«Dubiti di me, Richard Mayhew?» chiese l’Angelo Islington. Richard lo guardo negli occhi. Si trovo a fissare occhi antichi come l’universo: occhi che avevano visto la polvere di stelle condensarsi in galassie.
Scosse il capo.
Islington gli sorrise, con dolcezza. «Non sara semplice, e tu e i tuoi compagni affronterete alcune difficolta. Ma c’e una via possibile. La chiave per risolvere entrambi i vostri problemi.» Si alzo, raggiunse un piccolo scaffale di roccia e prese una statuina, una tra le tante sui ripiani. Era una statuetta nera raffigurante un animale, fatta di vetro vulcanico. L’angelo la offri a Porta.
«Questa vi fara superare sani e salvi l’ultima parte del viaggio che vi ricondurra qui da me» disse. «Il resto spetta a voi.»
«Cosa vuole che facciamo?» domando Richard.
«I Frati Neri custodiscono una chiave, portatemela.»
«E la puoi usare per scoprire chi ha fatto uccidere la mia famiglia?» chiese Porta.
«Lo spero» rispose l’angelo.
Richard fini il suo bicchiere di vino. Sentiva che lo riscaldava, mentre gli scendeva in tutto il corpo. Aveva la strana sensazione che se avesse abbassato gli occhi a guardarsi le dita avrebbe potuto vedere il vino brillare attraverso di esse, come fossero fatte di luce…
«Buona fortuna» sussurro l’Angelo Islington.
Si udi un rumore impetuoso, come di vento che geme attraversando una foresta distrutta, o come il battito di ali possenti.
Richard e Porta erano seduti sul pavimento in una sala del British Museum a fissare il dipinto intagliato di un angelo sul portale di una cattedrale.
La stanza era buia e vuota.
La festa era finita da molto tempo. Fuori, il cielo cominciava a rischiarare.
Richard si alzo, poi si chino per aiutare Porta ad alzarsi. «I Frati Neri, Blackfriars?» chiese.
Porta annui.
«Persone o posto?» chiese ancora.
«Persone.»
Richard si diresse verso l’Angelus e con un dito ne sfioro l’abito dipinto. «Pensi possa farlo davvero? Ridarmi la mia vita?»
«Non ho mai sentito che sia capitata una cosa del genere, ma non credo che ci avrebbe mentito. E un angelo.»
Porta apri la mano e osservo la statua della Bestia.
«Mio padre ne aveva una uguale» disse.
La ficco bene in fondo a una delle tasche della giacca di pelle marrone.
«Be’,» fece Richard «di certo non riporteremo indietro la chiave se ce ne stiamo qui a cincischiare, giusto?»
Si avviarono per i lunghi corridoi.
«Allora, cosa sai di questa chiave?» chiese Richard.
«Nulla» rispose Porta. Avevano raggiunto l’ingresso principale del museo. «Ho sentito parlare dei Frati Neri, ma in realta non ho mai avuto niente a che fare con loro.»
Tocco una porta a vetri, che si apri immediatamente.
«Un gruppo di monaci…» disse Richard, soprappensiero. «Scommetto che basta dire che e per un angelo, per un angelo vero, perche ci diano la sacra chiave, oltre ad aggiungere l’apriscatole magico e lo stupefacente cavatappi che fischia come regalo extra.» Comincio a ridere.
«Sei di buon umore» commento Porta.
Richard annui convinto. «Sto per andare a casa. Tutto tornera di nuovo normale. Di nuovo noioso. Di nuovo meraviglioso.»
Dopo un’occhiata ai gradini di pietra del British Museum, Richard decise che erano stati creati apposta per essere discesi danzando da Fred Astaire e Ginger Rogers. E visto che nessuno dei due si trovava nei paraggi, comincio a ballare scendendo la scalinata, in quella che ingenuamente immaginava essere una superlativa interpretazione di Fred Astaire, mentre canticchiava qualcosa a meta tra
Porta rimase ferma in cima alle scale, fissandolo inorridita. Poi fu preda di un’inarrestabile ridarella.
Lui alzo lo sguardo verso di lei e sollevo un immaginario cilindro di seta bianca nella sua direzione.
«Sciocco» disse Porta sorridendo.
Per tutta risposta, Richard le afferro la mano e continuo a danzare su e giu per gli scalini. Porta esito un attimo, quindi anche lei si mise a ballare. E ballava decisamente molto meglio di Richard.
In fondo alla scalinata ruzzolarono, senza fiato, esausti e ridacchianti, uno nelle braccia dell’altra.
Il mondo di Richard girava vorticosamente.
«Andiamo a cercare la nostra guardia del corpo» disse Porta.
E si allontanarono insieme, sul marciapiede, incespicando di quando in quando.
«Cosa vuoi?» domando mister Croup.
«Cosa vogliamo tutti?» domando il Marchese de Carabas.
«Cose morte» rispose mister Vandemar. «Altri denti.»
«Pensavo che forse avremmo potuto trovare un accordo» disse il Marchese.
Mister Croup comincio a ridere. Il suono era quello di una lavagna fatta strisciare contro un muro di unghie spezzate. «Oh, messer Marchese. Penso di poter baldanzosamente affermare, senza tema di smentita da parte di alcuno dei presenti, che hai perso il bene di quell’intelletto che avevi la reputazione di avere. Se mi scusi la volgarita, direi che sei completamente fuori di testa.»
«Una parola,» disse mister Vandemar, che ora stava in piedi accanto alla sedia del Marchese, «e il collo sara fuori dalla testa prima che possiate dire Jack Ketch.»
Il Marchese si soffio con forza sulle unghie e se le lucido sul risvolto del trench. «Ho sempre ritenuto» disse in confidenza «che la violenza fosse l’ultimo rifugio degli incompetenti, e le vuote minacce il santuario finale degli inetti senza speranza.»
Mister Croup lo guardava, furioso. «Che ci sei venuto a fare, qui?» sibilo.
Il Marchese de Carabas si allungo come un grosso felino: una lince, forse, o una gigantesca pantera nera. Al termine dell’allungamento era in piedi, le mani affondate nelle tasche.
«Mi e dato di capire» disse con tono colloquiale «che tu, mister Croup, sei un collezionista di statuine della dinastia Tang.»
«Come fai a saperlo?»
«La gente mi racconta delle cose. Sono un tipo affabile.» Il sorriso del Marchese era puro, sereno, schietto: il sorriso di un uomo che ti sta vendendo per nuova un’auto usata.
«Anche se lo fossi…» comincio mister Croup.
«Se tu lo fossi,» interloqui il Marchese de Carabas «potresti essere interessato a questa.»
Estrasse di tasca una mano e ne mostro il contenuto a mister Croup.
Fino a poco prima, quella sera, si trovava in un contenitore di vetro nella cassaforte di una delle principali banche d’affari di Londra. Era nota come ’Lo spirito d’autunno (figurina tombale)’. Era alta circa venti centimetri: un pezzo di porcellana vetriata. Era stata modellata, dipinta e cotta mentre l’Europa viveva i secoli bui dell’alto Medioevo.
Mister Croup emise involontariamente un sibilo e allungo la mano verso la statuina. Il Marchese la mise fuori portata, stringendosela al petto.
«Cosa ci impedisce di prenderla? E di spargere pezzetti di te in tutto il Mondo di Sotto?» chiese mister Croup. «Non abbiamo mai avuto occasione di smembrare un marchese.»
«L’abbiamo avuta» intervenne mister Vandemar. «A York. Nel quattordicesimo secolo. Pioveva.»
«Non era un marchese» disse mister Croup. «Era il conte di Exeter.»
«E marchese di Westmorland.» Mister Vandemar pareva alquanto soddisfatto di se.
Mister Croup tiro su col naso. «Cosa ci impedisce di ridurre anche te in tanti pezzi come il marchese di Westmorland?» chiese.
De Carabas tolse di tasca anche l’altra mano. Teneva stretto un piccolo martello. Lancio il martello in aria, come un barista in un video sulla preparazione dei cocktail, e lo afferro per il manico, con la parte in ferro appoggiata sulla figurina di porcellana. «Oh, per favore» disse. «Basta con i trucchetti cretini. Penso che mi sentirei meglio se rimaneste tutti e due laggiu.»
Mister Vandemar lancio un’occhiata a mister Croup, che fece un cenno di assenso quasi impercettibile. L’aria tremo, e mister Vandemar era accanto a mister Croup.
Mister Croup sorrise come un teschio. «In effetti e vero che sono noto per avere occasionalmente acquistato qualche pezzo Tang. Quello e in vendita?»
«Nel Mondo di Sotto non siamo molto portati per la compravendita, mister Croup. Baratto. Scambio. Ecco quello che cerchiamo. Comunque si, certo, questo desiderabile oggettino e sicuramente qui per essere arraffato.»
«Di’ il tuo prezzo» disse mister Croup.
Il Marchese fece un sospiro di sollievo. «Primo, tre risposte a tre domande» disse.
Croup annui. «Reciproco. Anche noi otteniamo tre risposte.»
«D’accordo» disse il Marchese. «Secondo, un salvacondotto per andarmene da qui. E accettate di darmi almeno un’ora di vantaggio.»
Croup annui con foga. «Concesso. Fai la tua prima domanda.» Il suo sguardo era fisso sulla statuina.
«Prima domanda: per chi lavorate?»
«Oh, questa e facile» disse mister Croup. «E una risposta semplice. Lavoriamo per il nostro principale, che desidera restare anonimo.»
«Hmm. Perche avete ucciso la famiglia di Porta?»
«Ordini del principale» rispose mister Croup, il cui sorriso diventava piu volpino di minuto in minuto.
«Perche non avete ucciso Porta quando ne avete avuto l’occasione?»
Prima che mister Croup potesse rispondere, mister Vandemar disse, «Dobbiamo tenerla in vita. E l’unica che puo aprire la porta.»
Mister Croup lancio un’occhiata furiosa al suo socio. «Bravo!» disse. «Perche non gli racconta tutto?»
«Volevo partecipare anch’io» mormoro mister Vandemar.
«Bene» disse mister Croup. «Hai avuto le tue tre risposte, per quello che ti possono servire. La mia prima domanda e: perche la stai proteggendo?»
«Suo padre mi ha salvato la vita» rispose il Marchese. «Non gli ho mai ripagato il debito. E io preferisco avere crediti, piuttosto.»
«Ho una domanda» intervenne mister Vandemar.
«Anch’io, mister Vandemar. Quello del Mondo di Sopra, Richard Mayhew, perche viaggia con la ragazza? Perche glielo permette?»
«E solo sentimentalismo, da parte sua» spiego il Marchese de Carabas.
«Adesso io» disse mister Vandemar. «A che numero sto pensando?»