Trevize continuava a cercare corridoi che s’impennassero bruscamente in salita, e studiava i soffitti delle sale in cerca di una botola. Niente da fare… La mente spaventata rimaneva la loro unica possibilita di salvezza.
Procedevano immersi nel silenzio, interrotto solo dal rumore dei loro passi; immersi nell’oscurita, se si eccettuava il chiarore circoscritto attorno a loro; procedevano circondati dalla morte, unici esseri viventi. Di tanto in tanto, scorgevano la sagoma indistinta di un robot, seduto od in piedi nell’ombra, comunque immobile. Una volta videro un robot steso su un fianco, braccia e gambe in posizioni goffe e strane. Quando si era interrotta l’energia doveva aver perso l’equilibrio, cadendo, penso, Trevize. Bander, vivo o morto, non poteva intervenire sulla forza di gravita. Forse in tutta la smisurata tenuta di Bander i robot offrivano uno spettacolo simile, e sarebbe stato proprio quello il particolare notato in breve tempo dalle tenute confinanti.
O forse no, riflette d’un tratto Trevize. I Solariani sapevano quando uno di loro stesse per morire di vecchiaia e di decadimento fisico. In questo caso, il mondo sarebbe stato in preallarme, pronto all’evenienza. Bander, pero, era morto all’improvviso, nel fiore degli anni, senza che gli altri potessero prevedere la sua scomparsa: dunque, nessuno poteva saperlo, nessuno poteva aspettarselo. Nessuno avrebbe tenuto gli occhi aperti per rilevare la cessazione dell’energia nella sua tenuta…
Ma, no (Trevize respinse quell’ondata di ottimismo per non generare pericolosi eccessi di fiducia). I Solariani avrebbero notato l’interruzione di ogni attivita nella tenuta di Bander e sarebbero intervenuti immediatamente: erano troppo interessati alla successione per lasciare via libera alla morte.
Sconsolato, Pelorat borbotto: — La ventilazione non e piu in funzione. In un posto del genere, sotterraneo, la ventilazione e fondamentale, ed era Bander a fornire l’energia: adesso si e bloccato tutto.
— Non importa, Janov — disse Trevize. — In questo labirinto sotterraneo disponiamo di tanta aria da resistere per anni.
— Comunque, siamo in un ambiente chiuso. Psicologicamente non e salutare…
— Per favore, Janov, niente crisi di claustrofobia… Bliss, stiamo avvicinandoci?
— Siamo molto vicini, Trevize — rispose lei. — La sensazione e piu intensa, e credo di avere individuato con precisione la direzione da seguire.
Bliss avanzava piuttosto decisa, adesso, con esitazioni sempre minori quando si trattava di stabilire il percorso piu adatto.
— La! La! — annuncio. — E molto forte!
Trevize osservo asciutto: — Ora la sento anch’io.
Tutti e tre si arrestarono, trattenendo il respiro. Si udivano dei gemiti, in effetti, dei gemiti spezzati ogni tanto da singhiozzi.
Entrarono in una sala e, mentre le luci si accendevano, videro che a differenza delle stanze incontrate finora quest’ultima era arredata con profusione di mobili e colori.
Al centro c’era un robot, leggermente chino, le braccia tese in quello che sembrava un gesto affettuoso… un robot del tutto immobile, naturalmente.
Dietro il robot ci fu uno svolazzare di indumenti… Poi un occhio terrorizzato fece capolino su un lato, ed i singhiozzi ricominciarono.
Trevize si precipito dietro il robot, e dal lato opposto guizzo via urlando una figuretta. Incespico, cadde a terra, e rimase li, coprendosi gli occhi, scalciando in tutte le direzioni quasi volesse tenere a distanza chissa quale minaccia, ed urlando… urlando a piu non posso…
— E un
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Trevize si ritrasse, perplesso. Cosa ci faceva li un bambino? Bander si era vantato tanto della propria solitudine assoluta, l’aveva ribadita con tale insistenza!
Pelorat, meno propenso ad affidarsi ad un ragionamento rigoroso di fronte ad un evento oscuro, intui subito la soluzione e disse: — E il suo successore, immagino!
— Il figlio di Bander — annui Bliss. — Ma mi sembra troppo giovane per essere il suo successore: i Solariani dovranno trovarne uno adatto altrove.
Stava osservando il bambino con una dolcezza ipnotica, e lentamente il piagnucolio si attenuo. Il bambino apri gli occhi e guardo Bliss. Le sue grida adesso si erano ridotte a qualche lieve gemito.
Bliss a sua volta stava intonando qualcosa… suoni carezzevoli, parole spezzate che di per se stesse non significavano nulla, ma che servivano a rafforzare l’effetto lenitivo dei suoi pensieri. Sembrava quasi che stesse tastando la mente sconosciuta del bambino cercando di portare un po’ di ordine in quello sconvolgimento interiore.
Lentamente, senza staccare lo sguardo da Bliss, il bambino si alzo, vacillo un istante, quindi si lancio verso il robot silenzioso, abbracciando una sua gamba metallica, cercando avidamente la sicurezza che quel semplice contatto doveva trasmettergli.
Trevize disse: — Senza dubbio, questo robot e… la sua bambinaia, od il suo custode. Senza dubbio, i Solariani non si occupano dei loro simili… anche se si tratta di genitore e figlio.
— E senza dubbio questo bambino e ermafrodita — aggiunse Pelorat.
— Per forza — disse Trevize.
Bliss, tuttora concentrata sul piccolo Solariano, gli si stava avvicinando adagio, le mani alzate in parte, i palmi rivolti verso di se, quasi ad evidenziare che non avesse intenzioni di prenderlo. Il bambino la osservava in silenzio, aggrappato sempre alla gamba del robot.
Bliss mormoro: — Su, piccolo… E tutto a posto, piccolo… sei bravo, dolce, tranquillo, piccolo… al sicuro, piccolo… al sicuro.
Si interruppe e, senza voltarsi, fece sottovoce: — Pel, parlagli nella sua lingua. Digli che siamo robot venuti a prenderci cura di lui perche e cessata l’energia.
— Robot! — esclamo Pelorat scioccato.
— Dobbiamo presentarci come robot: non ha paura dei robot, e non ha mai visto un essere umano, anzi forse non puo nemmeno concepirne l’esistenza.
Pelorat disse: — Non so se sono in grado di esprimere certi concetti. Non so quale sia l’equivalente in lingua arcaica di “robot”.
— Allora, di’ “robot”, Pel. Se non funziona, di’ “cosa di ferro”: cerca di parlargli come puoi.
Lentamente, una parola alla volta, Pelorat parlo in arcaico. Il bambino lo fisso corrugando la fronte, quasi stesse compiendo uno sforzo per capire.
Trevize intervenne: — Visto che ci sei, forse potresti chiedergli subito come si faccia ad uscire di qui.
— No — fece Bliss. — Non ancora: prima la fiducia, poi le informazioni.
Il bambino, guardando Pelorat, lascio andare lentamente la gamba del robot e parlo con una vocetta acuta.
— Parla troppo in fretta per me — si lagno Pelorat.
— Chiedigli di ripetere piu lentamente — disse Bliss. — Sto facendo del mio meglio per calmarlo ed allontanare le sue paure.
Pelorat, ascoltando di nuovo, disse: — Credo che stia chiedendo perche Jemby si sia fermato… Jemby deve essere il robot.
— Devi esserne certo, Pel. Chiedi.
Pelorat parlo, ascolto, poi: — Si, Jemby e il robot. Il bambino si chiama Fallom.
— Bene! — Bliss scocco un sorriso radioso al bambino, punto il dito nella sua direzione e disse: — Fallom. Bravo Fallom. Fallom e bravo e coraggioso. — Quindi si poso una mano sul petto. — Bliss.
Il bambino sorrise. Era molto carino quando sorrideva. — Bliss — disse, facendo sibilare la “s” in modo non proprio perfetto.
Trevize disse: — Bliss, non puoi attivare il robot? Forse puo dirci quello che ci preme sapere. Pelorat e in grado di parlargli con la stessa facilita con cui riesca a parlare al bambino.
— No — rispose Bliss. — Sarebbe un errore. Il compito primario del robot e proteggere il bambino. Una