Michael annui con aria afflitta. «Be’, non e il caso di esagerare…»

«Coraggio, vieni via con me.»

Michael rimase un poco in silenzio, col bicchiere sollevato a meta. Che tentazione, pensava. Lasciar perdere per sempre casa e clan… Smetterla di preoccuparsi per i contratti governativi e le tradizioni mutanti…

Skerry si sporse verso di lui. «Diciamo che esiste un certo numero di noi che si occupa, dietro le quinte, delle questioni mutanti. Un’efficiente organizzazione sotterranea. Ma con Jeffers a Washington, e l’Unione mutante che ricomincia a digrignare i denti, sara bene scavare anche piu a fondo. Bisognera tenerlo d’occhio. E poi c’e sempre la minaccia del supermutante.»

«Be’, la cosa, in effetti, un po’ mi attrae…» ammise Michael posando il bicchiere. Perche no? pensava. Perche non partire? E lavorare con Skerry… E sottrarsi agli angusti confini del mondo mutante… Insomma, stava quasi per dire di si, quando gli venne in mente Kelly. Ripenso alla sua pelle di seta. Ai suoi occhi scintillanti nel sorriso. Al calore che la sua risata gli trasfondeva nell’animo e nelle membra. Abbandonarla? Impossibile.

Aggrottando le sopracciglia, Skerry fece una smorfia di compatimento. «Inutile che cerchi di spiegare. Lo so gia da me, non hai altro in testa che quella piccola normale che ti ha messo il fuoco nelle vene. Accidenti a te, Mike, smettila di pensare coi tuoi ormoni!»

«Mi mancherebbe terribilmente», si giustifico Michael arrossendo.

«La dimenticheresti in sei mesi», ribatte Skerry. «E incontreresti donne vere. Esotiche, eccitanti, esperte…»

«Lascia perdere, Skerry. Non e roba per me. Non ora, comunque.»

Un numero prese a lampeggiare nel cervello di Michael, cifre verdi ammiccanti dietro le pupille.

«Caso mai cambiassi idea, puoi lasciarmi un messaggio a quel codice. Pensaci, cugino. Adios.»

Tutt’intorno al tavolo l’aria fu percorsa da un tremolio. Michael sbatte le palpebre. Era rimasto solo nel separe. Sospiro, fini la bevanda, pago alla cassa automatica, usci.

Quando giunse a casa trovo fermo sul vialetto un libratore azzurro dal basso muso filante, e vide che il portoncino d’ingresso era aperto. In preda a un vago turbamento, varco la soglia guardingo.

In soggiorno gli altoparlanti diffondevano una nenia inconsueta, pulsante, quasi inaudibile. Michael si acciglio. Percepiva, aleggiante intorno, l’aroma acre di uno spinello. Le luci erano talmente basse che riusci appena a intravvedere una figura femminile seduta sul divano.

«Mel?»

Per tutta risposta, una lieve risata argentina.

«Kelly?»

«Ma no, sciocco, sono io, Jena.» Si alzo e gli ando incontro. Indossava un attillato monopezzo in plastipelle turchina che metteva in evidenza la sua corporatura snella, le lunghe gambe. Bionde chiome fluenti sulle spalle. Occhi dorati, luccicanti come monete.

«Gradisci uno spino?»

«Come hai fatto a entrare?»

«Mi hanno chiamato i tuoi genitori, sono stati loro a darmi la combinazione d’ingresso. Mi hanno chiesto di dare un’occhiata, di vedere come stavi.» Torno a sedersi, mettendosi a gambe incrociate. Indossava stivali neri coi tacchi alti. L’aria era impregnata di narcoesalazioni. Michael cominciava a provare un certo stordimento.

Lentamente, confuso, si lascio sprofondare nel divano. L’alcol bevuto in compagnia di Skerry gli stava dando alla testa. E quella nenia insistente aveva un effetto ipnotico. Noto che la tuta di Jena variava da opaco a translucida proprio in corrispondenza dei capezzoli. Una vocina, al centro dei suoi pensieri, gia si domandava che sensazione avrebbe dato insinuarsi li sotto con dita carezzevoli, percorrendo lentamente ogni centimetro di quella fulva pelle vellutata…

«I tuoi quando tornano?»

«Martedi.»

Districate le gambe, Jena gli si avvicino, porgendogli una narcocicca. Lui ne morse l’estremita, sentendosi rapidamente pervadere dalla familiare corrente impetuosa. L’attimo dopo, con la vista annebbiata, si abbandono completamente contro i cuscini. Jena gli si fece ancora piu accanto, stringendosi a lui.

«Allora, come stai?» gli domando con voce rauca.

Michael esito un istante, pensando a Kelly. Poi la ritmica pulsazione della nenia lo travolse. Al diavolo, si disse. Kelly era lontana, irraggiungibile. Jena era invece vicinissima, evidentemente pronta e vogliosa. Kelly non l’avrebbe mai saputo, penso, mentre circondava Jena con un braccio.

Morbida. Dio, com’era morbida. La tuta pareva seta. Pareva pelle. Guido la mano giu giu lungo il braccio di lei fino alla vita, per poi risalire, con avide dita protese alla ricerca di un’ancor piu cedevole morbidezza. Tento la scollatura della tuta, la trovo aperta, insinuo un dito in missione esplorativa. Quel che trovo fu l’eccitato turgore di due capezzoli. Sospirando, Jena si protese verso l’audacia di quella mano.

Michael la bacio, sentendo le labbra di lei dischiudersi e la lingua guizzare impetuosa contro la sua. Il bacio parve prolungarsi all’infinito, mentre sull’onda della nenia palpitante Jena si muoveva ritmicamente contro il suo corpo. La consapevolezza, come concentriche increspature alla superficie di un laghetto, riflui verso l’esterno, riducendosi a un sensuale turbinio cui faceva da sottofondo la pulsazione del suo sangue. Quando riapri gli occhi si scopri allungato sul divano, con Jena semidistesa sotto di lui. Gli indumenti di entrambi giacevano ammucchiati sul pavimento.

Un incalzante titillare di lingue invisibili percorreva la sua pelle cercando ogni punto segreto, ogni piu sensibile terminazione nervosa, facendolo gemere di piacere. Sollevatasi appena su un gomito, Jena l’osservava pigramente a occhi socchiusi.

«Ti piace?» sussurro, rivolgendogli un sorriso felino.

Mille immagini erotiche gli danzavano nella mente, voluttuoso mandala che l’accerchiava in un assedio fiammeggiante. Affondo le mani nei cuscini, col cuore che cominciava a martellargli.

«Jena… Dio mio…»

«A essere sincera, non sono stati i tuoi genitori a chiamarmi», gli confesso gaiamente. «Li ho cercati io da Halden, dicendomi preoccupata per il fatto di saperti solo.»

«Davvero?»

«Certo. E sapevo pure che la tua Kelly era fuori citta.»

«Ah si?» Michael cercava di concentrarsi su quello che Jena gli stava dicendo, ma era un’impresa quasi disperata.

Lei ridacchio. «Si capisce. Come facevo quindi a non pensare che tu potessi davvero sentirti solo?…» Gli insinuo una mano in mezzo alle gambe, blandendolo lentamente. Egli s’inarco per assecondare quelle carezze.

«… e vedo che avevo ragione.» Quando ritrasse la mano, il carezzevole andirivieni non si arresto. Michael avrebbe voluto dirle che non era lei, quella cui anelava il suo desiderio, ma riusci solo a mordersi un labbro per trattenersi dal dirle di continuare, di non fermarsi…

«Dimmi un po’: e capace, la tua ragazza normale, di farti questo? E capace di leggerti dentro e scoprire cio che preferisci, e come, e quando, e poi metterlo in pratica su di te, intensificato mille volte, senza neppure toccarti?»

Abbandonato a quei magici tocchi invisibili, Michael cominciava a sudare, a farsi rovente, incandescente.

«Non sapevo che fossi una duplice…» ansimo.

Si accrebbe il sorriso felino. «Esatto. Telepatica e telecinetica. I tuoi genitori hanno ragione. Saremmo proprio una bella coppia. Materiale genetico di prim’ordine.» E ridacchio, soggiungendo: «Chissa, magari potremmo addirittura mettere al mondo quel supermutante per cui son tutti cosi infervorati…»

«Ma scrutare le menti e proibito…»

«Basta che non si risappia in giro. E non credo proprio che alla prossima assemblea andrai a dire a tutti quanti come mi sono insinuata nella tua testolina per darti il piacere piu intenso e completo che tu avessi mai provato…» Ormai quasi faceva le fusa, Jena. E mani invisibili continuavano ad affaccendarsi tra le gambe di Michael, stuzzicandolo, sconvolgendolo, innalzandolo pian piano a uno stato di frenetica esaltazione.

Il mandala prese a roteare, e convulsamente sfaccettarsi in plurime immagini scintillanti di Michael e Jena appassionatamente impegnati in tumultuose gesta carnali, come un fregio vivente scaturito da un tempio indiano fatto di luce. Ora egli giaceva sopra di lei, ora sotto. Qui lei gli s’inginocchiava dinnanzi, la gli si avviticchiava come un serpente.

«Lo so, lo so bene che non t’interesso ancora», gli flauto sommessamente Jena. Scivolo giu in mezzo alle sue

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