«Neppure tu hai cercato. Dovremmo esplorare il cielo, lo spazio, per individuare una Colonia, o qualche Colonia… ma dopo avere captato i plessoni provenienti dal pianeta, tu non hai cercato nient’altro, in nessun altro punto.»

«Se credi che sia necessario, lo faro.»

Tessa Wendel alzo la mano. «Se ci sono delle Colonie, perche non ci hanno avvistati? Non abbiamo fatto nulla per schermare la nostra emissione di energia. In fin dei conti, eravamo sicuri di trovare un sistema stellare deserto.»

«Forse anche loro si sentivano sicuri, Capitano… troppo sicuri» rispose Wu. «Non aspettavano l’arrivo di nessuno, cosi noi siamo penetrati nel sistema inosservati. O se ci hanno avvistati, puo darsi che siano incerti, che si chiedano chi siamo… o cosa siamo… e che non sappiano che fare, proprio come noi. Comunque, una cosa e certa… in un punto della superficie di questo grande satellite ci sono senz’altro degli esseri umani, quindi a mio avviso dobbiamo scendere ed entrare in contatto con loro.»

«Non sara pericoloso?» domando Merry.

«No, non credo» rispose Wu senza esitare. «Non possono spararci a vista. Come minimo, vorranno sapere qualcosa da noi prima di eliminarci. E poi, se continuiamo a rimanere qui indecisi non concluderemo nulla… e dovremmo tornare a casa a riferire quello che abbiamo scoperto. La Terra inviera una flotta di navi ultraluce, pero non ci saranno riconoscenti se torneremo solo con pochissime informazioni. Passeremo alla storia come la spedizione che avra esitato.» Wu sorrise, affabile. «Vede, Capitano, la lezione di Fisher mi e servita.»

«Quindi, secondo te dovremmo scendere e prendere contatto» disse Tessa Wendel.

«Certo.»

«Blankowitz?»

«Sono curiosa. Non tanto per la cupola… se c’e una foma di vita aliena, mi interessa soprattutto quella.»

«Jarlow?»

«Vorrei che avessimo delle armi adeguate, o le ipercomunicazioni. Se ci distruggeranno, la Terra non avra scoperto nulla, il nostro viaggio sara stato inutile. Poi, chissa… forse qualcun altro verra qui e sara impreparato e indeciso come noi… Pero, se sopravviveremo, torneremo con delle informazioni della massima importanza. Credo che dobbiamo rischiare.»

«La mia opinione, Capitano?» chiese Fisher sottovoce.

«Immagino che tu voglia atterrare per vedere i rotoriani.»

«Appunto, quindi se mi e consentito un suggerimento… Atterriamo con la massima discrezione possibile, senza farci notare, e io lascero la nave e andro in ricognizione. Se succedera qualcosa, decollate e tornate sulla Terra, abbandonandomi qui. Io sono sacrificabile, ma la nave deve ritornare.»

«Perche proprio tu?» chiese subito Tessa, mentre sul suo volto affiorava una certa tensione.

«Perche conosco i rotoriani, almeno, e perche… voglio andare.»

«Anch’io» intervenne Wu. «Verro con te.»

«Perche rischiare in due?» domando Fisher.

«Perche in due i rischi saranno minori. Perche in caso di pericolo uno potrebbe fuggire mentre l’altro terra a bada la minaccia. E soprattutto perche, come hai detto tu, conosci i rotoriani. Il tuo giudizio potrebbe mancare di obiettivita.»

Tessa disse: «Allora atterreremo. Fisher e Wu lasceranno la nave. Se, in qualsiasi momento, Fisher e Wu non saranno d’accordo sul da farsi, sara Wu a decidere».

«Perche?» sbotto Fisher, indignato.

«Wu ha detto che conosci i rotoriani e che le tue decisioni potrebbero mancare di obiettivita… e io sono d’accordo con lui» rispose Tessa, fissando Fisher con fermezza.

LXXXVIII

Marlene era felice. Si sentiva avvolta in un abbraccio delicato, protetta, riparata. Vedeva la luce rossiccia di Nemesis e sentiva il vento sulle guance. Osservava le nubi che di tanto in tanto oscuravano in parte o del tutto il grande globo di Nemesis attenuando la luce e facendola diventare grigiastra.

Ma Marlene vedeva con la stessa facilita sia con la luce grigia che con quella rossa, e riusciva a cogliere sfumature e tonalita di colore che formavano disegni affascinanti. E sebbene il vento fosse piu fresco quando la luce di Nemesis era nascosta, Marlene non aveva mai freddo. Era come se Eritro in qualche modo le acuisse la vista, scaldasse l’aria attorno al suo corpo quand’era necessario, si prendesse cura di lei.

E Marlene poteva parlare con Eritro. Aveva deciso che per lei le cellule che costituivano la forma di vita di Eritro erano Eritro. Le identificava col pianeta. Perche no? Individualmente, le cellule erano solo cellule, primitive come quelle… anzi, ancor piu primitive di quelle del suo corpo. Solo tutte le cellule procariotiche insieme formavano un organismo di milioni di miliardi di parti microscopiche collegate tra loro che riempiva il pianeta, che lo pervadeva, che lo stringeva… quindi tanto valeva considerare le due cose equivalenti. L’organismo dunque corrispondeva al pianeta per lei.

Che strano, penso Marlene. Prima dell’arrivo di Rotor, quella gigantesca forma di vita non doveva mai aver saputo di non essere l’unica cosa viva esistente.

Le domande e le sensazioni di Marlene non erano confinate soltanto nella sua mente. A volte, Eritro si alzava di fronte a lei, come un velo sottile di fumo grigio, assumendo le sembianze di una figura umana spettrale che guizzava ai margini. La manifestazione aveva sempre un che di fluido, di mutevole. Non che Marlene in realta lo vedesse… pero lo avvertiva senza il minimo dubbio… da un istante all’altro, milioni di cellule invisibili scomparivano e venivano immediatamente sostituite da altre cellule.

Le cellule procariotiche non potevano vivere a lungo fuori dal loro strato d’acqua, quindi ogni cellula era solo una componente effimera della figura, ma la figura persisteva finche voleva, e non perdeva mai la propria identita.

Eritro non aveva piu assunto la forma di Aurinel. Aveva capito, senza che lei glielo dicesse, che quella forma la turbava. Adesso l’aspetto di Eritro era neutro, cambiava leggermente a seconda delle divagazioni mentali di Marlene. Eritro riusciva a seguire i lievi cambiamenti della struttura mentale della ragazza molto meglio di Marlene stessa, lei ne era convinta… e la figura rifletteva tali variazioni, ispirandosi alle immagini presenti di volta in volta nella mente di Marlene, poi, quando lei cercava di metterla a fuoco e di identificarla, la figura si trasformava dolcemente in qualcos’altro. Di tanto in tanto, Marlene coglieva di sfuggita qualche particolare: la curva della guancia di sua madre, il naso forte di zio Siever, alcuni tratti dei ragazzi e delle ragazze che aveva conosciuto a scuola.

Era una sinfonia interattiva. Non tanto una conversazione tra loro quanto un balletto mentale che lei non era in grado di descrivere. Qualcosa di infinitamente riposante, di infinitamente vario… che in parte cambiava aspetto, in parte la voce, in parte i pensieri.

Era una conversazione in tante dimensioni, e all’idea di tornare a un tipo di comunicazione unicamente verbale Marlene si sentiva spenta, scialba. La sua capacita di interpretare il linguaggio del corpo era sfociata in qualcosa che lei non avrebbe mai potuto immaginare. I pensieri erano molto piu rapidi e profondi delle parole… imprecise, approssimative, grossolane…

Eritro le spiego, o meglio le trasmise, lo shock dell’incontro con altre menti. Menti. Plurale. Di fronte a un’altra mente, a una sola, forse Eritro non avrebbe avuto problemi di comprensione. Un altro mondo. Un’altra mente. Ma incontrare molte menti, che si accavallavano, tutte diverse tra loro, ammassate in uno spazio ristretto… Inconcepibile.

I pensieri che permeavano la mente di Marlene mentre Eritro comunicava con lei non erano esprimibili a parole, se non in modo molto vago e insoddisfacente. Dietro quelle parole, molto piu intense, prepotenti, c’erano le emozioni, le sensazioni, le vibrazioni neuroniche che riflettevano l’esperienza traumatica di Eritro.

Aveva tentato il contatto con quelle menti… le aveva «tastate», «toccate», per modo di dire, perche non esisteva un termine umano in grado di esprimere appieno l’azione di Eritro. E alcune di quelle menti si erano disgregate, deteriorate, erano diventate sgradevoli. Eritro aveva cessato di tastare le menti a caso, aveva cercato invece delle menti in grado di sopportare il contatto.

'E hai trovato me?' disse Marlene.

'Si.'

'Ma perche? Perche mi hai cercata?' chiese ansiosa Marlene.

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