si mise a urlare con quanto fiato aveva in gola nel sistema di diffusione sonora.

Il suo strillo era notevole: senza alcun aiuto esterno poteva attraversare il cervello come un trapano superpotente con segaossi incorporato. E amplificato…

Una cameriera lascio cadere il vassoio con i bicchieri. Teste che si voltavano. Mani che coprivano le orecchie. Interruzione di ogni conversazione. La gente fissava il palco sconcertata e inorridita.

E Richard ne approfitto per liberarsi con uno strattone e scappare via, dicendo alla guardia sbigottita, «Mi dispiace, ho sbagliato Londra.»

Raggiunse il palco e afferro la mano sinistra di Porta, tesa verso di lui. Con la mano destra la ragazza tocco l’Angelus, l’enorme portone di cattedrale. Lo tocco e lo apri.

Questa volta nessuno lascio cadere il bicchiere. Erano pietrificati, lo sguardo fisso, del tutto sopraffatti — e, momentaneamente, accecati. L’Angelus si era aperto, e da dietro il portale la luce aveva invaso la stanza di fulgore. Gli invitati si erano coperti gli occhi, poi, esitanti, avevano provato a riaprirli ed erano semplicemente rimasti attoniti a fissare. Era come se in quella sala fossero stati sparati dei fuochi d’artificio. Non fuochi da interno, quegli strani bastoncini su cui i lampi di luce scoppiettanti si arrampicano lentamente per lasciare un cattivo odore una volta spenti; e neppure quelli che si accendono in giardino, ma veri e propri fuochi da professionisti, quelli che vengono sparati cosi in alto da creare problemi agli aeroplani: quelli che chiudono una giornata a Disneyland o fanno venire l’emicrania ai vigili del fuoco ai concerti dei Pink Floyd. Era un momento di magia pura.

Il pubblico guardava, estasiato e stupito. L’unico rumore che si sentiva era il lieve, ansimante mormorio di meraviglia che la gente fa quando guarda i fuochi artificiali: il suono della soggezione.

Poi un giovane sudicio e una ragazza con il viso imbrattato di fuliggine che indossava una giacca di pelle troppo grande entrarono in quello spettacolo di luce e scomparvero. Il portale si richiuse dietro di loro. I giochi di luce erano terminati.

E tutto era di nuovo normale. Gli ospiti, le guardie, i camerieri strizzarono gli occhi, scossero le rispettive teste e, avendo avuto a che fare con qualcosa del tutto al di fuori della loro esperienza, si ritrovarono in qualche modo d’accordo, senza aver detto una parola, che in realta non era accaduto nulla.

Il quartetto d’archi riprese a suonare.

Il signor Stockton se ne ando, dopo aver salutato con un brusco cenno del capo i vari conoscenti che stavano tra lui e l’uscita.

Jessica si avvicino a Clarence. «Cosa ci fanno qui» chiese gentilmente «quegli uomini della sicurezza?»

Le guardie in questione se ne stavano in mezzo agli ospiti, e si guardavano attorno come se fossero altrettanto incerte sul da farsi.

Clarence comincio a spiegare il motivo per cui le guardie si trovavano la, ma si rese conto di non averne la benche minima idea. «Me ne occupo io» disse, sempre efficente.

Jessica annui. Diede un’occhiata alla sua festa e sorrise benignamente. Stava andando tutto decisamente bene.

Richard e Porta entrarono nella luce. Poi, all’improvviso, divento buio, e fresco, e Richard socchiuse gli occhi per l’immagine residua della luce sulla retina, che lo aveva lasciato quasi cieco: un evanescente alone verde-arancio che scompariva piano piano mentre gli occhi si abituavano all’oscurita che li circondava.

Si trovavano in un salone molto ampio, scavato nella roccia. I piloni di ferro che reggevano il soffitto, neri e coperti di ruggine, proseguivano fino nel buio piu lontano, forse per chilometri. Scaturito da un angolo non meglio identificato poteva sentire un dolce rumore di acqua corrente: una fontana, forse, o una piccola cascata. Porta gli stava ancora tenendo la mano, stretta.

In lontananza, una fiammella tremolo e si accese. Poi un’altra. E un’altra ancora. Era una miriade di candele, e verso di loro, camminando in mezzo alle candele, veniva una figura alta, vestita di un semplice abito bianco.

La figura sembrava muoversi lentamente, ma doveva invece camminare con grande rapidita, dato che dopo pochi secondi era gia al loro fianco. Aveva i capelli dorati e il viso pallido. Non era molto piu alto di Richard ma lo faceva sentire come un bambino piccolo. Non era un uomo. Non era una donna. Era molto bello.

Aveva una voce pacata, e disse, «Lady Porta, vero?»

Porta rispose «Si.»

Un sorriso gentile. Un cenno del capo verso di lei, con aria quasi umile. «E un onore incontrare finalmente te e il tuo compagno. Sono l’Angelo Islington.»

Aveva occhi grandi e limpidi. Il suo abito non era bianco come Richard aveva inizialmente pensato: sembrava intessuto di luce.

Richard non credeva agli angeli. Non aveva mai creduto agli angeli, e, dannazione, non avrebbe certo cominciato ora. Tuttavia, e molto piu facile non credere a qualcosa quando non ti sta guardando dritto in faccia, chiamandoti per nome.

«Richard Mayhew» disse. «Anche tu sei il benvenuto qui, nei miei saloni.»

Si volto. «Vi prego,» disse «seguitemi.»

Richard e Porta seguirono l’angelo. Le candele si spegnevano da sole al loro passaggio.

Il Marchese de Carabas attraverso a grandi passi l’ospedale vuoto, facendo scricchiolare vetri rotti e vecchie siringhe sotto la punta quadrata degli stivali neri da motociclista.

Attraverso una doppia porta che conduceva a una scala sul retro. Scese i gradini.

Attraverso i tunnel sotterranei dell’edificio, muovendosi con un po’ di fastidio intorno ai mucchi di immondizia in disfacimento. Attraverso le docce e i bagni, scese una vecchia scaletta di ferro che portava a una zona paludosa, quindi apri una porta di legno mezza marcia e entro.

Si guardo intorno, ispezionando con disprezzo il gattino mangiato a meta e la pila di lamette da barba.

Poi rimosse i detriti da una sedia e si mise comodamente a sedere, nella lussuosa umidita dello scantinato, e chiuse gli occhi.

Finalmente la porta della stanza venne aperta, e qualcuno entro.

Il Marchese de Carabas apri gli occhi e sbadiglio. Poi illumino mister Croup e mister Vandemar con un largo sorriso.

«Salve, ragazzi» disse de Carabas. «Pensavo fosse arrivato il momento di venire qui giu a parlarvi di persona.»

DIECI

«Bevete vino?» domando.

Richard annui.

«Ho bevuto del vino solo poche volte» disse Porta. «Mio padre. Lui a cena ci permetteva di assaggiarlo.»

L’Angelo Islington sollevo la bottiglia. Pareva una sorta di caraffa da decantazione. Richard si chiese se fosse di vetro, poiche rifrangeva e rifletteva la luce delle candele in modo molto insolito. Forse si trattava di un cristallo, o di un unico gigantesco diamante. Dava addirittura l’impressione che il vino all’interno brillasse, come fosse fatto di luce.

L’angelo tolse la parte superiore del cristallo e verso due dita del liquido in esso contenuto in un bicchiere da vino. Era vino bianco, ma di un tipo che Richard non aveva mai visto. Spargeva luce all’intorno, come i raggi del sole su una piscina.

Porta e Richard si sedettero a un tavolo di legno annerito dal tempo, su enormi sedie di legno, senza proferire parola.

«Si tratta» spiego Islington «dell’ultima bottiglia di questo vino. Uno dei tuoi antenati me ne aveva donate una dozzina.»

Porse il bicchiere a Porta, e comincio a versare altre due dita di quel vino luminoso dalla caraffa in un secondo bicchiere. Agiva con reverenza, quasi con amore, come un sacerdote che esegue un rituale.

«Si trattava di un regalo di benvenuto. Erano, oh, trenta, quarantamila anni fa. Parecchio tempo, comunque.»

Passo il vino a Richard.

«Immagino mi accuserete di sperperare qualcosa che dovrei invece tenere in gran conto» disse l’angelo. «Ma ricevo ospiti cosi di rado. E la via per giungere fin qui e molto difficile.»

«L’Angelus…» mormoro Porta.

«Voi siete arrivati qui adoperando l’Angelus, certo. Ma e una strada che ogni viaggiatore puo percorrere una sola volta.» L’angelo sollevo in alto il suo bicchiere, fissando la luce. «Bevete piano» li ammoni. «E incredibilmente forte.» Si sedette al tavolo, tra Richard e Porta. «Quando lo si assaggia» disse pensoso «e come immaginare di gustare realmente il sole dei tempi che furono.» Alzo il bicchiere. «Un brindisi: alle glorie passate.»

«Alle glorie passate» ripeterono in coro Richard e Porta. Poi, con un po’ di cautela, assaggiarono il vino, sorseggiando, non bevendo.

«E stupefacente» disse Porta.

«Davvero» concordo Richard. «Pensavo che il vino vecchio diventasse aceto se esposto all’aria.»

L’angelo scosse il capo. «Non questo. E per il tipo di vite e per il luogo in cui e cresciuta. Purtroppo tutto il vitigno e stato distrutto quando la vigna e scomparsa tra le onde.»

«E magico» disse Porta, sorseggiando la luce liquida. «Non avevo mai assaggiato niente di simile.»

«E non l’assaggerai mai piu» disse Islington. «Non e rimasto altro vino di Atlantide.»

Richard apri la bocca per dire al padrone di casa che Atlantide non e mai esistita, ma si rese conto che neppure gli angeli esistevano, e comunque la maggior parte delle cose che gli erano accadute negli ultimi giorni era impossibile, quindi richiuse la bocca e gusto un altro sorso di vino.

Lo faceva sentire felice. Lo faceva pensare a cieli piu vasti e piu azzurri di quanto avesse mai visto, con un sole dorato appeso proprio nel mezzo; tutto era piu semplice, tutto piu giovane rispetto al mondo che conosceva.

Alla loro sinistra c’era una cascata; limpide acque che scendevano veloci dai sassi per raccogliersi nello stagno scavato nella roccia. Sulla destra, tra due piloni di ferro, c’era una porta, costruita con silice liscia posta in una cornice di metallo ormai quasi nera.

«Pretendi davvero di essere un angelo?» chiese Richard. «Voglio dire, hai veramente incontrato Dio e tutto il resto?»

Islington sorrise, tollerante. «Io non pretendo nulla, Richard. Pero sono un angelo.»

«E ci fai un grande onore» disse Porta.

«No. Siete stati voi a farmi un onore ben piu grande venendo qui. Tuo padre era un brav’uomo, Porta, e per me un vero amico. La sua morte mi ha profondamente rattristato.»

«Ha detto… nel suo diario… ha detto che dovevo venire da te. Ha detto che potevo fidarmi di te.»

«Spero soltanto di essere degno di tale fiducia.» L’angelo sorseggio il suo vino. «Londra Sotto e la seconda citta di cui mi sono preso cura. La prima e affondata tra le onde, e non c’era nulla che potessi fare per evitarlo. So cosa significa il dolore, e la perdita. Ti faccio le mie condoglianze. Cosa vorresti sapere?»

Porta esito un istante. «La mia famiglia… sono stati uccisi da mister Croup e mister Vandemar. Ma — chi l’ha ordinato? Voglio… voglio sapere perche

L’angelo annui. «Molti segreti trovano il modo di arrivare fino a me» disse. Poi si rivolse a Richard. «E tu? Tu cosa vuoi, Richard Mayew?»

Richard si strinse nelle spalle. «Rivoglio la mia vita. E il mio appartamento. E il mio lavoro.»

«Questo puo accadere» disse l’angelo.

«Gia. Bene» commento Richard con tono piatto.

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