18
Nel campo della zona F, Boardman si era preparato un piccolo nido confortevole, tutto per se. Sotto la cupola di un bianco latteo si era riservato un angolo privato, dove aveva sistemato un termoregolatore, un soppressore di gravita e perfino un mobile-bar pieno di liquori. Acquavite e altre raffinatezze non mancavano mai. Dormiva su un materasso gonfiabile, coperto da una trapunta rossa in cui erano incorporati fili elettrici per il riscaldamento.
Greenfield entro. «Abbiamo perso un altro ricognitore, signore» disse bruscamente. «Nelle zone interne ne rimangono soltanto tre.»
Boardman accese una sigaretta. «Muller distruggera anche quelli?»
«Temo di si. Conosce le vie di accesso molto meglio di noi. Le tiene tutte sotto controllo.»
«E non avete provato a mandarne qualcuno in quelle non ancora esplorate?»
«Due, signore. E li abbiamo persi.»
«Allora bisognera mandarne molti, tutti insieme, sperando che qualcuno riesca a sfuggire alla sorveglianza di quel demonio. Il ragazzo non ce la fa piu a stare in quella gabbia. Cambiate il programma. Il cervello elettronico puo escogitare nuove tattiche, se glielo si chiede. Vediamo un po’… una ventina di ricognitori che partano simultaneamente…»
«Ce ne sono rimasti soltanto tre» disse Greenfield.
«E come mai ci siamo ridotti a questo punto? Chiamate Hosteen! Ditegli di far lavorare le macchine! Voglio che costruisca cinquanta ricognitori prima di domattina. No, meglio ottanta. Restare senza ricognitori. Questa e idiozia, Greenfield!»
Butto fuori due o tre boccate di fumo, furiosamente, e ordino l’acquavite, un liquore denso, forte e viscoso, distillato dai padri Prolepticalisti su Deneb XIII. La situazione diventava sempre piu irritante. Si sentiva sul punto di perdere la visione d’assieme, e questo, per lui, era un difetto imperdonabile. La delicatezza di quella missione cominciava a dargli sui nervi. Tutti quei passi minuziosi, quelle sottili complicazioni, quell’ansioso avvicinarsi e allontanarsi dalla meta. Rawlins in gabbia. Rawlins e i suoi scrupoli morali. Muller e la sua visione nevrotica dell’Universo. Gli animaletti che mordevano i calcagni e intanto spiavano ansiosamente la gola. I trabocchetti che i maledetti costruttori della citta avevano ideato. E gli esseri extra-galattici in attesa, con gli occhi larghi come piatti, e la loro radio-sensibilita, esseri per i quali perfino un Richard Muller valeva poco piu di un vegetale. Una minaccia che incombeva su tutto.
Con un gesto brusco, Boardman si collego nuovamente con Ned. Lo schermo inquadro il giovane nel chiarore lunare, imprigionato dalle sbarre curve e circondato da piccoli musi pelosi irti di zanne.
«Ned?» chiamo. «Stiamo mandandoti i ricognitori, ragazzo mio. Fra cinque minuti ti tireremo fuori da quella stupida gabbia. Sentito? Cinque minuti.»
Rawlins era impegnatissimo.
Era incredibile: il numero di quelle piccole bestie pareva infinito. S’infilavano attraverso le sbarre, senza sosta, a due, tre alla volta, donnole, furetti, visoni, ermellini o che altro diavolo fossero, tutti denti e occhi. Ma si cibavano di carogne, non di creature vive. Gli si affollavano attorno, sfregandogli le caviglie con la loro pelliccia ruvida, graffiandolo con gli artigli, tormentandolo a morsi.
Lui li calpestava. Si accorse subito che piantando il tacco in un punto particolare, appena sotto la nuca, era possibile spezzare facilmente la colonna vertebrale delle bestie. Poi, con un rapido calcio, mandava a finire la sua vittima in un angolo della gabbia, dove gli altri si precipitavano subito, alla rinfusa. Erano anche cannibali. Rawlins lavorava ormai a ritmo accelerato: voltarsi, schiacciare, tirare un calcio. Schiacciare, schiacciare, schiacciare…
I morsi e i graffi intanto si moltiplicavano.
Durante i primi cinque minuti non ebbe quasi il tempo di respirare, ma riusci a sbarazzarsi di almeno venti assalitori. In fondo alla gabbia, si era formato un mucchio di bestie morte, che i compagni si disputavano per ricavarne i bocconi piu teneri. Infine, tutti gli animali vivi che ancora c’erano nella gabbia furono occupati sul mucchio di carogne. Fuori non se ne vedevano altri, e Rawlins ebbe un momento di respiro. Si aggrappo a una sbarra con entrambe le mani e alzo la gamba sinistra per esaminare i danni subiti.
Ma li non c’era niente di marcio. Rawlins capi di essere vittima di qualche illusione sensoriale: un trabocchetto per l’olfatto messo in azione dalla gabbia, che diffondeva il puzzo di carne in decomposizione. Perche? Evidentemente per attirare all’interno l’orda di «spazzini». Una forma raffinata di tortura. O forse era opera di Muller, che aveva liberato l’odore da poco distante.
Un altro branco di animali attraversava correndo la piazza, dirigendosi verso la gabbia. Erano un po’ piu grossi dei precedenti, ma anche questi riuscivano a passare tra le sbarre, e le loro zanne luccicavano minacciose sotto la luna. Rawlins agguanto tre o quattro delle bestie ancora vive che gli stavano intorno e le lancio fuori, a sette, otto metri di distanza. Bene. I nuovi venuti si fermarono di colpo, slittando sul selciato, e balzarono sui corpi che si dibattevano negli spasimi dell’agonia. Soltanto pochi si preoccuparono di entrare nella gabbia, ma non tutti insieme, e Rawlins ebbe modo di afferrarli a uno a uno e ributtarli fuori. Se le cose continuavano cosi, sarebbe forse riuscito a sbarazzarsi di tutti. Ma bisognava che non ne giungessero altri di rincalzo.
Finalmente, non ci furono altri arrivi. Ned aveva gia ucciso un’ottantina di animali, ormai, e l’odore del sangue fresco copriva il lezzo artificiale di carne in decomposizione, le gambe gli dolevano per lo sforzo di quella carneficina, i pensieri gli turbinavano vorticosamente nel cervello. Ma infine la notte torno tranquilla. I corpi, alcuni ancora coperti di pelliccia, altri ridotti ormai a scheletri spolpati, giacevano in ampio arco davanti alla gabbia. Una pozza di sangue denso e scuro si allargava per una decina di metri quadrati. Gli ultimi sopravvissuti, rimpinzati e soddisfatti, se n’erano andati senza degnare di uno sguardo il prigioniero. Stanco morto, esausto, con una gran voglia di piangere e al tempo stesso di ridere, Rawlins si aggrappo ancora alle sbarre. La gamba insanguinata gli pulsava. Senti il fuoco diffondersi in tutto il suo corpo e immagino microorganismi sconosciuti che partivano all’assalto, trasportati dal suo sangue.
Tre grossi animali puntarono sulla gabbia da tre direzioni diverse. Avevano l’andatura del leone e la corporatura del cinghiale, le zampe tozze, il dorso a punta, e dovevano pesare almeno un quintale. La testa era allungata, con una forma piramidale, la bocca era piccola e bavosa, gli occhi sembravano fessure, ed erano quattro, due per parte, appena sotto l’attaccatura delle orecchie irregolari. Le zanne superiori, ricurve, sporgevano verso il basso, incrociandosi coi due canini acuminati che spuntavano dalle mascelle poderose. Gli animali annusarono per un poco i cadaveri sparsi attorno, ma si capiva chiaramente che non erano abituati a cibarsi di carogne: cercavano carne viva, disprezzando i corpi mutilati e inanimati. Quando ebbero terminata la loro ispezione, si girarono per fissare Rawlins. Per la prima volta, Ned apprezzo la sicurezza della gabbia. Sarebbe stato terribile trovarsi fuori, esausto com’era, e con quelle tre fiere che vagavano per la citta in cerca di cibo.
Ma in quell’istante, c’era da aspettarselo, le sbarre cominciarono a scorrere.
19
Muller, sopraggiunto in quel preciso momento, afferro in un colpo d’occhio la scena. «A terra!» urlo.
Rawlins fece quattro passi verso sinistra, scivolo sul pavimento viscido di sangue e fini sopra un mucchio di carogne sul bordo della strada. Nel medesimo istante, Muller sparo. Tre colpi rapidi e precisi abbatterono i «cinghiali»; poi Muller fece per avvicinarsi a Ned, ma proprio allora comparve uno dei ricognitori inviati dal campo della zona F. L’uomo impreco sottovoce, estrasse di tasca il globo disintegratore e ne punto l’apertura rettangolare verso il robot, che istantaneamente si disintegro.
Rawlins intanto si era rialzato. «Non dovevate distruggerlo!» disse. «Veniva per aiutarmi.»