— Considerala… una… finta.

Arrivati all’estremita del vicolo, Cohen si addosso al muro, tiro di nuovo fuori la spada, chino la testa da un lato per captare meglio il rumore dei passi che si avvicinavano, quindi fece roteare la spada all’altezza dello stomaco. Il risultato fu un rumore sgradevole e urli. Ma Cohen ormai si era allontanato su per la strada, correndo con la sua solita andatura dinoccolata per via dei calli dolenti.

Con Lackjaw che pistava al suo fianco con viso arcigno, riparo in una osteria dipinta con le stelle rosse, salto con appena un gemito su un bancone, lo fece tutto di corsa (il nanetto, con perfetta coreografia, lo seguiva sotto di esso senza nemmeno bisogno di chinarsi in due), giunto in fondo, balzo giu, si fece strada attraverso le cucine e si ritrovo fuori in un altro vicolo.

Dopo diverse giravolte, si ripararono in un portone. Cohen, appoggiato al muro, respirava affannosamente finche non sparirono le piccole scintille blu e rosse che gii danzavano davanti agli occhi.

— Allora — ansimo — che cosa hai trovato?

— Uhm, le ampolline — rispose Lackjaw.

— Soltanto?

— Be’, io dovevo andare sotto il tavolo, no? Anche tu non hai fatto molto meglio.

Cohen guardo con disprezzo il meloncino che era riuscito ad acchiappare al volo durante la fuga.

— Deve essere piuttosto duro — commento, mentre addentava la scorza.

— Ci vuoi del sale? — gli chiese il nano.

Senza rispondere, Cohen teneva in mano il melone, a bocca aperta.

Lackjaw si guardo in giro. La strada senza uscita dove si trovavano era vuota, fatta eccezione per una cassa lasciata contro un muro.

L’eroe la fissava. Tese il melone al compagno senza guardarlo e usci alla luce del sole. Il nano lo osservo strisciare intorno alla cassa silenziosamente (per quanto glielo permettevano le giunture scricchiolanti come un veliero a vele spiegate) e pungolarla una o due volte con la spada, ma con grande precauzione, quasi si aspettasse di vederla esplodere.

— E soltanto una cassa — gli grido il nano. — Che c’e tanto di speciale in una cassa?

Senza parlare, Cohen si accovaccio a fatica e guardo da vicino la serratura sul coperchio.

— Che cosa c’e dentro? — domando Lackjaw.

— Non ti piacerebbe saperlo — rispose l’altro. — Aiutami a rialzarmi, vuoi?

— Si, ma questa cassa…

— Questa cassa, questa cassa e… — Cohen agito le braccia con aria vaga.

— Oblunga?

— Soprannaturale - disse misteriosamente il vecchio eroe.

— Soprannaturale?

— Gia.

— Oh! — Il nano e Cohen rimasero per un momento a guardarla.

— Cohen?

— Si?

— Che significa soprannaturale?

— Be’, soprannaturale e… — Cohen s’interruppe e lo fisso irritato. — Dalle un calcio e vedrai.

Lo stivaletto rinforzato d’acciaio del nano risuono contro una parete della cassa. Cohen trasali. Non accadde nulla.

— Capisco — disse l’omino. — Soprannaturale vuole dire di legno?

— No — dichiaro il suo compagno. — Non… non avrebbe dovuto comportarsi cosi.

— Capisco — annui Lackjaw, che invece non capiva e cominciava a pensare che l’altro non avrebbe dovuto uscire sotto il sole torrido. — Avrebbe dovuto squagliarsela, tu credi?

— Si. Oppure portarti via la gamba con una zannata.

— Ah! — Il nano prese gentilmente Cohen per un braccio. — Quaggiu si sta bene ed e ombroso. Perche non ti riposi un po’…

Cohen si svincolo.

— Sta fissando quel muro — disse. — Guarda, ecco perche non fa attenzione a noi due. Fissa il muro.

— Si, certo — approvo il piccoletto per calmarlo. — Naturalmente, sta fissando quel muro con i suoi occhietti…

— Non essere idiota, lei non ha occhi — sbuffo Cohen.

— Scusa, scusa — si affretto a dire l’amico. — Fissa il muro senza occhi, scusami.

— Secondo me, qualcosa la preoccupa — annuncio l’eroe.

— Be’ e naturale, no? Immagino che desideri che ce ne andiamo e la lasciamo in pace.

— Per me, e molto perplessa — aggiunse Cohen.

— Si, sembra certamente perplessa — assenti il nano.

— Tu come fai a dirlo? — lo rimbrotto il compagno, con un’occhiataccia.

Lackjaw trovava che i loro ruoli si erano ingiustamente ribaltati. I suoi occhi passavano da Cohen alla cassa e la sua bocca si apriva e si chiudeva.

— E tu come fai a dirlo? — ribatte.

Ma Cohen non lo ascoltava. Si era seduto davanti alla cassa, immaginando che la parete con la serratura fosse quella frontale, e la osservava intento. Lackjaw si tiro indietro. 'Strano' si disse 'ma quel dannato coso mi sta guardando.'

— Va bene — disse alla fine Cohen. — So che tu e io non andiamo molto d’accordo, ma tutti e due stiamo cercando di trovare qualcuno che ci sta a cuore, okay?

— Io sono… — comincio il nano, e si rese conto che l’altro stava parlando alla cassa.

— Quindi dimmi dove sono andati.

Lackjaw vide esterrefatto il Bagaglio allungare le sua gambette, prendere lo slancio e precipitarsi contro il muro piu vicino. Segui un’esplosione di mattoni d’argilla e calcinacci polverosi.

Cohen sbircio attraverso il buco. Dall’altro lato c’era un magazzino, un piccolo locale sporco e al centro del pavimento stava il Bagaglio, dal quale irradiava la piu totale frustrazione.

— Un negozio — disse Duefiori.

— C’e qualcuno qui? — chiese Bethan.

— Urrgh — esclamo Scuotivento.

— Penso che dovremmo sistemarlo da qualche parte e portargli un bicchiere d’acqua. Se qui ne troviamo uno — dichiaro l’ometto.

— Qui c’e tutto meno che l’acqua — ribatte la ragazza.

Il locale era pieno di scaffali e gli scaffali erano pieni degli oggetti piu disparati. Quelli che non c’entravano, pendevano a mazzi dai soffitto in ombra; casse e sacchi spargevano il loro contenuto sul pavimento.

Dall’esterno non veniva alcun suono. Con un’occhiata in giro, Bethan ne capi la ragione.

— Non ho mai visto tanta roba — disse Duefiori.

— C’e una cosa che manca — affermo la ragazza.

— Come puoi dirlo?

— Basta che tu dia un’occhiata. Non ci sono uscite.

Duefiori si guardo intorno. Al posto della porta e della finestra, ora c’erano scaffali dove s’impilavano scatole, con l’aria di essere li da lungo tempo.

Duefiori sistemo Scuotivento su una sedia traballante vicino alla cassa del negozio e si mise a esaminare gli scaffali. Delle scatole contenevano chiodi, altre spazzole da capelli. Stecche di sapone ingiallito da tempo. Un assortimento di boccette contenenti sali da bagno ormai sciolti, sulle quali era attaccata un’etichetta incongrua che annunciava, contro ogni evidenza, che uno di quei flaconi avrebbe costituito un Regalo Ideale. C’era anche un sacco di polvere.

Bethan, che esaminava gli scaffali sull’altra parete, scoppio a ridere.

— Guarda questo! — esclamo.

Duefiori ubbidi. La ragazza teneva in mano un… si, un piccolo chalet di montagna, tutto ricoperto di conchiglie; l’autore di quell’obbrobrio aveva pirografato 'Souvenir Speciale' sul tetto (il quale, naturalmente, si apriva con un motivetto musicale e poteva contenere delle sigarette).

— Hai mai visto una cosa simile? — domando Bethan.

Duefiori scosse la testa e spalanco la bocca.

— Ti senti bene? — gli chiese Bethan.

— E la cosa piu bella che abbia mai vista — rispose lui.

Dall’alto venne un ronzio e i due alzarono la testa.

Un grosso globo nero si era abbassato dal soffitto scuro. Su di esso si accendevano e spegnevano piccole luci rosse e, mentre loro lo fissavano, l’oggetto misterioso giro e li guardo con un grande occhio di vetro. Era minaccioso, quell’occhio. Dava la netta sensazione di stare osservando qualcosa di sgradevole.

— C’e qualcuno? — disse Duefiori.

Da dietro la cassa spunto una faccia dall’espressione arrabbiata.

— Spero che siate intenzionati a pagarlo. — Espressione e tono implicavano che si aspettava una risposta affermativa dall’ometto, e che non gli avrebbe creduto.

— Questo? — esclamo la ragazza. — Non lo comprerei nemmeno se tu ci aggiungessi una manciata di rubini e…

— Lo compro io. Quanto? — si affretto a dire Duefiori e si mise una mano in tasca. Si rannuvolo in viso.

— A dire la verita, non ho denari con me. Sono nel mio Bagaglio, ma io…

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