verso le prime file, smisero di protestare e sedettero. Melanie chiuse gli occhi, immaginando di essere sola e di danzare soltanto per se. Quando incomincio a trasmettere quell’ondeggiamento al resto del corpo, la folla urlo il suo consenso.
«E brava la mutosa!»
«Coraggio, tesoro, facci vedere le tue chicche!»
Ormai in sintonia col ritmo musicale, si fece piu ardita, e riaprendo gli occhi trasformo gli statici contorcimenti in un lento, sinuoso, impettito incedere dinanzi alla prima fila di avventori. Quelli sventolavano credigettoni a tutto spiano, ma lei, provocante, si tenne alla larga.
Un grassone coi capelli brizzolati e pesanti borse sotto gli occhi agito al suo indirizzo una credischeda da trecento.
«Ho sempre avuto voglia di tastare le tettine di una mutante!» bercio.
Melanie scosse la testa e continuo a stare fuori tiro.
L’uomo inalbero altre due schede da trecento.
«Dai, vieni qui, carina…»
Melanie aspetto finche l’offerente non arrivo a cacciar fuori milleduecento crediti. Poi, sculettando, gli si porto dinanzi, e si chino. Quello attacco subito a giocare di mani, e lei dovette fare uno sforzo violento per non sottrarsi d’istinto al fastidio e al disgusto delle sue grossolane attenzioni. Dopo un minuto, grazie al cielo, la lascio andare, infilandole i crediti sotto la cintura.
Superato il primo impatto, le cose proseguirono senza intoppi. Ogni volta che vedeva qualcuno sventolare una credischeda, imbastiva un’azione di logoramento a base di allettanti ammiccamenti: poi, quando l’offerta diveniva interessante, andava a contorcersi abbastanza vicino da consentire al cliente di godersi le sue tastate e depositare la relativa mancia.
Cacciate il contante e toccate la mutante, cacciate il contante e toccate la mutante, cacciate… Dopo un poco ando avanti meccanicamente, con quell’unico pensiero fisso in testa.
Un giovane pallido, capelli neri tagliati corti e sul volto un paio di antiquati occhiali, non la finiva piu di sporgersi oltre il bordo del palcoscenico, sollevandosi di slancio per infilarle crediti nel corsetto non appena lei gli veniva a tiro e afferrandole la prima gamba disponibile in una stretta brutale e dolorosa. La quinta volta, mentre la musica finalmente si concludeva, se lo scrollo di dosso senza tanti complimenti, e con infinito sollievo corse giu dal palco.
«Niente male», ammise Terry. «Prenditi cinque minuti di pausa, poi sotto coi tavoli. Dick vuole che ci diamo da fare a piazzare le siringhe di brina, ne ha tante che non sa piu dove metterle.»
Melanie assenti con un sorriso riconoscente, quindi si fece strada attraverso la folla in direzione della mescita.
«Brina, per favore», ordino al robobar.
«Ipo?» s’informo quello con automatica precisione.
«Si.» Estrasse dal costume le credischede, e il totale la fece rimanere senza fiato. Piu di cinquemila crediti! Non aveva mai avuto tanti soldi. Ricacciatisi i gettoni sotto la cintura afferro l’ipodermica, sollevandola per osservarla controluce. Nella tozza siringa a perdere scintillava un liquido ambrato. Melanie chiuse gli occhi, e senza esitare si conficco l’ago nella parte superiore del braccio. Il narcotico fece effetto in pochi secondi, innalzando fra lei e il resto del mondo una barriera d’ovattato benessere.
«Signorina Venere?»
«Si?» Cauta, attenta a non perdere l’equilibrio, si volse. Era il pallido giovane occhialuto, quello che pareva essersi tanto appassionato ai suoi polpacci.
«Mi chiamo Arnold», disse. «Arnold Tamlin. Ho sempre desiderato conoscere una mutante.»
Melanie si costrinse a sorridere. «Be’, eccomi qua.»
«Mi e piaciuta tanto, sa, la sua danza», dichiaro, mangiandosela con gli occhi.
Impastava le parole. Chissa quanto alcol aveva in corpo. Per non parlare del resto.
«Ma proprio tanto tanto tanto.»
«Grazie.»
Lo disse un’altra volta, poi si chino verso di lei. Melanie indietreggio andando a urtare il brinarcoide, che le diede un’occhiataccia.
«Mi scusi.»
Arnold Tamlin continuava a chinarsi. Poi sembro come piegarsi in due e ando ad accasciarsi bocconi sul pavimento, dove rimase immobile. Sopraggiunse Dick, saggio col piede il corpo di Tamlin, e non avendo ottenuto alcuna reazione si sporse sul banco di mescita.
«Buttafuori!»
Un massiccio automa grigio provvisto di chele imbottite scaturi da un alloggiamento all’estremita del bancone, afferro l’uomo privo di sensi e lo trascino verso l’uscita. L’ultima cosa che Melanie vide di Arnold Tamlin furono le scialbe suole delle sue scarpe.
Due ore dopo, Dick le annuncio che poteva considerarsi in liberta. Accogliendo la notizia con un senso di gratitudine, Mel rinunzio volentieri a servire l’ennesimo bicchiere di gin-fizz e raggiunse le ragazze che gia si trovavano dabbasso. Era talmente ubriaca di stanchezza che rilevo a malapena la presenza delle altre, finche qualcuno non l’abbraccio da dietro piazzandole a coppa due mani impazienti sopra i seni.
«Vuoi che ti aiuti a toglierti il costume?…» le propose Gwen. Melanie sentiva sul collo il respiro caldo di lei.
«No! Lasciami in pace!» reagi rabbiosa, sottraendosi di scatto a quella stretta. Nelle ultime ore ne aveva avute anche troppe di mani estranee aggrappate al suo corpo. Si strappo di dosso il costume, si rivesti in fretta, corse di sopra e usci dal bar.
In capo a venti minuti e a due fermate della metropolitana se ne stava seduta in un bagno azzurro dalle parti della Decima Avenue, a rimirare una vecchia tinozza stinta e macchiata che si riempiva d’acqua. Al suo orologio erano le due del mattino.
Lascio che il proprio corpo esausto scivolasse pian piano dentro la vasca fumante, lieta del silenzio che l’ora tarda le regalava. Si scopri certe brutte macchie sulle cosce e vicino a un capezzolo. Cinquemila crediti a fronte di sei lividi. Insomma eccola qua, l’indipendenza, penso stancamente. E una lacrima le corse giu lungo il naso e cadde senza rumore nell’acqua tiepida.
11
«Caryl, chiamami Joe Bailey a Metro D.C.», disse Andie. Se c’era qualcuno capace di rintracciare Melanie Ryton, si trattava di Bailey. E poi le doveva un favore. Anzi, diversi favori.
«E in linea sulla cinque», annuncio Caryl.
Il monitor della scrivania sfarfallo, s’illumino, mostrando la brutta faccia decisa di Bailey sorridere a Andie da dietro una ciambella.
«Ehila, rossa, qual buon vento?»
«Una ragazza scomparsa. Mutante. Diciassette anni o giu di li. Cinese-caucasica. Si chiama Melanie Ryton.»
«Bene.» Continuando a masticare una gomma, Bailey giocherello con la tastiera. «Provenienza?»
«New Jersey.»
Bailey smise di masticare.
«Jersey? Non e nel mio giro. Non di recente, per lo meno.»
«Ha raccontato ai genitori di aver trovato un lavoro qui da noi.»
«E allora?»
«Loro non ci credono. Ho pensato che tu potessi controllare piu in fretta di me.»
«Un minuto.» Si puli le mani e volse le spalle allo schermo. Dopo un po’ torno di fronte, scrollando il capo.
«Negativo. Nessuna Melanie Ryton da nessuna parte. Ho controllato le agenzie di collocamento, il carcere minorile, persino i casini.