Butto sul banco un gettone da un credito.

«Tieni il resto.»

Seduto alla sua scrivania, Stephen Jeffers si stropicciava una mano sulla bocca fissando il monitor.

«Maledizione», disse. «Questa non ci voleva. E ora?»

Sue Li Ryton, sguardo puntato sul video, si lascio andare contro lo schienale della poltroncina. Trevan, l’assistente di reparto, entro nell’ufficio e senza una parola le porse un bicchiere ambrato, quasi colmo. Lei lo ringrazio con un cenno del capo e bevve un sorso. Avvertiva il profumo dell’anice, ma, per chissa quale curioso motivo, la bevanda non le dava alcuna sensazione a livello di papille gustative. Sorbi un’altra sorsata, poi ancora un’altra.

«Ouzo», disse Trevan in tono contrito. «E tutto quel che ho.»

«Va benissimo», lo rassicuro Sue Li porgendogli il bicchiere vuoto. «Ti spiacerebbe portarmene un altro?»

Chiuso nel suo ufficio, Benjamin Cariddi non abbandono lo schermo fino al termine del notiziario. Quindi, pallido in volto, digito un numero segreto disattivando il video.

«Si?» rispose una voce tesa.

«Sono Ben.»

«Hai saputo, vero?»

«Gia. Non credevo che fosse in programma una cosa del genere.»

«Quel pazzo fottuto ha esagerato.»

«Eppure ti avevo avvertito…»

«Al diavolo te e i tuoi avvertimenti! Ormai e troppo tardi. Dovremo muoverci ancora piu in fretta.»

«Ti sei occupato di Tamlin?»

«Naturale. E tu ce l’hai ancora la ragazza?»

«In carne, ossa e occhi d’oro.»

«Allora procediamo.»

Michael correva lungo il corridoio in penombra, diretto verso l’ufficio di suo padre. In ognuno dei locali accanto a cui passava, intravvedeva un monitor baluginante in rosso, ambra, oro, sempre le medesime immagini, interminabilmente ripetute.

Rabbia e dolore ardevano nei suoi occhi senza lacrime.

L’hanno ammazzata, pensava. Maledetti, l’hanno ammazzata!

Irruppe nella stanza di Ryton.

«E adesso cosa facciamo?»

Suo padre rialzo la testa e si volse a guardarlo con aria stanca.

«In che senso?»

«Non chiediamo l’apertura di un’inchiesta?»

«Ma certo. Probabilmente Halden sta gia presentando formale domanda.»

Sorpreso, Michael guardava fisso suo padre.

«Pensavo di trovarti piu in collera.»

«Ma io sono in collera, Michael. I miei timori piu gravi stanno divenendo realta.»

«Ci sara una riunione di clan?»

«Si. Martedi, da Halden.» La voce di Ryton s’era ridotta ad un sussurro.

«Voglio esserci anch’io.»

Suo padre annui. «Benissimo. Vedi, allora, se puoi occuparti di organizzare il viaggio…»

Durante l’intervallo di colazione, Melanie sosto all’ombra della videocabina masticando un panino imbottito. Benjamin le aveva procurato un lavoro al bureau della Betajef, e lei ci si trovava piuttosto bene. Era divertente incontrare tutti quegli uomini d’affari stranieri, e la decorosa divisa color garofano che doveva indossare adesso le risultava decisamente preferibile rispetto al costume dello Star Chamber.

Sullo schermo stavano intervistando un vecchio bacucco di senatore. E cosa diceva… qualcosa a proposito dei supermutanti? Mentre Melanie guardava, la scena cambio, passando a mostrare una sala conferenze sul cui pavimento stava distesa una donna bionda, snella, dagli occhi d’oro. Melanie smise di masticare. Ma quella non era Eleanor Jacobsen? Suo padre ne parlava di continuo. Ora che stava dicendo il commentatore?

«… uccisa ieri. Il presunto assassino e stato a sua volta rinvenuto cadavere oggi a Washington, nella cella dov’era custodito. I capi delle varie comunita mutanti sparse per tutto il Paese stanno confluendo verso la sede governativa dello Stato dell’Oregon, dove verra discussa la successione alla Jacobsen…»

Morta? Non era possibile.

Sullo schermo si vedeva ora un gruppo di aggrondati cronisti televisivi in un grigioscuro abbigliamento di circostanza.

«Allen», osservo una giornalista dai capelli grigi, «e mia opinione che a seguito di questa tragedia possiamo aspettarci un incremento di attivita politica, da parte dei mutanti.»

«E molto probabile, Sarah», convenne un collega biondo. «Si nutre inoltre il timore che questo assassinio rappresenti soltanto l’inizio di un piano su vasta scala inteso alla eliminazione di tutti i mutanti che ricoprono cariche pubbliche.»

«Quei maledetti mutanti se la sono andata a cercare, ve lo dico io», borbotto, guatando lo schermo, un uomo anziano con profonde rughe attorno agli occhi.

Melanie chino svelta la testa, inforco gli occhiali scuri e si allontano dal piccolo capannello assembratosi davanti al monitor. Provava la sensazione che tutti la osservassero, che tutti le guardassero gli occhi, pero si disse che nessuno, probabilmente, l’aveva notata. Intono fra se, per tre volte di seguito, un canto rasserenante, poi torno in gran fretta al lavoro.

Le lampade installate lungo il corridoio dell’ospedale sfavillavano con impersonale gaiezza. Andie prese posto su una sedia gialla accanto alla porta del pronto soccorso, trastullandosi distrattamente con qualche ciocca ribelle sfuggita alla costrizione della crocchia. Le sembrava di non aver dormito per giorni e giorni, aveva la sensazione di essere nata, e di essere destinata a morire, dentro quel medesimo formale abito di seta grigia. L’orologio le comunico che erano le 3.30 del mattino. Poi le 3.31. Poi le 3.32. Si stropiccio gli occhi. La Valedrina offertale da un medico stava incominciando a fare effetto, e il doloroso stordimento si andava stemperando in un piacevole rimescolio.

Si lascio andare all’indietro contro la parete, chiuse gli occhi, poggio la testa, e di nuovo si trovo a ripercorrere gli avvenimenti della giornata come se stesse visionando una registrazione televisiva.

Non riusciva ancora a crederci. Si era trovata li a due passi. Forse sarebbe riuscita a salvarla. Rivide la scena e immagino se stessa nell’atto di affrontare Tamlin prima che puntasse l’arma, afferrandolo, distogliendolo, interponendo il proprio corpo sulla traiettoria del raggio mortale.

Un incubo. Spaventoso. Grottesco. Interminabile.

Quando Tamlin era stato trovato cadavere nella sua cella, Andie aveva incominciato a pensare che il mondo fosse davvero completamente impazzito. Nonostante la continua sorveglianza video, l’uomo s’era d’un tratto stretta la testa fra le mani, era crollato a terra, era morto. Le prime risultanze dell’autopsia parlavano di massiccia emorragia cerebrale. Ma ci sarebbero voluti diversi giorni per reperire la documentazione medica di Tamlin, studiare i suoi precedenti sanitari, e decidere se si trattava di un decesso per cause naturali oppure no.

«Dormi sempre, quando sei al lavoro?» domando una voce familiare.

Andie apri gli occhi. Un giovanotto barbuto, alto e muscoloso, con pantaloni militari da lavoro e una maglietta bianca decorata in giapponese, era in piedi accanto a lei.

«Skerry?»

«Per servirti.»

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