Ti servono tutte e due le mani per tirarti su.»

«Vero.»

Lui le aveva cacciato un dito contro la schiena e aveva cominciato a palpare con la mano sinistra.

Ci siamo, aveva pensato Pen. «Non lasciarti trasportare eccessivamente, eh?»

«Devo assicurarmi che non sei armata.»

Harrison le aveva passato le mani sui fianchi e sulle gambe. Non le aveva sfiorato i seni, ne l’inguine e il posteriore. Pen era impressionata. Forse l’ho giudicato male, aveva pensato. Forse e un bravo ragazzo, dopo tutto.

«Va bene, sei pulita», aveva confermato lui. Poi le aveva fatto scattare un bracciale attorno al polso destro e le aveva piegato il braccio dietro la schiena. Aveva abbassato il braccio sinistro di Pen scostandola dalla parete e aveva fatto scattare l’altro bracciale attorno al polso. «Qualche domanda?»

«Hai una chiave per le manette?» aveva chiesto lei e si era voltata.

E aveva visto l’espressione della sua faccia.

«Ora la prigioniera e sotto il mio controllo.»

«Harrison.»

«Sei in arresto.»

«Lasciami andare.»

«Uh, uh.»

Lei era indietreggiata contro la parete. «Non farlo.»

Lui aveva allungato il braccio per abbassarle le spalline dell’abito da sera.

«Guarda che mi metto a urlare.»

«E io ti caccio qualcosa in bocca, cosi ti sara difficile respirare. Rilassati.» Le spalline si erano allentate, lui le aveva abbassate denudandole i seni. Aveva gli occhi vitrei, la faccia arrossata. Aveva tirato l’abito di Pen finche era scivolato ai piedi. Lui si leccava le labbra e le stringeva i seni.

«Ti faro arrestare», aveva sibilato Pen con voce tremante. «Sarai radiato dall’albo.»

«Balle. Lo sanno tutti che esci con me. Sei venuta qui dopo una lussuosa cena. Chi credera che sei stata costretta?» Le mani di Harrison scivolavano sul corpo di lei, le dita si erano infilate sotto l’elastico delle mutandine.

«Bastardo!» Lei gli aveva sferrato una ginocchiata; ma aveva fallito il bersaglio, colpendolo alla coscia.

Lui aveva lanciato un grido, era barcollato all’indietro, poi si era lanciato verso di lei spingendola con una spalla contro il muro. Un pugno era calato sul ventre di Pen. Con il fiato mozzo, lei si era piegata in due.

Poi s’era ritrovata sul pavimento, intontita e ansante mentre lui le toglieva le mutandine. «E giunto il momento, baby», aveva mormorato Harrison. «E ora.» Le aveva sfilato le mutandine. «E ora di pagare, baby. Non puoi menare per il naso un poveraccio in eterno.» Lui s’era slacciato la cintura. «Un uomo non e fatto di legno. Che ci vuole? Non sono abbastanza bello per te? Sei lesbica? E cosi?» Lui aveva gettato da parte i pantaloni.

«Bastardo.»

«Sono io, sono io.» Harrison si era abbassato gli slip e li aveva sfilati. «E tu chi sei? Un fottuto iceberg. Che cosa ci vuole per farti abbassare le mutande? Un atto del Congresso?» Lui aveva riso bruscamente. «Le manette, ecco che cosa ci vuole.» Le aveva allargato le gambe con un calcio, si era messo in ginocchio e s’era strappato di dosso la camicia.

«Non farlo!» lo aveva supplicato Pen.

«E ora di pagare, baby. Ti fotto fino a farti saltare il cervello. E vuoi sapere una cosa? Ti piacera. Sicuro.

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