formato da simboli gestuali, debbono faticare parecchio ad imparare un linguaggio sostanzialmente orale, con un codice di supporto formato da simboli fonetici scritti.

Non dico che sia impossibile. Una persona intelligente e decisa puo compiere cose straordinarie. Dico solo che ben pochi possono pensare che ne valga la pena. La maggioranza, anche se intelligente, di norma non ha la forza di volonta necessaria.

Tra quelli disposti a compiere lo sforzo, nessuno avra una grande fiducia nella propria abilita, poiche non avra mai la possibilita di collaudarla, se non nei confronti dei compagni. E come se i membri di un club decidessero di imparare il sanscrito, ed avessero a disposizione soltanto dei libri. Vi saranno incertezze persino nell’abbinare un testo d’ingegneria al macchinario che descrive. Se c’e la possibilita di scegliere tra l’uso del manuale di manutenzione originario, stampato a zampe di gallina che rappresentano suoni mai uditi, e l’uso di appunti buttati giu dagli addetti alla manutenzione che conoscono gia le macchine… cosa pensate che i ragazzi potranno preferire?

Naturalmente, i libri originali continuano a restare disponibili, con il passare degli anni. Non si consumano di certo. Purtroppo, pero, con gli anni i testi originali diventano sempre meno utili. Occorrono testi moderni, in un certo senso: ma vi sono due fattori contrari.

Innanzi tutto, ovviamente, i giovani non li possono leggere. In secondo luogo, per macchine progettate e costruite un secolo prima, sono utili quanto il manuale di un tornio elettrico potrebbe esserlo per un fabbricante di asce di selce del trentamila avanti Cristo.

Le macchine progettate e costruite tanto tempo fa hanno resistito bene, ma non perfettamente. Sempre piu spesso, la manutenzione ordinaria deve lasciare il passo alle riparazioni e alle sostituzioni; i testi originali non trattano questi problemi… anche se fosse possibile leggerli. E gli appunti degli addetti alla manutenzione certamente non se ne occupano.

Percio costoro hanno bisogno di aiutanti provenienti dalla superficie: ingegneri che sappiano svolgere il lavoro necessario senza bisogno di un manuale, oppure esperti piu difficili da definire che sappiano prendere i libri moderni e comunicarne il significato agli addetti locali alla manutenzione. Forse il termine piu calzante, e maestri di scuola.

In altre parole, hanno bisogno di Joey, e di Bert, e di Marie, e di me. Hanno bisogno, in pratica, di chiunque arrivi dalla superficie. Hanno bisogno di noi. L’ipotesi di Marie era assolutamente esatta. Nei decenni passati, hanno continuato a procurarsi gente come noi, gli autori degli scritti che mi hanno permesso di capire tutto questo: e la loro sopravvivenza dipende dalla possibilita di continuare su questa strada.

Ma questo mi indusse a pensare ad un’altra cosa.

Era abbastanza facile credere che una certa percentuale di coloro che erano capitati li, per caso o in seguito ad un reclutamento furtivo, avesse accettato spontaneamente di restare. Ma era difficile credere che proprio tutti fossero stati disposti a farlo. Che ne era stato di coloro che non avevano accettato?

Mi pareva che vi fossero due possibilita. Una era la sorte che Marie sembrava aspettarsi, se avesse tentato di andarsene. L’altra era la spiegazione datami da Bert: avevano potuto ritornare indenni alla superficie, ma il Consiglio aveva insabbiato i loro rapporti e i loro racconti.

Ma Bert era un bugiardo. E poteva anche sbagliare.

Nei libri che avevo letto si faceva cenno a visitatori che erano arrivati: ma di loro non si parlava piu. Naturalmente, se non erano rimasti era improbabile che si facesse ancora cenno a loro: comunque, preferivo credere che non ci fosse stato ricorso alla violenza… preferivo credere che avesse ragione Bert. Comunque, Marie era tutt’altro che una stupida, e la morale di quella cultura isolata poteva essere la stessa di un secolo prima. Anzi, sotto certi aspetti evidentemente lo era.

E a me bastava la vaga possibilita che Marie potesse essere in pericolo.

Una volta tanto, ero completamente d’accordo con Bert: bisognava convincerla ad andarsene subito. Inoltre, bisognava proteggerla fino a quando fosse arrivata molto lontana da li. Dovevo proteggerla io. Questo comportava due fasi distinte, e la prima sarebbe stata probabilmente la piu difficile. Marie aveva ascoltato per parecchie settimane gli argomenti con cui Bert aveva cercato di indurla ad andarsene, e l’unico risultato era stato che aveva perduto ogni fiducia in Bert. Com’era possibile che io ottenessi un risultato migliore?

Come ho detto prima, ritengo di essere un discreto ingegnere, e sono in grado di svolgere un’indagine apprezzabile, quando si tratta di un compito essenzialmente tecnico, come scoprire dove va a finire l’energia. Ma non sono un ideatore di trame, nel senso antiquato del termine: e per un po’ mi trovai completamente disorientato di fronte al problema. A impedirmi cosi a lungo di trovare un’idea efficiente, suppongo, fu una naturale riluttanza a dire a Marie qualcosa di diverso dalla verita, ed una riluttanza ancora piu grande di fronte al pensiero di darle un dispiacere.

Non so che cosa riusci a sbloccarmi. All’improvviso, comunque, mi apparve chiaro come il sole che, se Marie era decisa a restare fino a quando credeva che Joey si trovasse li, e vivo, presumibilmente se ne sarebbe andata, se si fosse convinta che lui era morto li.

L’idea non mi piaceva. Non mi piace mentire, soprattutto a coloro che si fidano di me, e in particolare a Marie. Avevo vissuto la fase normale dell’infanzia, quando mentire sembrava il modo piu facile per togliersi dai guai: ma ottimi insegnanti e genitori comprensivi, con l’aiuto di un amico intimo con un ottimo gancio destro e sei chili addosso piu di me, mi avevano aiutato a superare quella fase. In quella situazione, dovetti ripetermi piu volte che lo facevo per la salvezza di Marie, prima di decidermi.

Preferisco non discutere come mi convinsi che valesse anche la pena di causarle un simile dolore. Di una cosa ero certo: il piano era cosi semplice che mi stupi che Bert non ci avesse mai pensato. Dopotutto, sembrava che non avesse i miei pregiudizi nei confronti delle menzogne.

CAPITOLO 19

Glielo proposi alla prima occasione, e anche lui non riusci a capire come mai non gli fosse venuto in mente. Mi approvo vivamente, e si complimento con me con tutta l’eloquenza concessagli da un inizio di crampo alle dita. Poi comincio a darsi da fare.

Il piano era abbastanza semplice. Il sommergibile di Joey, naturalmente, era ancora li. Lo avremmo sfasciato, avremmo detto a Marie che avevamo trovato il relitto, e se fosse stato necessario glielo avremmo mostrato. Avremmo fatto in modo che rimanessero intatti il numero di registrazione ed altri segni d’identificazione. Dopo esserci messi d’accordo, andammo al molo dov’era attraccato il sommergibile. Avremmo potuto metterci al lavoro appena arrivati: ma durante la nuotata di mezz’ora avevamo avuto il tempo di pensare ai dettagli. Quando riprendemmo a comunicare, i particolari non coincidevano, e impiegammo quasi mezz’ora per riconciliarli. Con questo, il lavoro vero e proprio e la ricerca, da parte di Bert, di qualcuno che ci aiutasse a trasportare il sommergibile, passarono piu di sei ore prima che fossimo veramente pronti a trasferire fuori il mezzo.

Non potevamo farlo funzionare con il suo motore, anche se questo sarebbe stato possibile. Dopo la metamorfosi di Joey, era stato riempito del liquido ambiente, alla pressione locale. Riuscimmo a lavorare senza difficolta sui comandi interni. Pensammo di portarlo alla «sala operatoria» e di collegarlo con il portello di trasferimento, per riportare sala e sommergibile alla pressione di superficie, ma poi mi venne in mente un piano piu facile.

Come tutte le macchine da lavoro di profondita, il sommergibile di Joey aveva grossi serbatoi per il sollevamento e la zavorra. I primi funzionavano ancora, perche non avevano perduto molto liquido, a giudicare dalla galleggiabilita dell’apparecchio. I serbatoi della zavorra, naturalmente, adesso erano pieni del liquido che formava il nostro ambiente normale. Erano disposti in due serie principali che si estendevano per quasi tutta la lunghezza dello scafo, parallelamente allo scafo; ogni serie era divisa in quattro cellette per mezzo di paratie munite di valvole e di pompe.

Aprimmo tutte le valvole. Poi spezzammo i sigilli dei portelli di manutenzione senza aprirli completamente, in modo che il fluido potesse filtrare tra l’interno dello scafo principale e i serbatoi della zavorra. Entro un po’ di tempo, le pompe avrebbero svuotato l’interno ed i serbatoi.

Finalmente, provvedemmo a sfasciare lo scafo. Avevo dato per certo che avremmo potuto usare i normali esplosivi, dimenticando l’effetto che ha il suono su una persona immersa in un liquido. Non e che non mi volessero consegnare gli esplosivi: li non ce n’erano mai stati, semplicemente.

Finalmente pensammo di risolvere il problema aprendo le lastre d’ispezione e togliendo parecchi dei supporti imbullonati, quelli che dovevano essere mobili, per provvedere alla manutenzione. Sembrava certo che, se avessimo svuotato lo scafo, si sarebbe schiacciato inevitabilmente.

Perdemmo parecchio tempo tentando di improvvisare qualcosa che mettesse in moto le pompe della zavorra, con un congegno ad orologeria oppure dall’esterno. Finalmente, a qualcuno (non a me), venne in mente che niente ci impediva di attivarle dall’interno e di uscir fuori, chiudendoci il portello alle spalle. La pressione non avrebbe cominciato a scendere, fino a quando lo scafo non fosse stato isolato dall’oceano.

Sembro che questo bastasse a concludere il lavoro. Il sommergibile era gia quasi in equilibrio di peso rispetto alla zavorra esterna, percio lo rimorchiammo e ci avviammo a nuoto verso l’entrata piu vicina. Eravamo in dieci, e il carico non era eccessivo. Lo arrestammo sotto l’apertura del tetto, lo spingemmo verso l’alto fino a quando arrivo al punto di contatto tra i due liquidi, e lo lasciammo li, per indossare le mute.

Non mi ero ancora abituato. Non avevo avuto occasione di chiedere a cosa serviva la piccola bombola sulla schiena… la mia teoria, come forse ricorderete, non costituiva una spiegazione valida. E in quel momento non avevo la possibilita di chiederlo. Bert mi aiuto a sistemare tutto a dovere, anche se non sapevo sempre con esattezza quello che stava facendo. In tre o quattro minuti cominciammo ad espellere la zavorra esterna, e il sommergibile entro in acqua per l’ultima volta.

Gli lasciammo un po’ di galleggiamento negativo, e alcuni di noi camminarono sorreggendolo, mentre gli altri lo spingevano a nuoto. Bert ed io non avevamo fatto piani precisi circa il punto in cui si doveva inscenare il naufragio: evidentemente, non doveva essere troppo vicino ad un’entrata, altrimenti sarebbe stato impossibile far credere che non l’avessero trovato prima. D’altra parte, non sarebbe stato possibile portarlo troppo lontano. Dopo un’ora di viaggio, lasciammo che lo scafo si posasse sul fondo.

Personalmente, non sarei riuscito a trovare la strada del ritorno fino all’ingresso da cui eravamo passati, e sarebbe stato un colpo di fortuna se ne avessi trovato uno qualunque. Bert e gli altri pero non sembravano preoccupati. Pensai che conoscessero bene la zona, o che disponessero di un sistema di orientamento di cui non sapevo ancora nulla. L’unica luce era quella delle nostre lampade, la cui radiazione formava una piccola cupola luminescente nella tenebra immensa del Pacifico. Eravamo lontanissimi dal tendone, come continuo a chiamare l’area coltivata. Non sapevo neppure in quale direzione si trovasse, e anche se l’avessi saputo non mi sarebbe servito a nulla, dato che non avevo una bussola.

Bert mi indico a gesti di accostarmi al portello stagno del sommergibile. L’aprii ed entrai. In un certo senso, mi dispiaceva moltissimo: ma l’idea mi sembrava ancora buona.

Una volta entrato, mi sbrigai in fretta: dovevo soltanto fare scattare due interruttori. Mi richiusi il portello alle spalle, e raggiunsi gli altri.

Avevamo ricaricato le batterie del sommergibile, e non c’era da temere che non ci fosse energia sufficiente per svuotarlo. Ero molto fiero di aver ricordato quel particolare: i serbatoi erano grandi, e avrebbero causato un enorme lavoro per le pompe. Tuttavia, avevo appena raggiunto il gruppo quando fummo costretti a ricordare qualcosa cui non avevamo pensato ne io ne Bert, qualcosa per cui non potevamo trovare una giustificazione.

Vuotando i serbatoi della zavorra con i serbatoi del sollevamento ancora pieni, il sommergibile acquisi un galleggiamento positivo. E naturalmente comincio a sollevarsi.

Per fortuna, il movimento ascendente iniziale non fu rapido. Riuscii ad afferrarmi allo scafo, aprii il portello elettricamente (manualmente non ci sarei riuscito, dato che si era gia stabilita una differenza di pressione), e dissigillai ed aprii le valvole per lo scarico del liquido di galleggiamento. Quando uscii di nuovo, il sommergibile era gia a una sessantina di metri dal fondo. I sommozzatori mi stavano intorno, illuminando la scena con le loro lampade: guardai la parte superiore dello scafo e vidi la scia oleosa del liquido di galleggiamento che usciva. L’ascesa stava gia rallentando, e dopo un paio di minuti cesso e si inverti. Seguimmo la discesa del sommergibile sul fondo, fino ad un punto non molto lontano da quello che avevamo scelto.

E aspettammo. Aspettammo. Aspettammo.

I nostri aiutanti conversavano tra loro a segni. Bert ed io non potevamo parlare, poiche avevamo lasciato la tavoletta all’entrata, quando avevamo indossato le mute. Ognuno di noi sapeva cio che stava pensando l’altro, e via via che il tempo passava e che lo scafo continuava a star li tranquillo, cominciammo a scambiarci occhiate interrogative.

Ormai le pompe avevano avuto il tempo di vuotare completamente l’interno. Dentro doveva esserci praticamente il vuoto.

Non avevamo badato a cio che era rimasto nei serbatoi dell’aria. Non poteva essercene tanta da contare qualcosa, a quella pressione. Dagli ugelli della zavorra non erano uscite bollicine, ma

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