la sintonia da se; improvvisamente la figura di Muller balzo in pieno rilievo, vivida. Il ricognitore continuava a muoversi lentamente davanti all’uomo, come per attirare la sua attenzione e impedirgli di allontanarsi ancora.

A voce bassa, Boardman disse:

«Spaventosa! L’espressione della sua faccia…»

«A me sembra abbastanza normale» disse Ned.

«Come fai a saperlo? Io me lo ricordo, quell’uomo. Ned, quella e la faccia di un uomo scampato all’inferno. Gli zigomi sono molto piu sporgenti di prima, lo sguardo e terribile, e non vedi la piega della bocca, a sinistra? Sembra quasi che abbia avuto una leggera paralisi. Comunque, nei suoi occhi c’e ancora forza, tanta forza.»

Muller seguiva lentamente il ricognitore, parlandogli con voce cavernosa, rauca: «Hai trenta secondi per dirmi perche sei venuto qui. Poi ti consiglio di fare dietrofront e di tornare da dove sei venuto.»

«Non gli volete parlare?» chiese Rawlins. «Distruggera l’apparecchio.»

«Faccia pure» disse Boardman. «La prima persona che gli rivolgera la parola dev’essere un uomo in carne e ossa, e dovra trovarsi a faccia a faccia con lui. Bisogna fargli la corte, Ned.»

«Dieci secondi» disse Muller.

Frugo in tasca e ne tolse un globo di metallo nero delle dimensioni di una mela, con un finestrino quadrato da una parte. Rawlins non aveva mai visto niente del genere: forse era qualche arma sconosciuta che Muller aveva trovato nella citta. Con uno scatto l’uomo alzo la sfera e oriento l’apertura verso il muso del ricognitore.

Lo schermo si spense.

«Abbiamo perso un altro robot» disse Rawlins.

Boardman annui. «Si, e non sara l’ultima perdita. D’ora in poi dovremo rischiare altre perdite. Umane, questa volta.»

9

Ormai avevano la pianta completa del labirinto. Il cervello della nave conservava uno schema particolareggiato del percorso che conduceva all’interno e di tutti i trabocchetti e le insidie. Boardman riteneva di poter inviare ricognitori con novantacinque probabilita su cento di raggiungere la zona A intatti. Che un uomo fosse in grado di fare lo stesso, era ancora da vedere. Anche con un calcolatore che gli suggerisse gli spostamenti passo per passo, poteva darsi che l’uomo, filtrando le informazioni attraverso il proprio cervello tutt’altro che infallibile, e vulnerabile alla fatica, non vedesse le cose allo stesso modo di un ricognitore, e si permettesse alterazioni che potevano essergli fatali. Percio bisognava controllare accuratamente i dati prima di mandare avanti un essere umano.

Comunque, tra l’equipaggio c’erano gia diversi volontari.

Sapevano che molto probabilmente ci avrebbero lasciato la pelle: nessuno aveva cercato di ingannarli, e per loro andava bene cosi. Gli avevano detto che per il bene dell’umanita era indispensabile far uscire Richard Muller — volontariamente — dal labirinto, e che questo lo si poteva ottenere piu facilmente se due esseri umani in carne e ossa, cioe Charles Boardman e Ned Rawlins, fossero riusciti a parlargli personalmente; e poiche Boardman e Rawlins erano due individui insostituibili, era pertanto necessario che altri esplorassero il percorso prima di loro. Benissimo. Gli esploratori erano pronti a dare la propria vita.

E molti la persero.

L’uomo scelto per il primo tentativo era un sottotenente chiamato Burke, sicuramente tanto giovane quanto dimostrava il suo aspetto: raramente i militari si sottoponevano alla rigenerazione prima di avere raggiunto gli alti gradi. Era piccolo, robusto, scuro di capelli. Si comportava come se a bordo fossero in grado di sostituire un Burke con un altro: come se fosse un robot.

«Quando trovero questo Muller» disse Burke, e disse proprio «quando», non «se» «gli diro che sono un archeologo. E che se non gli spiace vorrei che mi raggiungessero alcuni compagni.»

«Si» approvo Boardman. «E ricordatevi che meno particolari gli darete, meglio sara. Parlando troppo lo mettereste in sospetto.»

Burke non sarebbe vissuto abbastanza per parlare con Muller, lo sapevano tutti. Ma lui si avvio agitando allegramente una mano in segno di saluto, e si inoltro nel labirinto. Un apparecchio, fissato alle spalle, lo teneva in collegamento col cervello della nave. Il calcolatore gli avrebbe trasmesso gli ordini relativi al percorso da compiere e avrebbe mostrato agli altri tutto quello che sarebbe accaduto.

Passo brillantemente incolume attraverso le insidie della zona H. Non possedeva il corredo di dispositivi sensori che avevano aiutato i ricognitori a individuare le pietre-catapulta, le voragini mortali, i getti di energia nascosta, e tutti gli altri trabocchetti da incubo. Portava, pero, con se qualcosa di assai piu utile: le informazioni raccolte da un’infinita di ricognitori che l’avevano preceduto. Osservando lo schermo, Boardman vedeva apparire cose diventate familiari: i pilastri, i bastioni, le scarpate, i ponti aerei, i mucchi di ossa, e, ogni tanto, i resti di un ricognitore distrutto.

Burke ci mise quasi quaranta minuti per passare dalla zona H alla G. Finora il sistema aveva funzionato. L’uomo eseguiva una specie di macabra danza, aggirando gli ostacoli, contando i passi, facendo un balzo in avanti, spostandosi di fianco, allungando al massimo una gamba per evitare qualche tratto di pavimentazione infida. Ma il calcolatore non era in grado di metterlo in guardia anche contro l’animaletto dai lunghi denti, in agguato sopra un davanzale dorato, una quarantina di metri dentro la zona G. Si trattava di un pericolo imprevisto, non segnato sulla mappa.

L’animale non era piu grosso di un gatto, ma aveva zanne lunghe e artigli acuminati. L’obiettivo sistemato sulle spalle di Burke lo vide mentre spiccava il salto, e ormai era troppo tardi. L’uomo fece l’atto di voltarsi, mettendo mano all’arma che aveva con se, ma la bestia gli era gia balzata sulle spalle e gli cercava la gola.

Burke rotolo a terra, avvinto all’animale che l’aveva assalito. Un rivolo di sangue comincio a scorrere sul terreno. L’uomo e la bestia rotolarono due volte, avvinghiati, fecero scattare inavvertitamente qualche dispositivo nascosto, e scomparvero in una nube di fumo oleoso. Quando l’aria si rischiaro, di loro non c’era piu traccia.

«Un’altra cosa dobbiamo ricordare» disse Boardman piu tardi. «Gli animali non attaccano i ricognitori. Sara meglio portare con noi alcuni rivelatori di massa, e viaggiare in squadra.»

La volta seguente fecero cosi. Due uomini, Marshall e Petroncelli, entrarono insieme, armati, nel labirinto. Nessuna bestia poteva avvicinarsi senza che le sue radiazioni termiche venissero captate dai rivelatori di massa.

Gli esploratori uccisero quattro animali, di cui uno enorme, e non ebbero altri fastidi.

Penetrarono profondamente nella zona G, e arrivarono nel punto dove lo schermo deformante rendeva inutile ogni dispositivo per la raccolta di informazioni.

Boardman non riusciva a capire come funzionasse. Sapeva che tutti gli apparecchi deformanti costruiti sulla Terra agivano direttamente sui sensi trasmettendo messaggi sensoriali assolutamente esatti e mescolandoli poi alla rinfusa dentro il cervello, in modo da distruggere ogni correlazione. Ma quello schermo doveva essere diverso. Non poteva attaccare il sistema nervoso di un ricognitore, per la semplice ragione che i ricognitori non hanno un sistema nervoso vero e proprio e che i loro «occhi» trasmettono le immagini esattamente come le vedono; oppure cio che i ricognitori avevano visto e riferito al calcolatore non corrispondeva alla topografia reale del labirinto in quel punto. Altri ricognitori, appostati fuori portata dello schermo, avevano dato descrizioni del terreno molto diverse e assai piu degne di fede. Percio il dispositivo doveva funzionare in base a qualche principio ottico diretto, che agiva sull’ambiente stesso, alterandolo, confondendo la prospettiva, spostando invisibilmente, e cancellando, i contorni delle cose, trasformando forme normali in forme sconcertanti. Qualsiasi organo visivo che si trovasse entro il raggio d’azione di quel diabolico meccanismo riceveva un’immagine estremamente convincente, ma completamente falsa, della zona, avesse o no una mente per raccoglierla.

Marshall e Petroncelli fecero quello che il calcolatore ordinava. Continuarono a camminare nella stessa direzione anche quando i loro occhi li avvertivano che immensi abissi si aprivano sul loro sentiero. Si abbassarono a strisciare attraverso un tunnel inesistente dal soffitto irto di lame da ghigliottina sospese. «Ho paura che una di quelle lame mi cada addosso e mi tagli in due da un minuto all’altro» disse Petroncelli. Ma non c’erano lame. Giunti all’estremita della galleria, svoltarono docilmente a destra, verso un enorme flagello che frustava paurosamente il terreno. Non esisteva nessun flagello. Rinunciarono, con riluttanza, a incamminarsi su di un passaggio pedonale che sembrava condurre fuori dall’area influenzata dallo schermo. Il passaggio era immaginario: non potevano scorgere

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