— Sono venuto cosi, d’impulso.
— Ti avrei preparato qualcosa!
— No, lascia stare: non mi serve nulla di particolare… Ho fatto un salto qui, ecco tutto. Manuel e…
— No, non c’e.
— Ah. E dov’e?
Clissa scrollo le spalle. — Fuori. Affari, credo. Non arrivera prima di sera, penso. Posso offrirti…
— No. No. Che bella casa avete, Clissa. Accogliente. Vera. Tu e Manuel dovete essere proprio felici qui. — Rivolse uno sguardo alle sue forme sottili. — Ed e un cosi bel posto per avere bambini. La spiaggia… il sole… gli alberi…
Un androide porto due poltroncine chiare come specchi: le schiuse e le fisso con gesto collaudato. Un altro apri la cascata che scrosciava dietro la casa. Un terzo accese una candela aromatica: odore di garofano e di cinnamomo si diffuse nel cortiletto. Un quarto offri a Krug un vassoio di dolci lattiginosi. Krug scosse la testa. Rimase in piedi, e cosi pure Clissa. Clissa pareva a disagio.
Rispose: — Siamo ancora sposini, sai. Abbiamo tempo per i bambini…
— Siete sposati da due anni, no? E abbastanza lunga, come luna di miele!
— Be’…
— Almeno chiedete il certificato. Potreste cominciare a pensare ai figli. Voglio dire, sarebbe ora che voi… sarebbe ora che io… un nipote…
Clissa serro le dita sul vassoio e glielo presento. Il suo volto era impallidito; i suoi occhi parevano due opali in una maschera di ghiaccio. Krug scosse ancora la testa.
Disse: — Comunque, tutto il lavoro di allevare i figli lo farebbero gli androidi. E se non vuoi affaticarti puoi sempre averli per ectogenesi.
— Scusami — disse lei, piano. — Ne abbiamo gia parlato altre volte. Oggi sono un po’ stanca.
— Mi spiace. — Si diede dello sciocco perche aveva insistito troppo. Il suo solito errore: la diplomazia non era il suo forte. — Non ti senti bene?
— No, solo un po’ di stanchezza — disse lei, senza convincerlo. Parve fare uno sforzo per mostrare piu volonta. Fece un gesto, e uno dei beta verso una catasta di cerchietti metallici, luccicanti, che ruotavano misteriosamente su un asse nascosto: una nuova scultura, si disse Krug. Un altro androide regolo le pareti, e subito lui e Clissa si trovarono immersi in un cono di calda luce ambrata. Una musica accarezzo l’aria, proveniente da una nube sfavillante di ripetitori che galleggiavano, minuti come polvere, nell’aria del cortile. Clissa disse, con piu enfasi del necessario: — Come va la tua torre?
— Bellissima. Bellissima. Dovresti vederla.
— Si, potrei venire la prossima settimana. Se non fa troppo freddo. E gia arrivata a 500 metri?
— Di piu, di piu. E continua a salire. Ma per me non fara mai abbastanza in fretta. Sono ansioso di vederla terminata, Clissa. Di poterla usare. L’impazienza mi fa quasi star male.
— Mi sembri un po’ teso, oggi — disse lei. — Rosso, eccitato. Qualche volta dovresti rallentare un po’ il ritmo.
— Rallentare il ritmo? E perche? Sono cosi vecchio? — Si accorse che aveva gridato. In tono piu sommesso, aggiunse: — Si, forse hai ragione. Non lo so. Ma ora e meglio che me ne vada. Non voglio portarti via altro tempo. Desideravo solo farvi una visita. —
Corse al trasmat. Dove andare, ora? Krug si sentiva febbricitante. Gli bruciavano le guance. Era alla deriva, galleggiava nell’ampio petto del mare. Una serie di coordinate trasmat gli si affacciava alla mente; frenetico, le compose sulla macchina.
Al passo successivo si trovo in una caverna immensa, stantia.
C’era un soffitto alto chilometri e chilometri, opaco per la distanza. C’erano pareti metalliche, color giallo sporco e riflettenti, che si incurvavano verso un lontano punto di convergenza, Un’illuminazione aspra, brillante e instabile. L’aria era macchiata di ombre dentate. Si sentivano rumori di costruzione:
Davanti a lui comparve un alfa: — Non ci aspettavamo il piacere di una vostra visita, signor Krug.
— Un capriccio. Sono di passaggio, tanto per dare un’occhiata. Scusa, come ti chiami?…
— Romolo Fusione, signore.
— Che forza di lavoro hai, Alfa Fusione?
— Settecento beta, signore, e novemila gamma. Gli alfa sono pochi, qui: per la maggior parte dei lavori di sorveglianza ci affidiamo ai sensori. Posso accompagnarvi, signore? Preferite vedere le vetture lunari o i moduli gioviani? O forse l’astronave?
L’astronave. L’astronave. Krug finalmente comprese dov’era: a Denver, nel principale centro nordamericano per la produzione di veicoli speciali delle Imprese Krug. In quell’enorme sotterraneo venivano fabbricati i mezzi di trasporto da impiegare in tutti quei casi in cui il trasmat si mostrava insufficiente: trattori oceanici, trasporti terrestri, alianti stratosferici, rimorchiatori pesanti, moduli batisferici per mondi ad alta pressione, propulsori ionici per viaggi interplanetari, sonde interstellari, celle gravitazionali, razzi atmosferici, minirotaie, trivelle stellari. Qui, inoltre, una squadra scelta progettava da sette anni la prima nave interstellare con equipaggio umano. Negli ultimi tempi, con la costruzione della torre, il progetto dell’astronave era stato un po’ trascurato, ricordo Krug.
— L’astronave — disse. — Si, proprio quella. Vediamola.
Un sentiero si apri tra i beta per lasciarlo passare, e Romolo Fusione lo accompagno a una piccola vettura a bolla. L’alfa si mise ai comandi; scivolarono senza rumore sul pavimento dell’impianto, superando file di veicoli semilavorati di tutti i tipi. Giunsero a una rampa che portava al piano inferiore di quella fabbrica sotterranea. Scesero. La vettura si fermo. Uscirono.
— Eccola — disse Romolo Fusione.
Krug vide uno strano veicolo di un centinaio di metri di lunghezza, con larghi governali che correvano dalla prua, sottile come un ago, fino alla poppa larga e aggressiva. La carena rossa sembrava fatta di calcestruzzo: aveva una consistenza scabra e ossuta. Non si vedeva nessuno strumento ottico. Gli eiettori di massa avevano la solita forma: finestrelle rettangolari spalancate sul fondo.
Romolo Fusione disse: — Sara pronta per i voli di prova entro tre mesi. Abbiamo previsto una capacita di accelerazione continua di 2,4 g, che, ovviamente, portera in breve tempo la nave a raggiungere una velocita prossima a quella della luce. Volete visitare l’interno?
Krug fece cenno di si. All’interno, la nave sembrava comoda e non molto diversa dalle solite navi: scorse il centro comandi, il quadrato, la sala macchine, tutte le solite cose che si potevano vedere su qualsiasi astronave per viaggi entro il sistema solare. — Puo accogliere un equipaggio di otto persone — gli disse l’alfa. — In volo, un campo di deflessione automatico circonda la nave per allontanare tutte le particelle libere nello spazio, che, naturalmente, a tali velocita avrebbero un effetto fortemente distruttivo. L’astronave e capace di autoprogrammarsi in modo completo; non occorre controllo. Ecco, questi sono i contenitori per l’equipaggio. — Romolo Fusione indico quattro doppie file di unita d’ibernazione, scure e coperte da un coperchio di vetro, fissate alla parete. Ogni unita era lunga due metri e mezzo e larga uno. — Impiegano la solita tecnologia per la sospensione delle funzioni vitali — disse. — Il sistema di controllo dell’astronave, a un segnale dell’equipaggio o di una stazione a terra inizia automaticamente a pompare nel contenitore il liquido viscoso che serve da refrigerante, cosi abbassando fino al grado desiderato la temperatura corporea dei membri dell’equipaggio. Essi quindi compiono il viaggio immersi nel fluido refrigerante, e