«La mente di Marlene sara al sicuro. Tanto per cominciare, anche se ho fiducia in Marlene e credo che non ci siano rischi, faro il possibile per ridurli al minimo, per amor tuo. Innanzitutto, non la lasceremo uscire per un po’. Posso sorvolare Eritro insieme a lei, per esempio. Vedra laghi e pianure, colline, canyon. Potremmo arrivare addirittura fino al mare. E un mondo che possiede una bellezza spoglia, l’ho visto una volta, ma e brullo, sterile. Marlene non vedra nessuna forma di vita. Ci sono solo i procarioti nell’acqua, che naturalmente sono invisibili. Puo darsi che questa desolazione uniforme le ispiri un senso di ripugnanza, puo darsi che Marlene perda completamente interesse per l’esterno. Comunque, se vorra ancora uscire, se vorra sentire ugualmente il suolo di Eritro sotto i piedi, faremo in modo che indossi una tutaE.»
«Cosa sarebbe una tutaE?»
«Una tuta protettiva adatta a Eritro. E semplice… e una specie di tuta spaziale, solo che non e pressurizzata perche all’esterno non c’e il vuoto. E fatta di plastica e di tessuto, e leggerissima e non intralcia i movimenti. Il casco con lo schermo protettivo per gli infrarossi e un po’ piu massiccio, e ci sono una riserva d’aria artificiale e un dispositivo per la ventilazione. In conclusione, la persona che indossa una tutaE non e esposta all’ambiente esterno di Eritro. Inoltre, ci sara qualcuno con Marlene.»
«Chi? Non l’affiderei a nessuno, mi fiderei solo di me stessa.»
Genarr sorrise. «Saresti la compagna meno adatta. Non sai nulla di Eritro, e hai paura del pianeta. Non ti permetterei mai di andare la fuori. Ascolta, l’unica persona affidabile non sei tu… sono io.»
«Tu?» Eugenia lo fisso a bocca aperta.
«Perche no? Qui non c’e nessuno che conosca Eritro meglio di me, e se Marlene e immune al Morbo, sono immune anch’io. In dieci anni su Eritro, non ho mai avvertito il minimo disturbo. E soprattutto, so pilotare un mezzo aereo, il che significa che non avremo bisogno di un pilota. Senza contare che, se usciro con Marlene, potro osservarla attentamente. Se notero la minima traccia di anormalita nel suo comportamento, la riportero nella Cupola perche venga esaminata con l’analizzatore cerebrale in un battibaleno.»
«Quando sara ormai troppo tardi, naturalmente.»
«No. Non necessariamente. Se pensi che il Morbo colpisca sempre con la massima intensita quando si manifesta, ti sbagli. Non e cosi. Ci sono stati dei casi leggeri, anche molto leggeri, e le persone colpite in modo lieve possono condurre un’esistenza abbastanza normale. Ma a Marlene non accadra nulla. Ne sono sicuro.»
Eugenia rimase seduta in silenzio, l’aria sparuta e indifesa.
Istintivamente, Genarr la cinse col braccio. «Su, Eugenia, dimentica tutto per una settimana. Ti prometto che Marlene non uscira per almeno sette giorni… magari anche di piu, se riusciro a indebolire la sua determinazione mostrandole Eritro dall’aria. E durante il volo si trovera in un ambiente chiuso, a bordo dell’aereo, e sara al sicuro come qui nella Cupola. E adesso sai che ti dico… sei un’astronoma, no?»
Eugenia lo guardo e disse fiacca: «Certo, lo sai benissimo».
«Il che significa che non guardi mai le stelle. Gli astronomi non lo fanno mai. Guardano solo i loro strumenti. Adesso e scesa la notte sulla Cupola; raggiungiamo la sala d’osservazione e ammiriamo il cielo. La notte e limpidissima, e guardare le stelle e l’ideale per sentirsi tranquilli e in pace. Fidati di me.»
Era vero. Gli astronomi non guardavano le stelle. Non era necessario. Un astronomo, tramite il computer opportunamente programmato, dava istruzioni ai telescopi, agli obiettivi e allo spettroscopio.
Gli strumenti svolgevano il lavoro, le analisi, le simulazioni grafiche. L’astronomo si limitava a fare le domande, poi studiava le risposte. Per questo, non c’era bisogno di guardare le stelle.
Del resto, come si faceva a osservare le stelle rimanendo oziosi, passivi? riflette Eugenia. Un astronomo poteva farlo? La vista delle stelle avrebbe dovuto provocare subito un senso di inquietudine nell’astronomo. C’era del lavoro che lo attendeva, c’erano delle domande da porre, dei misteri da risolvere, e dopo un po’, sicuramente, l’astronomo sarebbe tornato in laboratorio e avrebbe messo in funzione qualche apparecchiatura, distraendosi con la lettura di un romanzo o guardando uno spettacolo olovisivo.
Eugenia disse queste cose all’amico, mentre Genarr girava per l’ufficio assicurandosi di non avere lasciato nulla in sospeso prima di uscire. (Siever controllava sempre che tutto fosse a posto, ricordo Eugenia, pensando alla loro gioventu. Una caratteristica che lei aveva trovato irritante allora, ma forse avrebbe dovuto ammirarla. Siever aveva tante virtu, riflette, e Crile d’altra parte…) Eugenia blocco spietatamente i propri pensieri e li devio in un’altra direzione.
Genarr stava dicendo: «Se devo essere sincero, nemmeno io uso molto spesso la sala d’osservazione. Sembra sempre che ci sia qualcos’altro da fare. E quando vado la, quasi sempre mi ritrovo solo. Sara piacevole andarci in compagnia. Su, vieni!».
La guido fino a un piccolo ascensore. Era la prima volta che Eugenia prendeva un ascensore nella Cupola, e per un attimo le parve di essere di nuovo su Rotor… solo che non avverti alcun cambiamento dell’attrazione pseudogravitazionale, e non si senti spingere leggermente contro una parete per l’effetto Coriolis, cosa che sarebbe successa su Rotor.
«Eccoci» annuncio Genarr, invitandola con un cenno a uscire. Eugenia lascio la cabina, incuriosita, entrando in una sala vuota, e quasi subito arretro.
«Siamo esposti?» chiese.
«Esposti?» ripete Genarr, perplesso. «Ah, intendi dire, siamo a contatto con l’atmosfera di Eritro? No, no. Non temere. Ci troviamo in una semisfera di vetro diamantato antigraffio. Un meteorite lo sfonderebbe, naturalmente, ma i cieli di Eritro sono praticamente privi di meteoriti. Questo tipo di vetro esiste anche su Rotor, pero» e a questo punto nella sua voce affioro una nota di orgoglio «il nostro e di qualita migliore, e la non hanno vetrate di queste dimensioni.»
«Vi trattano bene quaggiu» commento Eugenia, toccando adagio il vetro per assicurarsi che ci fosse davvero.
«Devono trattarci bene, se vogliono che la gente continui a venire qui» disse Genarr. Poi torno a parlare della semisfera. «Certo, a volte piove, ma quando piove la visibilita e limitata comunque dalle nubi. E quando il cielo schiarisce, la bolla si asciuga in fretta. Rimane un residuo, e durante il giorno, una miscela detergente speciale pulisce la bolla. Siediti, Eugenia.»
Eugenia prese posto su una sedia morbida, comoda, che si inclino quasi spontaneamente e le permise di ritrovarsi con lo sguardo rivolto verso l’alto. Senti il lieve sibilo di un’altra sedia che si spostava sotto il peso di Genarr. Poi le piccole luci di servizio, che proiettavano un chiarore sufficiente a rivelare la presenza e la posizione delle sedie e dei tavolini della sala, si spensero. Nell’oscurita di un mondo disabitato, il cielo, sereno e scuro come velluto nero, si riempi di scintille.
Eugenia soffoco un’esclamazione. Sapeva com’era il cielo in teoria. L’aveva visto in tanti modi… mappe, carte, simulazioni, fotografie… ma mai nel suo aspetto reale. Senza accorgersene, non cerco di invividuare le cose interessanti, le particolarita sconcertanti, non si concentro sui lati misteriosi che l’avrebbero spinta a mettersi subito al lavoro. Non guardo nessun corpo celeste, bensi i disegni che formavano.
Nella preistoria, penso, era stato lo studio di quei disegni, di quelle strutture composte, non lo studio delle stelle in se, a dare agli antichi le costellazioni, a segnare la nascita dell’astronomia.
Genarr aveva ragione. Un senso di pace l’avvolse, come un velo impalpabile.
Dopo un po’, quasi trasognata, disse: «Grazie, Siever».
«Perche mi ringrazi?»
«Per esserti offerto di accompagnare Marlene. Perche rischi la tua mente per mia figlia.»
«Non rischio la mente. Non ci accadra nulla. E poi, provo un… un sentimento paterno per lei. In fin dei conti, Eugenia, ci conosciamo da parecchio tempo, e io ho… ho sempre avuto… molta stima di te.»
«Lo so» disse Eugenia, cominciando ad avvertire un senso di colpa. Aveva sempre saputo cosa provasse Genarr… lui non riusciva a nasconderlo. Prima di conoscere Crile, la reazione di Eugenia era stata di rassegnazione, in seguito era subentrata l’irritazione. «Se qualche volta dovessi aver ferito i tuoi sentimenti, Siever, mi spiace davvero.»
«Oh, non dirlo nemmeno» fece Genarr sottovoce. Poi segui un lungo silenzio, la pace era sempre piu intensa, ed Eugenia si auguro di cuore che non arrivasse nessuno a infrangere quella strana parentesi di serenita che l’avvinceva.
A un certo punto, Genarr disse: «Ho una mia teoria, sai? Credo di sapere perche la gente non frequenta la sala d’osservazione, qui… o su Rotor. Non hai mai notato che anche quella di Rotor non e molto frequentata?».