4
Annie continuo nel suo miglioramento, senza scosse e rapidamente. Alcuni tra i medici si chiedevano se il virus che l’aveva colpita non fosse un’affezione nuova cui mancavano precedenti. Ogni giorno Laval prescriveva una gradazione piu leggera degli occhiali di Annie, i cui occhi a mano a mano si abituavano sempre piu alla luce. L’acutezza visiva migliorava costantemente. Laval comincio a dire a Vera che la vista di Annie quasi certamente sarebbe diventata molto piu che accettabile. Le sue condizioni psichiche, aggiunse anche Laval, risultavano equilibrate, anche se non si poteva ancora escludere il sopraggiungere di reazioni.
Cinque giorni dopo aver tolto le bende i timori di Laval sulle «reazioni» si avverarono.
Erano le 8.30 di mattina. Annie dormiva nella sua stanza, al buio, con la porta chiusa. Un’infermiera l’aveva controllata alle 8.15, trovandola normale. Un’altra infermiera era appena entrata, riferendo poi l’identica cosa.
Alle 8.31 Annie comincio ad agitarsi, con un’espressione di sofferenza sul visetto rotondo. Gemette. Gli occhi malati si spalancarono, rivelando una paura che subito si trasformo in autentico terrore.
Annie si mise a sedere, con un sussulto. Giro gli occhi sulle ombre, con i loro contorni di mobili, fiori e giocattoli.
Comincio a piangere, una cosa che, stranamente, non aveva mai fatto dopo l’operazione. Le lacrime le inondavano le gote. Si sentiva il cuore battere forte forte.
«Mammina», chiese, «sei qui?»
Ma udi soltanto il ronzio del condizionatore d’aria.
«Mamma?» domando a voce piu alta, ma, con la porta chiusa, nessuno la senti.
«Mammina, attenta! Sta’ attenta!»
Balzo dal letto e si infilo gli occhiali scuri, per abitudine. Quando apri la porta della camera, la luce vivida dell’atrio la feri. Socchiuse gli occhi. Poi, respirando affannosamente, oppressa da un terribile presentimento, irruppe nell’atrio e comincio a gridare.
«Mammina, attenta! Non voglio che tu muoia!»
Si scateno un pandemonio.
Alcune infermiere si precipitarono verso Annie. Vedendole, lei le evito cambiando direzione di corsa.
«Torna qui!» ordino un’infermiera. Un’altra sbuco fuori da una stanza. In due bloccarono Annie.
«Voglio la mia mamma!» urlo lei. «Non voglio che lui le vada contro!»
Le sue grida si sentivano per tutto il piano.
Mentre le infermiere le si affannavano intorno arrivo un inserviente in loro aiuto.
Le infermiere, preoccupate per Annie, la riportarono nella sua stanza. Altri bimbi, spaventati dalle grida e dalla confusione, correvano su e giu per l’atrio.
Un’infermiera rimise maternamente a letto Annie massaggiandole le braccia per confortarla. «Da brava, Annie», le sussurro con voce dolcissima, «ti sei presa un bello spavento. Ma non vogliamo che succeda ancora, vero? Perche non…»
Ma Annie di colpo invoco ancora: «Mammina!»
«Ora calmati», insiste l’infermiera Kendall, ripetendo la frase con voce sommessa, mantenendo un tono dolce e cantilenante.
Lentamente Annie si tranquillizzo. L’affanno diminui. Il battito del cuore torno quasi normale. Ma, a causa della crisi, era madida di sudore. Resto distesa, fissando il soffitto. «La mia mamma sta bene?» chiese.
«Ma certo», ribatte la Kendall, sorridendo. «Sara qui tra poco, infatti. Pensi che dovremmo raccontarle tutto questo?»
«Non lo so», rispose Annie. «Avevo tanta paura.»
«Che cos’era?»
«Vedevo dentro la mia testa come un film. La mia mamma guidava la sua macchina. E c’era quell’altra auto. Veniva avanti proprio in mezzo alla strada e verso mia mamma, ma poi l’ha urtata di fianco.»
L’infermiera Kendall scosse la testa, come se condividesse il racconto di Annie. «Scommetto che sei felice che quel sogno sia finito», osservo.
«Non era un sogno.»
«Ma certo che lo era. Un sogno molto, molto brutto.»
«In parte era un sogno», replico Annie.
«Ecco, lo vedi.»
«No, un momento. L’ho fatto mentre dormivo, ma poi mi sono svegliata e c’era ancora. Era cominciato prima che quell’uomo arrivasse con la sua auto. Volevo avvisare la mamma che stava arrivando.»
«Be’», disse la Kendall, sinceramente commossa, «credo che dovresti dimenticare tutta la faccenda. E stato soltanto un piccolo incubo, tutto qui. Capita anche a me, continuamente.»
«Davvero? E lei che cosa fa?»
«Be’, se mi sveglia, com’e successo a te, sollevo le mani, me le agito davanti e lo faccio andare via.» Le fece vedere. «In questo modo.»
Annie sorrise, ripetendo il gesto.
«Proprio cosi», approvo la Kendall. «Fai cosi se qualche brutto sogno ti capita ancora. Okay?»
«Okay.»
La Kendall rimase con Annie, anche se era arrivato il suo turno di servizio.
Vera arrivo poco dopo.
«Mammina!» esclamo Annie vedendola entrare.
L’infermiera intui immediatamente dall’espressione del viso di Vera che c’era qualcosa che non andava. «Mrs. McKay», le domando, «non si sente bene?»
Dapprima Vera non rispose. Si diresse da Annie, la bacio, poi si sedette sul bordo del letto. Aveva il respiro corto e le mani tremanti.
«No, non sono malata», rispose alla fine. «Ma la mia piccola per poco non ha perso sua madre. Venendo qui, un’auto ha saltato lo spartitraffico. Mi ha preso di fianco, sul lato guida, strappando letteralmente la fiancata della macchina. Qualche centimetro piu a sinistra e…»
La Kendall la fisso a bocca aperta, incredula.
Annie comincio a tremare e poi a gridare istericamente: «Visto? Visto che avevo ragione?»
«Che cosa succede?» domando Vera, scossa dalla reazione di Annie.
La Kendall, senza perdere tempo a spiegare, tento di calmare Annie.
«Avevo ragione!» grido la bambina. «La mia mamma quasi moriva!»
«No, sto bene, Annie, sono qui con te», esclamo Vera, perplessa e allarmata per l’isterismo della figlia.
Accorsero altre due infermiere a calmare Annie, mentre la Kendall sospingeva Vera nel corridoio.
«La bimba si e agitata», le spiego, «ha avuto un brutto sogno e, Mrs. McKay, parola mia, quel sogno era uguale al suo incidente.»
Vera impallidi. «E la seconda volta che succede», preciso. «Il primo sogno era pazzesco, ma non si riferiva a niente di reale. Ma questo», prosegui Vera, «e impossibile. Identico al mio incidente? Non puo essere.»
La Kendall si strinse nelle spalle e torno in camera di Annie. «Probabilmente e solo una coincidenza. A volte i bambini sognano le brutte cose che accadono in famiglia.»
Le infermiere calmarono Annie, che pero continuava a tremare e a piangere sommessamente. La Kendall, preoccupata, dichiaro: «Faccio chiamare Goodpaster».
«Chi e?» domando Vera.
«Il nostro psichiatra infantile. Un uomo straordinario, mi creda.»
Qualche minuto piu tardi il dottor Carl Rudolph Goodpaster usci dall’ascensore. Vera lo scruto mentre si affrettava verso la camera di Annie. Sulla quarantina, alto e molto curato, impeccabilmente vestito di marrone, lo psichiatra aveva un sorriso per tutti.
«Salve, ciao», disse allegramente, passando rapidamente oltre Vera ed entrando nella stanza di Annie. «Allora, qual e il problema?»