— Si. Il prossimo sabotaggio che stanno preparando gli Invasori, sempre che si tratti davvero di loro, cosa di cui non mi sento molto sicura. Ma la lingua stessa… e… strana.

— In che modo?

— E piccola — cerco di spiegare lei. — Compatta. Unita… questo non significa nulla per te? In una lingua, voglio dire?

— Concisione? — chiese il dottor T’mwarba. — Ho sempre pensato che fosse un’ottima qualita, per una lingua parlata.

— Si — e la sibilante affermazione si trasformo in un respiro affrettato. — Mocky, ho paura!

— E perche?

— Perche sono sul punto di tentare una cosa, e non so se ne saro capace.

— Se il tuo tentativo e meritevole, non dovresti avere paura. Di che cosa si tratta?

— L’ho deciso quando mi trovavo ancora nel bar, ma ho pensato che prima avrei dovuto parlarne con qualcuno. E questo voleva dire che l’unica persona alla quale potevo rivolgermi eri tu.

— Avanti.

— Voglio risolvere da sola questa faccenda di Babel-17.

T’mwarba inclino il capo, senza dire nulla.

— Devo farlo, per trovare chi parla questa lingua, e sapere da dove proviene, e che cosa sta cercando di dire.

Lui sposto la sua testa dall’altra parte.

— Per quale motivo? Be’, molti libri di testo dicono che una lingua e un meccanismo per l’espressione dei pensieri. Ma la lingua stessa e pensiero. Il pensiero costituisce l’informazione e la forma che essa si sceglie. La forma concretizza una lingua, e la forma di Babel-17 e… sorprendente.

— Che cosa ti sorprende in questa lingua?

— Mocky, quando si impara un’altra lingua, si impara il modo in cui un altro popolo vede il proprio mondo, l’universo intero.

Lui annui.

— E quando io guardo questa lingua, incomincio a vedere… troppo.

— Mi sembra molto poetico.

Rydra scoppio a ridere. — Questo lo dici sempre per riportarmi con i piedi sulla terra.

— Il che non devo fare troppo spesso. I buoni poeti tendono a essere pratici, e aborrono il misticismo. — T’mwarba fece una pausa. — Va bene. Ma ancora non capisco come conti di risolvere il mistero di Babel-17.

— Vuoi davvero saperlo? — Le mani di Rydra scivolarono sulle ginocchia. — Acquistero un’astronave, mettero insieme un equipaggio e mi rechero sulla scena del prossimo incidente.

— Questo va bene, hai la licenza per la guida interstellare. Ma puoi affrontare la spesa?

— Il governo mi sovvenzionera.

— Oh, perfetto. Ma perche vuoi farlo?

— Conosco almeno una mezza dozzina di lingue degli Invasori. Babel-17 non ne fa minimamente parte. Non e neppure una delle lingue dell’Alleanza. Voglio trovare chi la parla… soprattutto perche voglio trovare chi, o che cosa, nell’universo pensa secondo questi schemi. Pensi che ci riusciro, Mocky?

— Bevi un’altra tazza di caffe — le consiglio lui, e risospinse verso di lei la caffettiera. — Questa e una buona domanda. Ci sono molti fattori da considerare. Tu non sei certo la persona piu stabile di questo mondo, ma possiedi quello speciale tipo di psicologia adatto al controllo di una ciurma spaziale. I tuoi documenti, se ben ricordo, sono stati il risultato di quel tuo… ehm, bizzarro matrimonio, un paio di anni fa. Ma finora ti sono serviti soltanto con equipaggi automatici. Per un viaggio di questo tipo, non dovresti ricorrere a personale dei Trasporti?

Lei annui. — Sia mio padre sia mia madre appartenevano ai Trasporti. Lo sono stata anch’io fino all’embargo.

— E vero. Supponi che io ti dica: “Si, penso che ce la farai”. Cosa faresti?

— Ti risponderei “grazie”, e partirei domani.

— E ora supponi che io ti dica che vorrei una settimana di tempo per esaminare i tuoi psico-indici con un microscopio, mentre tu te ne staresti buona buona nel mio appartamento a riposare, senza avere contatti con nessuno: cosa faresti?

— Ti direi “grazie”, e partirei domani.

T’mwarba sogghigno. — Allora perche mi fai perdere tempo?

— Perche… — Rydra alzo le spalle. — Perche domani saro occupata e non avro il tempo per salutarti.

— Oh! — La smorfia si sciolse subito in un sorriso.

E T’mwarba ricordo per l’ennesima volta l’episodio della gracula indiana.

Rydra, tredicenne, magra e sgraziata, era entrata di corsa attraverso la tripla porta della serra, con quella nuova cosa chiamata sorriso che ora aveva imparato a far nascere sulle labbra. E lui si sentiva ogni volta paternamente orgoglioso di quel gracile corpicino accanto al suo, che gli era stato affidato solo sei mesi prima e che ora ritornava a essere quello di una ragazzina allegra. Una ragazzina dai capelli ancora corti e dagli scoppi di ira immotivati, ma piena di curiosita e di carezze per i due porcellini d’India che aveva soprannominato Zolletta e Zollettino. Il sole penetrava nella sala dal soffitto trasparente, e attraverso le larghe pareti di vetro si poteva ammirare il giardino. Lei gli aveva chiesto:

— Quello che uccello e, Mocky?

E lui, sorridendo alla bambina chiazzata di sole nei suoi pantaloncini bianchi e nell’inutile maglietta, aveva risposto: — E una gracula. Prova a dirle ciao. Ti rispondera.

Il grande occhio nero era morto come un chicco d’uva, con appena una punta di spillo di luce nell’angolo della cornea. Le piume scintillavano al sole e il becco aguzzo come un ago riposava semiaperto sulla lingua. Rydra aveva inclinato il capo per fissare l’uccello negli occhi, e aveva sussurrato: — Ciao?

Il dottor T’mwarba lo aveva addestrato per due settimane, nutrendolo con vermi freschi, per fare una sorpresa a Rydra. L’uccello si era chinato a fissarla dalla sua spalla sinistra e aveva gracchiato: — Ciao, Rydra, fuori e una bella giornata e io sono felice.

Un urlo.

E del tutto inaspettato.

Lui aveva pensato che la bambina si sarebbe messa a ridere. Ma il viso di Rydra era sconvolto, e la bambina agitava le braccia contro qualcosa che non c’era, vacillando all’indietro finche non era caduta. Lui era subito corso a sollevare la piccola e isterica figura dal pavimento, mentre la voce gracchiante dell’uccello sovrastava ancora i suoi lamenti che si spegnevano: — fuori e una bella giornata e io sono felice.

T’mwarba aveva gia assistito prima ad acuti attacchi di quel genere, ma questo lo aveva scosso come nessun altro. Quando lei era stata in grado di parlare, piu tardi, aveva detto solamente, fra le labbra ancora bianche: — Mi ha fatto paura!

E la cosa sarebbe finita li, se tre giorni dopo quel dannato uccello non si fosse liberato per andare a impigliarsi nell’antenna a rete che lui e Rydra avevano installato insieme nel giardino per consentire alla bambina di ascoltare le comunicazioni iperstatiche delle astronavi da trasporto in quel settore della galassia. L’uccello si era impigliato con un’ala e una zampa nelle maglie, e dibattendosi aveva cominciato a urtare contro un cavo elettrico scoperto, facendo schizzare scintille visibili anche alla luce del giorno. — Dobbiamo tirarlo fuori! — aveva gridato Rydra. Teneva le dita premute contro la bocca e i suoi occhi non lasciavano per un solo istante la gracula, e lui l’aveva vista impallidire sotto l’abbronzatura. — Ora me ne occupo io, tesoro — le aveva detto lui. — Tu cerca di non pensarci.

— Ma se colpisce ancora un paio di volte quel filo, morira!

Lui l’aveva sentita appena, perche era corso dentro a cercare una scala. Al suo ritorno, si era immobilizzato. Rydra si era arrampicata su per l’alberello di catalpa fino all’altezza del filo. Quindici secondi piu tardi lui la osservava sporgersi di lato, ritirare la mano, tentare di nuovo di raggiungere le nere penne scarruffate. Lui sapeva maledettamente bene che Rydra non aveva nessuna paura dei cavi scoperti; in pratica li aveva installati da sola. Un’altra pioggia di scintille. Allora Rydra si sporse con maggiore decisione. Un minuto dopo stava correndo attraverso il cortile, stringendo l’uccello arruffato all’estremita di un braccino teso. Il suo viso sembrava essere stato immerso in un bagno di calce.

Вы читаете Babel-17
Добавить отзыв
ВСЕ ОТЗЫВЫ О КНИГЕ В ИЗБРАННОЕ

0

Вы можете отметить интересные вам фрагменты текста, которые будут доступны по уникальной ссылке в адресной строке браузера.

Отметить Добавить цитату
×