che su Rotor.

Era qualche vago ricordo atavico della Terra? I suoi geni sentivano il richiamo di un mondo enorme e sterminato, un desiderio intenso che una minuscola citta artificiale che ruotava nello spazio non poteva soddisfare? Com’era possibile? La Terra era diversissima da Eritro a parte le dimensioni. E se la Terra era nei suoi geni, perche non era nei geni di ogni essere umano?

Ma una spiegazione doveva esserci. Marlene scosse la testa quasi volesse liberarsi la mente, e prese a volteggiare come se si trovasse in mezzo a uno spazio infinito. Strano che Eritro non sembrasse spoglio, sterile. Su Rotor, si vedevano acri di cereali e frutteti, una caligine verde e ambra, e l’irregolarita rettilinea delle strutture umane. Li su Eritro, invece, si vedeva soltanto il terreno ondulato, disseminato di rocce di ogni dimensione che sembravano sparse alla rinfusa da qualche mano gigantesca… strane forme cupe e silenziose, e in mezzo e attorno scorrevano rigagnoli e ruscelletti. E non c’era vita, se si escludevano le miriadi di minuscole cellule simili a germi che rifornivano l’atmosfera di ossigeno grazie all’energia della luce rossa di Nemesis.

E Nemesis, come qualsiasi nana rossa, avrebbe continuato a emettere la propria energia con parsimonia per un paio di centinaia di miliardi di anni, facendo in modo che Eritro e i suoi piccoli procarioti rimanessero al caldo e tranquilli durante tutto quel periodo. Il Sole della Terra e altre stelle luminose ancor piu giovani sarebbero morte, ma Nemesis avrebbe continuato a brillare immutata, Eritro avrebbe ruotato intorno a Megas immutato, e anche l’esistenza dei procarioti sarebbe andata avanti fondamentalmente immutata.

Gli esseri umani non avevano il diritto di scendere su quel mondo immutato e di cambiarlo. Pero se fosse stata sola su Eritro, Marlene avrebbe avuto bisogno di cibo… e di compagnia.

Poteva tornare alla Cupola di tanto in tanto, per le provviste, o per soddisfare il suo bisogno di contatti umani, continuando pero a trascorrere la maggior parte del tempo sola con Eritro. Ma gli altri non l’avrebbero seguita? Come poteva impedirglielo? E anche se fossero stati in pochi, non avrebbero rovinato l’eden? Non lo stava gia rovinando lei… anche lei da sola?

«No!» grido Marlene. Grido perche era smaniosa di vedere se sarebbe riuscita a far vibrare l’atmosfera aliena e a costringerla a trasmetterle delle parole.

Senti la propria voce, ma il terreno piatto soffoco qualsiasi eco. Il grido si spense non appena fu uscito dalle sue labbra.

Marlene ruoto ancora su se stessa. La Cupola era un’ombra indistinta all’orizzonte. Si poteva quasi ignorarla… quasi. Marlene non voleva vederla affatto. Voleva vedere solo se stessa ed Eritro.

Udi il lieve sospiro del vento, e capi che stava soffiando piu forte. Non abbastanza forte da sentirsi. E la temperatura non era scesa, ne era sgradevole.

Solo un lieve 'Ahhhhh…'

Marlene lo imito allegra. «Ahhhhhh…»

Alzo lo sguardo al cielo, incuriosita. Le previsioni del tempo avevano detto che la giornata sarebbe stata serena. Era possibile che su Eritro scoppiassero all’improvviso dei temporali? Il vento sarebbe aumentato sempre piu, fino a diventare sferzante? Le nubi sarebbero sfrecciate nel cielo, e sarebbe scesa la pioggia prima che lei potesse tornare alla Cupola?

Che sciocchezza! Un pensiero sciocco come quello dei meteoriti. Certo che pioveva su Eritro, ma adesso c’erano soltanto alcune nuvolette rosa sopra di lei. Si muovevano pigre sullo sfondo scuro e sgombro del cielo. Sembrava che non ci fosse nessun temporale in vista.

«Ahhhhh» mormoro il vento. «Ahhhhh eeeee…»

Un doppio suono. Marlene corrugo la fronte. Cosa poteva produrre quel suono? Il vento da solo, no di certo. Avrebbe dovuto incontrare un ostacolo e superarlo per modulare il proprio sibilo. E li attorno non c’erano ostacoli.

«Ahhhhh eeeee ehhhh…»

Un triplo suono, adesso. Con l’accento sul secondo suono.

Marlene si guardo intorno, perplessa. Non capiva da dove provenisse. Se si sentiva quel suono, doveva esserci qualcosa che vibrava, eppure lei non vedeva nulla, non percepiva nulla.

Eritro sembrava deserto e silenzioso. Non poteva produrre alcun suono.

«Ahhhhh eeeee ehhhh…»

Di nuovo. Piu chiaro. Aveva l’impressione che fosse nella sua testa, e a quel pensiero ebbe un tuffo al cuore, rabbrividi. Le venne la pelle d’oca, sulle braccia… se ne accorse senza bisogno di guardare.

No, la sua testa non poteva avere nulla che non andasse. Nulla!

Rimase in attesa, ed eccolo di nuovo. Piu forte. Ancor piu chiaro. Il tono piu deciso, tutt’a un tratto… come se stesse imparando e migliorando.

Imparando? Imparando, cosa?

E a malincuore, molto a malincuore, Marlene penso: 'E come se qualcuno incapace di pronunciare le consonanti stesse cercando di pronunciare il mio nome…'

Quasi fosse un segnale, o quasi quel pensiero avesse liberato una nuova scarica di energia, o acuito la sua immaginazione, Marlene senti…

«Mahhh leee nehhh.»

D’istinto, senza rendersene conto, porto le mani alle orecchie e le copri.

'Marlene' penso.

E un attimo dopo il suono si sforzo di imitarla. «Mahrleeneh.»

Poi, di nuovo, piu sciolto, quasi con naturalezza. «Marlene.»

Marlene rabbrividi, e riconobbe la voce. Era Aurinel, Aurinel di Rotor, che non aveva piu visto dal giorno in cui, su Rotor, gli aveva detto che la Terra sarebbe stata distrutta. Non aveva quasi piu pensato a lui in seguito… ma le rare volte che aveva pensato ad Aurinel, aveva sofferto, sempre.

Perche sentiva la sua voce se lui non era li… o qualunque voce, se li non c’era nulla?

«Marlene.»

Marlene si arrese. Era il Morbo… nonostante fosse stata cosi sicura che non l’avrebbe colpita.

Comincio a correre alla cieca, verso la Cupola, senza fermarsi a cercarla con lo sguardo.

Stava urlando, e non lo sapeva.

LXVII

Erano intervenuti. Avevano sentito che all’improvviso si stava avvicinando di corsa. Due guardie in tutaE erano uscite subito e l’avevano sentita urlare.

Ma le urla erano cessate prima che la raggiungessero. Marlene aveva anche rallentato e si era fermata… prima di accorgersi della loro presenza, apparentemente.

Quando le guardie erano arrivate accanto a lei, le aveva guardate tranquilla e le aveva lasciate di stucco chiedendo: «Be’? Che c’e che non va?».

Nessuno aveva risposto. Una mano si era accostata al suo gomito e Marlene l’aveva respinta.

«Non toccatemi» aveva detto. «Verro alla Cupola, se e questo che volete, ma posso camminare da sola.»

E si era avviata in silenzio con loro. Era molto padrona di se.

LXVIII

Eugenia Insigna, le labbra secche e pallide, stava cercando di non mostrarsi sconvolta. «Cos’e successo la fuori, Marlene?»

Gli occhi scuri imperscrutabili, Marlene rispose: «Nulla. Proprio nulla».

«Non dire cosi. Stavi correndo e gridavi.»

«L’avro anche fatto per un po’… ma solo per un po’. Vedi, c’era silenzio, un silenzio tale che a un certo punto ho avuto l’impressione di essere diventata sorda. Sai, un silenzio assoluto. Cosi ho pestato i piedi e ho corso solo per sentire il rumore, e ho gridato…»

«Solo per sentire il rumore?» Eugenia aggrotto le ciglia.

«Si, mamma.»

«E ti aspetti che ci creda, Marlene? No, non ci credo. Abbiamo sentito le tue grida, e non erano le grida di chi vuole fare rumore e basta. Erano grida di terrore. Qualcosa ti aveva spaventata.»

«Te l’ho detto. Il silenzio. La paura della sordita.»

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