trattasse di un’applicazione della tattica che diceva: «Se non puoi tenerli alla larga, attirali all’interno e distruggili».

Ma quel pensiero scomparve travolto dal vortice di gioia che si faceva sempre piu intensa via via che si avvicinavano alla superficie lunare. Intensa… comunque Trevize riusci ad aggrapparsi all’attimo di illuminazione che l’aveva colpito poco prima che iniziassero il loro tuffo verso il satellite della Terra.

Apparentemente, Trevize non aveva alcun dubbio riguardo la destinazione della nave. Adesso stavano sfiorando la sommita delle alture ondulate, e Trevize, al computer, non sentiva il bisogno di fare nulla. Era come se lui ed il computer venissero guidati, e Trevize provava un’immensa euforia rendendosi conto che il peso delle responsabilita ormai non gravasse piu sulle sue spalle.

Procedevano paralleli al terreno, verso un dirupo che si ergeva minaccioso come una barriera contro di loro; una barriera che scintillava debolmente nel riflesso terrestre e nel raggio luminoso della “Far Star”. Il pericolo di una collisione imminente non suscito alcuna reazione in Trevize, e non provo la minima sorpresa quando si accorse che il tratto di dirupo davanti a loro si fosse spostato e che si fosse aperto un corridoio illuminato artificialmente.

La nave rallento, insinuandosi senza problemi nell’apertura, Proseguendo… L’apertura si richiuse alle loro spalle, e di fronte a loro ne apparve un’altra. La nave penetro nel secondo passaggio, sbucando in una sala gigantesca che sembrava l’interno cavo di una montagna.

La nave si fermo, e tutti si affrettarono verso la camera stagna ed il portello. Nessuno, nemmeno Trevize, penso di controllare se all’esterno ci fosse un’atmosfera respirabile… od anche semplicemente un’atmosfera.

L’aria c’era, comunque. Respirabilissima, piacevole. Si guardarono intorno soddisfatti, come gente che fosse tornata a casa, e solo dopo un po’ notarono la presenza di un uomo che aspettava educatamente che si avvicinassero.

Era alto, aveva un’espressione grave. I suoi capelli erano color bronzo, corti; gli zigomi ampi, gli occhi luminosi. Ed i suoi vestiti ricordavano i costumi che si vedevano nei libri di storia antica. Anche se sembrava forte e vigoroso aveva chissa come un’aria vaga, indefinibile di stanchezza.

La prima a reagire fu Fallom. Lanciando un grido, si precipito verso l’uomo, agitando le braccia, strillando: — Jemby! Jemby!

Non rallento la sua corsa, e quando fu abbastanza vicina l’uomo si chino e la sollevo, e lei gli getto le braccia al collo singhiozzando, continuando ad esclamare: — Jemby!

Gli altri avanzarono dimostrando un maggior controllo, e Trevize disse scandendo bene le parole (chissa se quell’uomo capiva il Galattico?): — Le nostre scuse, signore. Questa bambina ha perduto il suo protettore e lo cerca disperatamente. Non so perche abbia pensato a voi, dal momento che sta cercando un robot, un essere mec…

L’uomo parlo per la prima volta: la sua voce era pratica, piu che melodiosa, e conteneva qualche traccia di arcaismo; l’uomo pero parlava il Galattico con estrema disinvoltura.

— Vi accolgo in amicizia — disse, ed il suo era senza dubbio un atteggiamento amichevole, malgrado l’espressione di perenne solennita della faccia. — E questa bambina forse e piu perspicace di quel che crediate. perche io sono un robot. Il mio nome e Daneel Olivaw[7].

21. La ricerca termina

32

Trevize si ritrovo in uno stato di incredulita assoluta. Si era riavuto dalla strana euforia provata poco prima e poco dopo l’atterraggio… un’euforia impostagli dal sedicente robot che aveva di fronte, forse, riflette Trevize.

Era ancora a bocca aperta, perfettamente lucido, e smarrito, stupefatto. In preda allo stupore, aveva parlato, comprendendo a stento quello che dicesse e quello che sentisse, cercando di trovare in quell’uomo, nel suo aspetto, nel suo comportamento, un indizio rivelatore della sua identita robotica.

Ecco perche Bliss aveva individuato qualcosa che non era ne umana ne robotica, bensi, per usare l’espressione di Pelorat, “qualcosa di nuovo”. Ed era stato un bene, naturalmente, perche a quel punto i pensieri di Trevize avevano preso una rotta diversa, piu chiara…

Bliss e Fallom si erano allontanate per esplorare il posto. La proposta era stata di Bliss, ma Trevize aveva avuto l’impressione che fosse nata dopo una brevissima occhiata tra Bliss e Daneel. Quando Fallom si era rifiutata di muoversi chiedendo di restare li, accanto all’essere che si ostinava a chiamare Jemby, una parola seria di Daneel ed un gesto della mano erano bastate a vincere immediatamente la resistenza della bambina. Trevize e Pelorat erano rimasti.

— Non appartengono alla Fondazione, signori — disse il robot, come se quello spiegasse tutto. — Una e Gaia, ed una e una Spaziale.

Trevize resto in silenzio mentre venivano accompagnati verso alcune sedie di linea estremamente semplice disposte sotto un albero. Ad un cenno del robot si accomodarono, dopo di che anche il robot si sedette, con movimenti del tutto umani.

— Sei davvero un robot? — chiese allora Trevize.

— Si, signore.

Pelorat era raggiante di gioia. — Nelle vecchie leggende ci sono dei riferimenti ad un robot chiamato Daneel: sei stato chiamato cosi in suo onore?

— Sono quel robot — rispose Daneel. — Non e una leggenda.

— Oh, no — fece Pelorat. — Per essere quel robot, dovresti avere migliaia di anni d’eta.

— Ventimila — disse Daneel senza scomporsi.

Pelorat sembro sconcertato e si volto verso Trevize, che con una sfumatura di rabbia disse: — Se sei un robot, ti ordino di dire la verita.

— Non e necessario che mi si ordini di dire la verita, signore, io devo dirla. Dunque, signore, siete di fronte a tre possibilita… Sono un uomo e sto mentendo; sono un robot programmato in modo tale da credere di avere ventimila anni, ma non ho quell’eta; oppure, sono un robot che abbia davvero ventimila anni… A voi decidere l’alternativa da accettare.

— Forse il problema si risolvera da solo continuando a parlare — fece Trevize asciutto. — Del resto, si stenta a credere di essere all’interno della Luna. La luce… — E mentre lo diceva guardo in alto, perche la luce era identica a quella del sole, anche se non c’era alcun sole in cielo, anche se non c’era neppure un cielo ben definito… — e la gravita non sembrano credibili. Questo mondo dovrebbe avere una gravita superficiale inferiore a 0,2 g.

— Normalmente la gravita superficiale dovrebbe essere di 0,16 g, per la precisione, signore. Comunque, viene aumentata dalle stesse forze che, sulla vostra nave, vi danno la sensazione di una gravita normale, ed in caduta libera ed in fase di accelerazione. Anche altri bisogni energetici, compresa la luce, vengono fronteggiati gravitazionalmente, anche se quando e comodo usiamo l’energia solare. Ai nostri bisogni materiali provvede il terreno lunare, esclusi gli elementi leggeri… l’idrogeno, il carbonio, l’azoto… che la Luna non possiede. Per procurarceli, catturiamo ogni tanto una cometa: ne basta una al secolo per rifornirci adeguatamente.

— Dunque la Terra e inutilizzabile in questo senso.

— Purtroppo, si, signore. I nostri cervelli positronici sono sensibili alla radioattivita, come le proteine umane.

— Usi il plurale… e questa residenza che abbiamo di fronte sembra molto grande, magnifica, elaborata… almeno vista da qui. Allora ci sono altri esseri sulla Luna? Esseri umani? Robot?

— Si, signore. Sulla Luna abbiamo un’ecologia completa e un’ampia e complessa cavita che ospita questa ecologia. Gli esseri intelligenti, comunque, sono tutti robot, piu o meno come me. Ma non ne vedrete neppure uno. E questa residenza, e usata solo da me ed e identica ad una in cui vivevo ventimila anni fa.

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